Chiedere scusa ai giovani, l’impresa impossibile

La parola che la mia generazione, quella nata a cavallo fra gli anni '80 e i primi '90, si aspetta è “scusa”. Una parola semplice: “scusa”, perché siamo e siete la prima generazione, dopo quella dei vostri nonni, che è costretta a emigrare in massa, anche se ha studiato e si è laureata.

«Noi sia­mo in debi­to con i gio­va­ni, li obbli­ghia­mo a emi­gra­re» è la fra­se che ha det­to Papa Fran­ce­sco il 31 dicem­bre scor­so, non Giu­lia­no Polet­ti, mini­stro del Lavo­ro, che qual­che tem­po fa ave­va det­to, rife­ren­do­si ai gio­va­ni ita­lia­ni emi­gra­ti all’e­ste­ro per lavo­ro, di cono­sce­re «gen­te che è anda­ta via e che è bene che stia dove è anda­ta, per­ché sicu­ra­men­te que­sto Pae­se non sof­fri­rà a non aver­li più fra i pie­di».

La paro­la che la mia gene­ra­zio­ne, quel­la nata a caval­lo fra gli anni ’80 e i pri­mi ’90, si aspet­ta è “scu­sa”. Una paro­la sem­pli­ce: “scu­sa”, per­ché sia­mo e sie­te la pri­ma gene­ra­zio­ne, dopo quel­la dei vostri non­ni, che è costret­ta a emi­gra­re in mas­sa, anche se ha stu­dia­to e si è lau­rea­ta.

Fan­no sor­ri­de­re le paro­le di una cer­ta poli­ti­ca che quan­do vede una leg­ge­ra fles­sio­ne del­la disoc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le, quel­la che va dai 18 ai 35 anni, gri­da al suc­ces­so. Non cal­co­lan­do che quel­lo zero vir­go­la qual­co­sa non è frut­to di nuo­vi posti di lavo­ro ma di qual­cu­no che ha fat­to le vali­gie e che cer­ca di far frut­ta­re i suoi anni di stu­dio da qual­che altra parte.

“Scu­sa” è la paro­la che dovrem­mo dire a quei gio­va­ni che riman­go­no e che, a vol­te, se non han­no la rac­co­man­da­zio­ne non van­no avan­ti. La stes­sa poli­ti­ca dovreb­be scu­sar­si per­ché non vuo­le dare, in quan­to ne è inca­pa­ce, rife­ri­men­ti mora­li. In Par­la­men­to ne abbia­mo l’e­sem­pio: allo­ra da chi, la mia gene­ra­zio­ne, deve trar­re ispi­ra­zio­ne? Sia­mo costret­ti a guar­da­re al pas­sa­to o a non inte­res­sar­ci, allon­ta­nan­do­ci dal­la cosa pub­bli­ca che è con­si­de­ra­ta spor­ca, inqui­na­ta dai soli­ti “ami­ci degli amici”.

Allo­ra, for­se, è meglio per­si­no dimen­ti­car­la l’I­ta­lia. Sopra­tut­to quan­do abbia­mo comi­ci, pro­fes­sio­ni­sti o dilet­tan­ti, che diven­ta­no capi di par­ti­to – o di tri­bù –, o peo­nes invia­ti a rap­pre­sen­ta­re il nostro pae­se alla Nato.

Allo­ra aspet­tia­mo. Aspet­ta uno “scu­sa”, gene­ra­zio­ne nata negli anni ’80 e che asso­mi­gli sem­pre di più a quel­la dei tuoi non­ni che par­ti­va con le vali­ge di car­to­ne. Ma sia­mo con­sa­pe­vo­li che non arri­ve­ran­no. Quin­di meglio “levar­si dai piedi”.

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