Matteo come Hillary, e il finale è già scritto

Ieri Beppe Grillo, prevedibilmente e pur con qualche distinguo, ha rivendicato di essere in sostanza il Donald Trump italiano, il che fa di Matteo Renzi la nostra Hillary Clinton: è una verità di per sé stessa evidente, come direbbe Thomas Jefferson.

Ieri Bep­pe Gril­lo, pre­ve­di­bil­men­te e pur con qual­che distin­guo, ha riven­di­ca­to di esse­re in sostan­za il Donald Trump ita­lia­no, il che fa di Mat­teo Ren­zi la nostra Hil­la­ry Clin­ton: è una veri­tà di per sé stes­sa evi­den­te, come direb­be Tho­mas Jefferson.

Il para­go­ne non è azzar­da­to, ma ha soli­de basi teo­ri­che: Hil­la­ry Clin­ton si è infat­ti can­di­da­ta a pro­se­gui­re, ven­t’an­ni dopo, quel­la Ter­za via che carat­te­riz­zò la lea­der­ship di suo mari­to Bill negli Usa e di Tony Blair in Gran Bre­ta­gna, e a cui Mat­teo Ren­zi ha sem­pre det­to di ispi­rar­si. Che con­si­ste­va, e con­si­ste, in un posi­zio­na­men­to inter­me­dio tra destra e sini­stra, nel­la con­ci­lia­zio­ne tra poli­ti­che eco­no­mi­che libe­ri­ste e poli­ti­che socia­li pro­gres­si­ste. Con uno sci­vo­la­men­to pro­gres­si­vo ver­so le pri­me, come si è visto nel tempo.

Le ele­zio­ni ame­ri­ca­ne han­no appe­na mostra­to che quel­la ricet­ta non con­vin­ce più, non è più adat­ta ai tem­pi, è invec­chia­ta ed è invec­chia­ta male. E non è arre­tra­ta solo rispet­to alle pro­po­ste di San­ders, prin­ci­pa­le avver­sa­rio del­la Clin­ton alle pri­ma­rie, ma anche rispet­to all’a­gen­da degli otto anni di pre­si­den­za Oba­ma: come se gli anni non fos­se­ro pas­sa­ti, come se non fos­se suc­ces­so nien­te da allo­ra, si pro­po­ne­va quin­di non di pro­se­gui­re sul per­cor­so ini­zia­to ma addi­rit­tu­ra di tor­na­re indie­tro, insom­ma una fol­lia totale.
Così, quan­do il cam­po demo­cra­ti­co ha tira­to un sospi­ro di sol­lie­vo per l’ap­pog­gio di Ber­nie San­ders a Hil­la­ry Clin­ton, con l’ac­co­gli­men­to da par­te del­la vin­ci­tri­ce del­le pri­ma­rie di alcu­ne del­le issues di San­ders, è rima­sto sul­lo sfon­do un enor­me nodo irri­sol­to: che tut­ta la cam­pa­gna di San­ders si basa­va sul supe­ra­men­to del lega­me tra finan­za e poli­ti­ca, un lega­me che Hil­la­ry Clin­ton incar­na e non vole­va — e pro­ba­bil­men­te nem­me­no pote­va — rinnegare.

Per la Clin­ton quel nodo è sta­to leta­le per­ché ha fin­to di non capi­re che non basta, per con­vin­ce­re gli elet­to­ri pro­gres­si­sti, ave­re una posi­zio­ne avan­za­ta sul­la can­na­bis, sul­l’im­mi­gra­zio­ne o sui dirit­ti civi­li, se poi si han­no tra i pro­pri finan­zia­to­ri le gran­di ban­che, se si vie­ne paga­ti mol­ti mol­ti sol­di per tene­re discor­si negli ambien­ti finan­zia­ri, e poi in cam­pa­gna elet­to­ra­le si rifiu­ta di rac­con­ta­re cosa con­te­ne­va­no quei discor­si, per vale­re così tan­to dena­ro. Que­sto non per smi­nui­re i dirit­ti civi­li, anzi, ma per­ché sen­za una coe­ren­za com­ples­si­va si fini­sce addi­rit­tu­ra per dan­neg­giar­li, per deser­ti­fi­ca­re il cam­po in cui dovreb­be­ro inne­star­si, oltre che for­ni­re alle destre la for­mi­da­bi­le occa­sio­ne di usar­li sul­le fasce più debo­li del­la popo­la­zio­ne come esem­pio di ipo­cri­sia e faci­le cau­sa di tut­ti i mali.

Quin­di sì, per veni­re a noi, la leg­ge ita­lia­na sul­le unio­ni civi­li è un pas­so in avan­ti — pur se insuf­fi­cien­te — ma in ogni caso non basta a com­pen­sa­re il jobs act e la pro­gres­si­va distru­zio­ne dei dirit­ti dei lavo­ra­to­ri (per cita­re un esem­pio lam­pan­te ma non uni­co). E non basta ad anco­ra­re il Pd nel cam­po pro­gres­si­sta, spe­cie a fron­te di un’o­sten­ta­ta vici­nan­za di Ren­zi e del suo par­ti­to a Con­fin­du­stria, alle ban­che, insom­ma all’e­sta­blish­ment: le sue posi­zio­ni su temi qua­li appun­to i dirit­ti civi­li e l’im­mi­gra­zio­ne (per non par­la­re del­la can­na­bis) sono peral­tro deci­sa­men­te più timi­de — or, as we say in Ita­ly, “demo­cri­stia­ne” — di quel­le del­la Clin­ton, men­tre in com­pen­so le sue usci­te alle assem­blee degli indu­stria­li o dei costrut­to­ri sono per­si­no più sfac­cia­te. Hil­la­ry può alme­no riven­di­ca­re di aver avu­to il voto dei mil­len­nials, men­tre Ren­zi non ha nem­me­no quel­lo, e in que­sto momen­to rap­pre­sen­ta mal­gra­do i suoi sfor­zi leo­pol­di­ni e la reto­ri­ca del sì al refe­ren­dum una con­ser­va­zio­ne a tut­to ton­do, vici­na agli inte­res­si finan­zia­ri e sor­da al males­se­re di par­ti sem­pre più vaste del­la società.

Quel­lo che è arri­va­to dagli elet­to­ri ame­ri­ca­ni è quin­di uno schiaf­fo alla cul­tu­ra del com­pro­mes­so, all’im­po­si­zio­ne del meno peg­gio, alla tesi gover­ni­sta per cui “qual­co­sa è meglio di nien­te” (con cui incre­di­bil­men­te i soste­ni­to­ri del sì al refe­ren­dum pro­muo­vo­no la rifor­ma costi­tu­zio­na­le, con­ten­ti loro), all’ar­ro­gan­za con cui si è bol­la­ta di inge­nui­tà e di man­can­za di prag­ma­ti­smo qual­sia­si pro­po­sta se non ambi­zio­sa quan­to­me­no ragio­ne­vo­le o miglio­ra­ti­va venu­ta da sini­stra in que­sti anni, e dovreb­be far pro­fon­da­men­te riflet­te­re pro­prio la sini­stra che sta anco­ra nel Pd per cam­biar­lo da den­tro o vi si vuo­le allea­re da fuo­ri: per­ché non è più cre­di­bi­le gover­na­re con un par­ti­to che si è lega­to indis­so­lu­bil­men­te a inte­res­si che non sono quel­li dei suoi elet­to­ri, e nem­me­no fin­ge più che non sia così, anzi lo rivendica.

È per que­sto che quan­do Ren­zi e i suoi ret­wit­ta­to­ri seria­li usa­no l’e­sem­pio di San­ders per richia­ma­re le mino­ran­ze all’u­ni­tà dimo­stra­no di non ave­re la più pal­li­da idea di quel­lo di cui stan­no par­lan­do: per­ché se il richia­mo alla linea non fun­zio­na in un pae­se come l’A­me­ri­ca, che non solo è bipo­la­re ma è sostan­zial­men­te bipar­ti­ti­co, figu­ria­mo­ci se può fun­zio­na­re in un pae­se come l’I­ta­lia che come mini­mo di poli ne ha tre e di par­ti­ti (e di cul­tu­re poli­ti­che, mal­gra­do tut­to) un’infinità.

E il paral­le­lo tra Mat­teo, Hil­la­ry e ciò che è suc­ces­so in Ame­ri­ca non si limi­ta alla poli­ti­ca, riguar­da anche i gran­di gior­na­li e tut­ti gli altri pote­ri for­ti. Come ha dimo­stra­to la not­te elet­to­ra­le ame­ri­ca­na, più i media, per­si­no quan­do la cri­ti­ca­va­no, dipin­ge­va­no Hil­la­ry Clin­ton come una scel­ta obbli­ga­ta e sen­za alter­na­ti­ve, più ren­de­va­no dif­fi­den­ti gli elet­to­ri e li spin­ge­va­no ver­so Trump, o sem­pli­ce­men­te all’a­sten­sio­ne. Esat­ta­men­te come in Ita­lia, dove con mio­pia e stu­pi­di­tà tut­ti i cosid­det­ti pote­ri for­ti del pae­se, dai grup­pi edi­to­ri dei gior­na­li a Con­fin­du­stria (e per parec­chio tem­po anche Ber­lu­sco­ni, non dimen­ti­chia­mo­lo) han­no pun­ta­to su Ren­zi, e più ci inve­sto­no più spin­go­no il Pae­se ver­so Bep­pe Gril­loIt’s that sim­ple. Ed è pure incom­pren­si­bi­le: se si teme Gril­lo, e se la ricet­ta che si pro­pi­na (Ren­zi, e la cul­tu­ra del pen­sie­ro uni­co che incar­na) non pia­ce, che sen­so ha insi­ste­re che va man­gia­ta a tut­ti i costi fino a far­se­la tira­re in fac­cia? Non è meglio pro­por­ne altre?

Se non si ini­zia a costrui­re una pro­po­sta real­men­te diver­sa, a for­ni­re un’al­ter­na­ti­va, quan­do l’i­ne­vi­ta­bi­le acca­drà, i mer­ca­ti andran­no a pic­co e si sca­te­ne­ran­no gli opi­nio­ni­sti pie­ni di pre­oc­cu­pa­zio­ne, scan­da­lo e pani­co, gli stes­si che han­no cau­sa­to il gua­io si inter­ro­ghe­ran­no per capi­re come è potu­to suc­ce­de­re. Ma quel gior­no sarà trop­po tar­di, baste­reb­be ren­der­se­ne con­to ades­so. E, posto che è legit­ti­mo che i media — così come i loro azio­ni­sti — fac­cia­no scel­te di cam­po anche poli­ti­co, non dovreb­be­ro comun­que subor­di­nar­le alla loro mis­sion di fare una cor­ret­ta infor­ma­zio­ne, così come sareb­be sag­gio, dal pun­to di vista stra­te­gi­co, riflet­te­re sul­l’op­por­tu­ni­tà di insi­ste­re così ottu­sa­men­te nel­la osti­na­ta col­ti­va­zio­ne di un pen­sie­ro uni­co e sen­za alter­na­ti­ve (never put all eggs in one basket) e sul rifiu­to che que­sto ha gene­ra­to nei loro (ex) lettori.

Cer­to, si potreb­be obiet­ta­re che anche ammet­ten­do la fon­da­tez­za que­sta tesi il cam­po del­la sini­stra ita­lia­na è mes­so peg­gio di quel­lo del­la sini­stra ame­ri­ca­na (il che è tut­to dire), che è tal­men­te deva­sta­to che in ogni caso non ci si può far nul­la. Più che un dibat­ti­to sul­la sini­stra, però, ser­ve piut­to­sto occu­par­si di sala­rio mini­mo ora­rio e red­di­to di soste­gno, di discu­te­re su come far paga­re le tas­se alle mul­ti­na­zio­na­li e agli eva­so­ri, e la tas­sa sul­la casa alle vil­le, di abbas­sar­le a chi ne ha più biso­gno inve­ce di dare bonus a chi sta bene (e così via). A pat­to però che mol­ti di quel­li che negli ulti­mi anni han­no inve­sti­to sul­l’e­si­sten­te, e che a que­sto pun­to qual­che dub­bio dovreb­be­ro pur esser­se­lo fat­to veni­re, si chia­ri­sca­no le idee sul qua­dro gene­ra­le e ini­zi­no a con­si­de­ra­re l’i­dea di inve­sti­re il loro tem­po e le loro risor­se nel­la costru­zio­ne di qual­co­sa di diver­so: qual­co­sa che abbia sen­so, però, e che sia coe­ren­te. Per­ché non è più tem­po per le scel­te a metà.
E per­ché se va avan­ti così il fina­le è già scrit­to, e lamen­tar­si sarà tar­di­vo e inutile.

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