La guerra alle bambine che non si vuole vedere

Qual­che gior­no fa il Mini­stro del­l’In­ter­no Mat­teo Sal­vi­ni face­va un elen­co di pae­si di pro­ve­nien­za dei migran­ti sali­ti a bor­do del­la nave Diciot­ti. E con­clu­de­va con una doman­da: “In qua­li di que­sti pae­si c’è la guer­ra?”.

A dimo­stra­re che la stra­te­gia del Mini­stro è cer­ca­re l’u­sci­ta a effet­to, spa­rar­la in cir­co­la­zio­ne e non curar­si più di tan­to di quel­lo che suc­ce­de dopo – né dal pun­to di vista del­la qua­li­tà del dibat­ti­to, cosa che non sor­pren­de, né da quel­lo del­la soli­di­tà del­le pro­prie affer­ma­zio­ni, che teo­ri­ca­men­te dovreb­be star­gli più a cuo­re – sono arri­va­te rapi­da­men­te le rispo­ste. Come quel­la di Emi­lia­no Rub­bi, pre­ci­sa, pun­to per pun­to, che ha cir­co­la­to moltissimo.

Ma la veri­tà è che anche nei pae­si che non sono coin­vol­ti in un con­flit­to c’è una guer­ra. Alle bambine.

L’in­trec­cio di ses­si­smo, miso­gi­nia e raz­zi­smo del­le cul­tu­re patriar­ca­li – rigo­ro­sa­men­te al plu­ra­le – gene­ra un con­flit­to costan­te con­tro la cate­go­ria più vul­ne­ra­bi­le di tut­te, una guer­ra eter­na, per pren­de­re in pre­sti­to un agget­ti­vo da Umber­to Eco, che assu­me for­me dif­fe­ren­ti e che costa mol­tis­si­me vite, distrut­te o let­te­ral­men­te spez­za­te: la guer­ra alle bam­bi­ne e alle ragazze.

Bam­bi­ne ven­du­te, usa­te come schia­ve o ogget­ti ses­sua­li, muti­la­te per tra­di­zio­ne, o per sem­pli­ce cru­del­tà. Pri­va­te del­le cure medi­che, del­l’ac­ces­so all’i­stru­zio­ne, dei dirit­ti uma­ni più basilari.

I rap­por­ti del­le asso­cia­zio­ni sono istan­ta­nee del­l’or­ro­re che vie­ne inflit­to a milio­ni di vit­ti­me: “inci­den­tal­men­te”, quan­do ven­go­no pre­se nel tri­ta­car­ne di feno­me­ni più ampi, di cui paga­no spes­so il prez­zo più alto (con­flit­ti arma­ti, care­stie, pover­tà, epi­de­mie); selet­ti­va­men­te, quan­do par­lia­mo di quei feno­me­ni che pren­do­no di mira le bam­bi­ne in quan­to gio­va­ni donne.

Sono due­cen­to milio­ni le don­ne anco­ra in vita che han­no subi­to muti­la­zio­ni geni­ta­li in un’e­tà che va gene­ral­men­te dai 5 ai 15 anni. Sono anco­ra 30 i pae­si che pra­ti­ca­no muti­la­zio­ni geni­ta­li sul­le bam­bi­ne e i pro­gres­si che sono sta­ti fat­ti con impo­nen­ti sfor­zi negli ulti­mi due decen­ni sono mes­si nume­ri­ca­men­te a rischio da un dato demo­gra­fi­co: da qui al 2030, un ter­zo del­le nasci­te glo­ba­li avver­rà pro­prio in que­sti paesi.

Bam­bi­ne come Oumoh, quat­tro anni, arri­va­ta a Lam­pe­du­sa per evi­ta­re l’in­fi­bu­la­zio­ne in Costa d’A­vo­rio. Nel suo pae­se c’è sta­to un con­flit­to dura­to die­ci anni, ma la guer­ra alle bam­bi­ne continua.

 

È noti­zia di que­sti gior­ni la pra­ti­ca del­le “bam­bi­ne dome­sti­che” in Tuni­sia. La car­ti­na di tor­na­so­le sono le scuo­le, che si svuo­ta­no quan­do gli sco­la­ri com­pio­no die­ci anni. Anche i bam­bi­ni ven­go­no sfrut­ta­ti, ma le bam­bi­ne ven­go­no cedu­te alle fami­glie più ric­che, nel­le cui case subi­sco­no ogni sor­ta di vio­len­ze, anche ses­sua­li. Se si sui­ci­da­no per la dispe­ra­zio­ne, i loro cor­pi ven­go­no fat­ti spa­ri­re, le fami­glie pre­fe­ri­sco­no tace­re. Con la Tuni­sia abbia­mo degli accor­di, appe­na riven­di­ca­ti da Min­ni­ti, per il con­trol­lo dei flus­si migra­to­ri. Lì non c’è la guer­ra. A par­te que­sta.

C’è poi una cosa che fac­cia­mo “a casa loro”, giro di fra­se mol­to caro a chi vuo­le lavar­se­ne le mani e rischia di tro­var­se­le meta­fo­ri­ca­men­te spor­che di san­gue. L’I­ta­lia è infat­ti il pri­mo pae­se per turi­smo ses­sua­le: per cer­ca­re di argi­na­re il feno­me­no, è sta­ta scel­to il nostro Sena­to a gen­na­io per la pre­sen­ta­zio­ne del­la cam­pa­gna “Stop Sexual Tou­ri­sm”. Il 90% del­le per­so­ne che viag­gia­no per turi­smo ses­sua­le nel mon­do sono uomi­ni. Le mete varia­no a secon­da di come varia­no le con­di­zio­ni eco­no­mi­che e socia­li dei pae­si di arri­vo: i pre­da­to­ri pre­di­li­go­no i luo­ghi in cui le vit­ti­me sono più vul­ne­ra­bi­li. Non in tut­ti quei pae­si c’è la guer­ra. Tran­ne questa. 

In mol­ti pae­si le don­ne non han­no modo di difen­der­si in tri­bu­na­le, di evi­ta­re o di otte­ne­re giu­sti­zia per gli stu­pri – che sia­no dome­sti­ci, sul posto di lavo­ro (mino­ri­le), o uti­liz­za­ti come pre­ci­sa stra­te­gia di inti­mi­da­zio­ne e sopraf­fa­zio­ne, come in Myan­mar, dove le vit­ti­me degli stu­pri sono spes­so ragaz­ze con meno di diciot­to anni, o le 270 alun­ne in età sco­la­re rapi­te da Boko haram. Ci sono pae­si in cui la vita e l’in­te­gri­tà fisi­ca del­le ragaz­ze dipen­de da un acces­so sicu­ro ai bagni pub­bli­ci o al sur­ro­ga­to più pros­si­mo: sono in gio­co la loro salu­te e la loro sicu­rez­za (ogni gior­no e soprat­tut­to duran­te il perio­do del ciclo mestrua­le) per­ché rischia­no l’e­mar­gi­na­zio­ne socia­le, la vio­len­za e anche la vita per una basi­la­re fun­zio­ne cor­po­rea. I dati riguar­dan­ti l’A­fri­ca dico­no che le bam­bi­ne e le ragaz­ze con­trag­go­no il virus del­l’­HIV in nume­ro dop­pio rispet­to ai coe­ta­nei maschi, per­ché spes­so non sono nel­la posi­zio­ne di rifiu­ta­re i rap­por­ti non pro­tet­ti e non han­no acces­so a infor­ma­zio­ni o mate­ria­le che con­sen­ti­reb­be loro di proteggersi. 

Quan­do ci chie­dia­mo se nel pae­se da cui le per­so­ne fug­go­no c’è la guer­ra – ammes­so che la doman­da abbia un sen­so in asso­lu­to – non pos­sia­mo fin­ge­re che non ci sia, ende­mi­ca e com­bat­tu­ta con armi leta­li quan­to quel­le da fuo­co e spes­so più dif­fi­ci­li da con­trol­la­re, que­sta guer­ra luri­da e sub­do­la. La guer­ra c’è, ecco­me, e noi stia­mo dal­la par­te del­le bam­bi­ne.

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