Non è con le solite vecchie cose che si fanno cose nuove

Esultano per il loro fallimento. Davvero. La legge elettorale costata al PD le dimissioni di un capogruppo (Speranza), la "rimozione" di alcuni suoi deputati in Commissione, i voti di fiducia e il patetico orgoglio ululante di tutti i renziani è stata bocciata ma loro sono felici lo stesso: "mantenuto il nostro impianto", scriveva ieri Debora Serracchiani, in evidente fase di scollegamento dalla realtà. E ora rivendono le macerie come trofei e si preparano alla liturgia del voto.

Esul­ta­no per il loro fal­li­men­to. Dav­ve­ro. La leg­ge elet­to­ra­le costa­ta al PD le dimis­sio­ni di un capo­grup­po (Spe­ran­za), la “rimo­zio­ne” di alcu­ni suoi depu­ta­ti in Com­mis­sio­ne, i voti di fidu­cia e il pate­ti­co orgo­glio ulu­lan­te di tut­ti i ren­zia­ni è sta­ta boc­cia­ta ma loro sono feli­ci lo stes­so: “man­te­nu­to il nostro impian­to”, scri­ve­va ieri Debo­ra Ser­rac­chia­ni, in evi­den­te fase di scol­le­ga­men­to dal­la real­tà. E ora riven­do­no le mace­rie come tro­fei e si pre­pa­ra­no alla litur­gia del voto.

Eppu­re que­sto PD ormai è riu­sci­to ad anda­re addi­rit­tu­ra oltre alla sua chi­rur­gi­ca demo­li­zio­ne dive­nen­do l’ac­count poli­ti­co del suo segre­ta­rio e attor­ci­glian­do­si in quel­lo che Ber­sa­ni oggi in un’in­ter­vi­sta al Cor­rie­re del­la Sera defi­ni­sce “poli­ti­ci­smo” ma che ha tut­ta l’a­ria di esse­re ben altro: un tat­ti­ci­smo oppor­tu­ni­sta che mira all’au­to­pre­ser­va­zio­ne. Un par­ti­to che è divi­so ma alla fine si ricom­pat­ta; il soli­to uomo solo al coman­da e una mino­ran­za che bal­bet­ta su tec­ni­ci­smi (come ad esem­pio la leg­ge elet­to­ra­le) e poi sci­vo­la flui­da sui valo­ri; Ren­zi rap­pre­sen­ta­to come dimes­so e alla fine comun­que lea­der; insin­ce­ri­tà e dop­piez­ze che ven­go­no con­do­na­te come stra­te­gie e una voca­zio­ne mag­gio­ri­ta­ria alla (pro­prio) sopravvivenza.

Den­tro la mino­ran­za con­ti­nua, da anni, a evo­ca­re la scis­sio­ne: anni di minac­ce che diven­ta­no bela­ti. E nul­la cam­bia. Ora la nuo­va foglia di fico è “il nuo­vo Uli­vo”, come se bastas­se un resty­ling per siste­ma­re tut­to: chi c’e­ra fin­ge di non esser­ci mai sta­to e gli altri che fin­go­no di non ave­re mai soste­nu­to ciò che si è rive­la­to fal­li­men­ta­re. E fa nien­te che “il nuo­vo Uli­vo” sia un pro­get­to total­men­te diver­so (nei valo­ri, negli idea­li, nel­la visio­ne di futu­ro) da quel­lo che fu: ciò che con­ta è tro­va­re uno slo­gan che evi­ti di rac­con­ta­re un rea­le pro­get­to di governo.

Non è pota­bi­le, que­sto PD. Non è con le cose vec­chie o trat­te­nen­do insie­me i pez­zi che si può pen­sa­re di pro­get­ta­re un Pae­se e leg­ge­re un’e­po­ca. Ci vuo­le uno spa­zio bian­co, la voglia di usci­re dal recin­to. E biso­gna scri­ve­re qual­co­sa di nuo­vo, di libe­ro, di sin­ce­ro, di appas­sio­nan­te. Quel­la non è più politica.

Noi l’ab­bia­mo soste­nu­to quan­do non era di moda e non era per nien­te con­ve­nien­te, pagan­do­ne tut­te le con­se­guen­ze. Sen­za biso­gno di tra­ve­sti­men­ti e con­gres­si. Ora acca­de.

E c’è chi giu­sta­men­te festeg­gia. Alme­no in que­sto, solo in que­sto, è coerente.

Giu­lio Cavalli

Giu­sep­pe Civati

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