QUADERNI

Ogni rifor­ma dal 1990 a oggi ha par­te­ci­pa­to a sman­tel­la­re i siste­mi cul­tu­ra­li in Ita­lia, instau­ran­do sem­pre più una mec­ca­ni­ca vol­ta a pri­va­tiz­za­re e pre­ca­riz­za­re i dipen­den­ti, in un’as­sur­da idea che il sito cul­tu­ra­le sia pro­fit­te­vo­le quan­to un cen­tro commerciale. 
C’è chi vi dice che non ser­ve a nien­te: il truc­co lo cono­scia­mo mol­to bene. Voi sta­te a casa, ci dico­no, che al pote­re ci pen­sia­mo noi. È ora di ribal­ta­re le cose. 
Pos­sia­mo inver­ti­re la ten­den­za, ma ser­ve uno sfor­zo straor­di­na­rio di mobi­li­ta­zio­ne, di stu­dio, di impe­gno. Di poli­ti­ca. Si trat­ta del futu­ro, in fondo. 
Al mini­stro che par­la di “dirit­to alla bel­lez­za” anche nel­la gior­na­ta di Nata­le, si con­si­glia di cer­ca­re di garan­tir­lo tut­to il resto del­l’an­no, dati i costi sem­pre più alti di ingres­so per i musei. E che sareb­be il caso si occu­pas­se dei pre­ca­ri del­la Cul­tu­ra, degli appal­ti al ribas­so e dei sala­ri da fame nel­le socie­tà in appalto. 
Il Mini­ste­ro del­la Cul­tu­ra, da anni, per tam­po­na­re la cro­ni­ca man­can­za di inve­sti­men­ti e assun­zio­ni, per­met­te si dele­ghi a ban­di di gara con il prin­ci­pio del mas­si­mo ribas­so: una pra­ti­ca che per­met­te a coo­pe­ra­ti­ve di par­te­ci­pa­re pro­met­ten­do un costo enor­me­men­te più bas­so di quel­lo che spen­de­reb­be il Mini­ste­ro a fron­te del­l’e­ro­ga­zio­ne del­lo stes­so servizio. 
La dif­fe­ren­zia­zio­ne degli indi­riz­zi ha valo­re se sle­ga­ta dall’etichettamento degli isti­tu­ti e di chi stu­dia. “Al pro­fes­sio­na­le va chi non vuo­le stu­dia­re” men­tre “al liceo va chi ha voglia di stu­dia­re”. Quan­te vol­te l’abbiamo sen­ti­to: eti­chet­te che get­ta­no semi di futu­re disu­gua­glian­ze sociali. 
Negli ulti­mi anni con Pos­si­bi­le ed Euro­pa Pos­si­bi­le abbia­mo soste­nu­to varie ini­zia­ti­ve pro­mos­se da orga­niz­za­zio­ni del­la socie­tà civi­le, come il Movi­men­to Fede­ra­li­sta Euro­peo, per por­ta­re avan­ti que­sto pro­get­to di rifor­ma neces­sa­rio per costrui­re un pre­sen­te ed un futu­ro all’insegna del­la soste­ni­bi­li­tà eco­no­mi­ca, socia­le e ambien­ta­le. E soprat­tut­to per raf­for­za­re le fon­da­men­ta del pro­get­to di un’Europa libe­ra e uni­ta, capa­ce di garan­ti­re attra­ver­so il dirit­to e non con la for­za, una pace dura­tu­ra in Euro­pa e nel mondo. 
Non può esser­ci pace se non c’è rispet­to dei dirit­ti uma­ni. Nes­sun luo­go al mon­do può dir­si sicu­ro, fin­ché non ci saran­no pace e giu­sti­zia in Palestina. 
Il Medi­ter­ra­neo que­st’an­no ha visto pro­ba­bil­men­te più mor­ti in mare di quan­te ne sia­no mai avve­nu­te pri­ma. Le per­so­ne con­ti­nua­no a mori­re nel deser­to del Saha­ra, nei lager libi­ci o per­cor­ren­do la rot­ta balcanica. 
Ormai sia­mo abi­tua­ti a leg­ge­re le dichia­ra­zio­ni dei poli­ti­ci nei momen­ti di cri­si. Si pon­go­no, sot­to i riflet­to­ri, a fian­co di qual­cu­no, che sia una per­so­na fisi­ca, una popo­la­zio­ne, uno Sta­to sovra­no, “sen­za se e sen­za ma”. 
Tut­ta la poli­ti­ca mon­dia­le deve sen­tir­si sul­le spal­le la respon­sa­bi­li­tà degli attac­chi di oggi. Lavo­ra­re per la pace signi­fi­ca lavo­ra­re per la giu­sti­zia, per la fine dell’occupazione e del­le atro­ci­tà rap­pre­sen­ta­te in tut­ta la loro dram­ma­ti­ca evi­den­za negli stes­si rap­por­ti dell’ONU, che la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le rappresenta. 
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