Riforma Cartabia e referendum radicali, la politica improcedibile

L’unica soluzione possibile è ampliare gli organici, di giudici e cancellieri, senza toppe messe male come gli assistenti mal pagati dell’Ufficio del Giudice oppure il ricorso sistematico a magistrati precari, che hanno funzioni e doveri uguali ai togati, eccetto che per compensi e diritti.

È sem­pre dif­fi­ci­le espri­me­re un giu­di­zio poli­ti­ca­men­te neu­tro su rifor­me tec­ni­che, come quel­la det­ta “Car­ta­bia” del­la giu­sti­zia pena­le, dal nome del­la mini­stra pro­po­nen­te, per­ché è evi­den­te come sot­to l’aspetto tec­ni­co ci sia sem­pre un indi­riz­zo di carat­te­re politico.

Tut­ta­via, in que­sto caso, visto che sul­la rifor­ma pare sia sta­to tro­va­to un accor­do e che ver­rà appro­va­ta con voto di fidu­cia sull’attuale affol­la­tis­si­mo gover­no, il com­pi­to diven­ta più semplice.

In que­sto caso pare di capi­re che l’indirizzo poli­ti­co sia tut­to nel­la nor­ma che pre­ve­de l’improcedibilità dell’azione pena­le nel caso ven­ga­no supe­ra­ti deter­mi­na­ti limi­ti tem­po­ra­li nel pro­ces­so di appel­lo o nel giu­di­zio di cas­sa­zio­ne. Le altre modi­fi­che, ancor più tec­ni­che ma resi­dua­li, non rag­giun­go­no le pri­me pagi­ne dei gior­na­li, anche per­ché paio­no di buon senso.

Così, dopo le pole­mi­che sul­la rifor­ma Bona­fe­de che riguar­da­va la pre­scri­zio­ne, con l’intento di eli­mi­nar­la dopo il pri­mo gra­do di giu­di­zio, dan­do così cor­so a pro­ces­si poten­zial­men­te infi­ni­ti, ci si tro­va nell’estremo oppo­sto, cioè eli­mi­na­re fisi­ca­men­te tut­to il pro­ces­so se la fase d’appello dura più di due anni o quel­la in cas­sa­zio­ne più di uno (con ecce­zio­ni, pro­ro­ghe e vari distin­guo). In pra­ti­ca si andreb­be a but­ta­re il bam­bi­no con l’acqua spor­ca, facen­do sal­va, bon­tà loro, l’azione civi­le (come se nel civi­le i pro­ces­si duras­se­ro poco, sì, ciao).

Ora, pre­scin­den­do dai giu­di­zi dei pub­bli­ci mini­ste­ri di fat­to pre­sta­ti alla poli­ti­ca, appa­re evi­den­te come si sia pas­sa­ti dall’estremo iper­giu­sti­zia­li­sta del gover­no Con­te Bis, che, ricor­do, non com­pren­de­va solo il M5S ma anche il PD, Ita­lia Viva e gli elet­ti con LeU, a quel­lo iper­ga­ran­ti­sta del gover­no attua­le, che non a caso com­pren­de anche For­za Ita­lia e la Lega.
Solo che la giu­sti­zia non è tut­to que­sto: la giu­sti­zia non a caso è rap­pre­sen­ta­ta da una bilan­cia, per­ché ci sono dirit­ti che van­no bilan­cia­ti con altri dirit­ti, per con­sen­ti­re la miglior con­vi­ven­za civi­le pos­si­bi­le. Io non vedo alcun bilan­cia­men­to in nes­su­na del­le due riforme.
E inve­ce que­sto bilan­cia­men­to, que­sta equi­tà, que­sto “modus in rebus” dovreb­be esse­re la prio­ri­tà di qual­sia­si legi­sla­to­re, a mag­gior ragio­ne del legi­sla­to­re-gover­no, che impo­ne le nor­me con la fiducia.

Così come era assur­do che un pro­ces­so duras­se all’infinito per le lun­gag­gi­ni del­la magi­stra­tu­ra, e non cer­to degli avvo­ca­ti, se non in qual­che pro­ces­so mol­to media­ti­co a per­so­ne mol­to ric­che (ricor­do che nell’80% dei casi il rea­to si pre­scri­ve pri­ma del rin­vio a giu­di­zio, quan­do l’avvocato maga­ri non sa nep­pu­re che sia­no in cor­so le inda­gi­ni), con neces­si­tà quin­di di una nor­ma di civil­tà come quel­la del­la pre­scri­zio­ne, è altret­tan­to assur­do che un pro­ces­so di pri­mo gra­do, o addi­rit­tu­ra d’appello, ven­ga but­ta­to via per il sem­pli­ce decor­so del tem­po, cioè per fat­ti che pos­so­no anche esse­re com­ple­ta­men­te estra­nei al pro­ces­so stes­so.

Per­so­nal­men­te, nono­stan­te la pro­po­nen­te sia sta­ta Pre­si­den­te del­la Con­sul­ta e non un ex dee jay che non ave­va chia­ra la dif­fe­ren­za fra dolo e col­pa, ho qual­che dub­bio sul­la costi­tu­zio­na­li­tà del­la norma.

L’art. 111 del­la Costi­tu­zio­ne pre­ve­de, infat­ti, che la leg­ge deb­ba assi­cu­ra­re la “ragio­ne­vo­le dura­ta del pro­ces­so”. E dubi­to for­te­men­te che la “ragio­ne­vo­le dura­ta” pos­sa espri­mer­si con un sem­pli­ce con­to alla rove­scia in appel­lo o in cas­sa­zio­ne, pro­prio per­ché in que­sto modo andreb­be­ro a per­der­si tut­te le altre tute­le dell’art. 111, e il pro­ces­so non sareb­be più “giu­sto”.

Cer­to, diver­so sareb­be sta­to pre­ve­de­re l’improcedibilità non dell’azione pena­le ma dell’appello o del giu­di­zio in cas­sa­zio­ne, con con­se­guen­te pas­sag­gio in giu­di­ca­to, quin­di defi­ni­ti­vi­tà, del­la sen­ten­za impu­gna­ta, di pri­mo o secon­do gra­do (come acca­de nel civi­le quan­do un giu­di­zio è improcedibile).
Que­sto avreb­be signi­fi­ca­to ave­re le sen­ten­ze e non i sostan­zia­li annul­la­men­ti, che sono lo sco­po poli­ti­co indi­ret­to, però era­no sen­ten­ze che maga­ri non piacevano.

Il giu­di­zio è ugual­men­te nega­ti­vo sui sei refe­ren­dum pro­po­sti dai Radi­ca­li, caval­ca­ti e soste­nu­ti da Lega e Ita­lia Viva, che ne stan­no facen­do cam­pa­gna elet­to­ra­le permanente.

Il n. 1 e il n. 3 — vin­co­lo del­le fir­me per le can­di­da­tu­re al CSM e valu­ta­zio­ne pro­fes­sio­na­le dei magi­stra­ti — oltre che sostan­zial­men­te irri­le­van­ti, sono a mio avvi­so un’ingerenza inu­ti­le nell’autogoverno del­la Magistratura.

Il n. 2, quel­lo che pre­ve­de la respon­sa­bi­li­tà per­so­na­le del magi­stra­to, sta fra la ven­det­ta e l’intimidazione per­ma­nen­te, posto che chi subi­sce un dan­no per “col­pa” di giu­di­ci ha già tut­to il dirit­to di esse­re risar­ci­to, ma dal­lo Sta­to, men­tre chi lavo­ra bene e in buo­na fede (la mag­gior par­te dei magi­stra­ti) non può far­lo sot­to la spa­da di Damo­cle di pro­ces­si e risar­ci­men­ti diret­ti, per­ché anche solo un’azione civi­le è un pro­ble­ma, per quan­to infon­da­ta, e per far fun­zio­na­re il siste­ma non abbia­mo biso­gno cer­ta­men­te di cau­se intimidatorie.

Sul n. 4, che di fat­to pre­ve­de una nuo­va nor­ma posi­ti­va, cioè la sepa­ra­zio­ne del­le car­rie­re fra magi­stra­ti giu­di­can­ti e inqui­ren­ti, quin­di giu­di­ci e pub­bli­ci mini­ste­ri, ho for­ti dub­bi di ammis­si­bi­li­tà, per­ché è fat­to col copia incol­la. Ricor­do che la Con­sul­ta ha giu­di­ca­to inam­mis­si­bi­le il que­si­to sull’abrogazione del Jobs Act nel­la par­te in cui abo­li­va l’art. 18 del­lo Sta­tu­to dei Lavo­ra­to­ri, per il qua­le la CGIL ave­va rac­col­to più di tre milio­ni di fir­me, però for­mu­lan­do il que­si­to in modo che non ci si limi­tas­se all’abrogazione del­la nor­ma, ma che venis­se este­sa la tute­la anche ai dipen­den­ti di impre­se sot­to i 15 dipen­den­ti. In ogni caso, è un argo­men­to, pro­prio per­ché di carat­te­re non sem­pli­ce­men­te “abro­ga­ti­vo” che dovreb­be esse­re discus­so in parlamento.

Anche le limi­ta­zio­ni alla car­ce­ra­zio­ne pre­ven­ti­va, che inci­do­no solo sul requi­si­to del­la rei­te­ra­zio­ne del rea­to, sono argo­men­to tec­ni­co irri­ce­vi­bi­le in via refe­ren­da­ria, con nor­me, nel caso (ma non a pare­re mio) da modi­fi­ca­re in parlamento.

Dul­cis in fun­do, l’abrogazione inte­gra­le al n. 6 del decre­to Seve­ri­no, che pur con qual­che limi­te e qual­che ecces­so di rigo­re, nasce soprat­tut­to da vin­co­li euro­pei con­tro la corruzione.

La con­clu­sio­ne è che, se qual­co­sa è dav­ve­ro impro­ce­di­bi­le, inam­mis­si­bi­le o come meglio, per usa­re una for­mu­la tipi­ca del pro­ces­so civi­le, è l’approccio poli­ti­co alla que­stio­ne giu­sti­zia, che in real­tà è mol­to sem­pli­ce. Come si fa ad entra­re in un risto­ran­te con 200 coper­ti tut­ti occu­pa­ti in cui lavo­ra­no un solo cuo­co e un solo came­rie­re e spe­ra­re di esse­re ser­vi­ti pre­sto e di man­gia­re bene?

L’unica solu­zio­ne pos­si­bi­le è amplia­re gli orga­ni­ci, di giu­di­ci e can­cel­lie­ri, sen­za top­pe mes­se male come gli assi­sten­ti mal paga­ti dell’Ufficio del Giu­di­ce oppu­re il ricor­so siste­ma­ti­co a magi­stra­ti pre­ca­ri, che han­no fun­zio­ni e dove­ri ugua­li ai toga­ti, eccet­to che per com­pen­si e dirit­ti.

Tut­to il resto è sem­pre e comun­que rumo­re da cam­pa­gna elet­to­ra­le per­ma­nen­te, seguen­do la pan­cia del pro­prio elet­to­ra­to, anche con il bene­pla­ci­to dei “miglio­ri”, oppu­re resa incon­di­zio­na­ta pur di sta­re attac­ca­ti alla pol­tro­na, per­ché al gover­no, ricor­do, ci sono pra­ti­ca­men­te tutti.

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