L’Europa a sessant’anni dai Trattati di Roma

Dobbiamo pretendere che le forze politiche europeiste offrano soluzioni differenti e che i cittadini possano scegliere tra queste. Ciò vale a livello nazionale, dove pure, almeno in una certa fase si è ritenuto di adottare lo schema “t.i.n.a.” e vale a livello europeo. Perché anche l’Europa appartiene al popolo.

A sessant’anni dai trat­ta­ti di Roma, isti­tu­ti­vi del­la Comu­ni­tà eco­no­mi­ca euro­pea e del­la Comu­ni­tà euro­pea dell’energia ato­mi­ca, pos­sia­mo cer­ta­men­te dire che le Comu­ni­tà euro­pee han­no con­se­gui­to gran­di risul­ta­ti e allo stes­so tem­po che la loro diret­ta discen­den­te, l’Unione euro­pea, gode di pes­si­ma salu­te.

Il refe­ren­dum per l’uscita del Regno Uni­to ha rap­pre­sen­ta­to, a pochi mesi da que­sto solen­ne anni­ver­sa­rio, il pri­mo segno di inver­sio­ne di ten­den­za rispet­to al pro­gres­si­vo allar­ga­men­to e dimo­stra che la capa­ci­tà attrat­ti­va dell’Unione è cer­ta­men­te in declino.

Anche in Ita­lia, uno dei Pae­si fon­da­to­ri, tra­di­zio­nal­men­te euro­pei­sta, la fidu­cia nei con­fron­ti dell’Unione è in for­te calo. Non c’è da stu­pir­se­ne visto come stan­no andan­do le cose, vista la rinun­cia sem­pre più evi­den­te ad affron­ta­re le que­stio­ni con meto­do comu­ni­ta­rio a favo­re di accor­di tra Gover­ni in cui è più faci­le che pre­val­ga il più forte.

La logi­ca inter­go­ver­na­ti­va è in fon­do esat­ta­men­te la nega­zio­ne di quel­la comu­ni­ta­ria, che attra­ver­so un siste­ma del tut­to inno­va­ti­vo rispet­to a quel­lo di qua­lun­que altra orga­niz­za­zio­ne inter­na­zio­na­le con­sen­te alle isti­tu­zio­ni del­le Comu­ni­tà (e quin­di ora dell’Unione) di inci­de­re diret­ta­men­te sui cit­ta­di­ni degli Sta­ti mem­bri, poi dive­nu­ti cit­ta­di­ni dell’Unione europea.

Il poten­zia­men­to del­la logi­ca sovra­na­zio­na­le a disca­pi­to di quel­la inter­go­ver­na­ti­va da un lato richie­de alcu­ni ripen­sa­men­ti isti­tu­zio­na­li (secon­do quan­to emer­ge anche da una recen­te inter­vi­sta a Vale­ry Giscard d’Estaing a L’Espresso, che ricor­da come le isti­tu­zio­ni sono sta­te con­ce­pi­te per un diver­so nume­ro di Pae­si) ma dall’altro richie­de mag­gio­re rispet­to e rico­no­sci­men­to del ruo­lo del­le sedi isti­tu­zio­na­li esi­sten­ti, due del­le qua­li (Con­si­glio euro­peo e Con­si­glio) vedo­no comun­que la pre­sen­za dei gover­ni nazionali.

Que­sto si rea­liz­za con una valo­riz­za­zio­ne del carat­te­re poli­ti­co dell’Unione, ripren­den­do, in fon­do, il dise­gno del­le ori­gi­ni. Le Comu­ni­tà euro­pee, infat­ti, nasco­no cer­ta­men­te con un ogget­to eco­no­mi­co (la pri­ma di que­ste – fon­da­ta nel 1951 – essen­do la Comu­ni­tà euro­pea del car­bo­ne e dell’acciaio), ma con un’aspirazione poli­ti­ca. Ciò risul­ta chia­ra­men­te dal­la dichia­ra­zio­ne di Schu­man del 9 mag­gio 1950, nel­la qua­le leg­gia­mo, tra l’altro, che «la fusio­ne del­la pro­du­zio­ni di car­bo­ne e di accia­io assi­cu­re­rà subi­to la costi­tu­zio­ne di basi comu­ni per lo svi­lup­po eco­no­mi­co, pri­ma tap­pa del­la Fede­ra­zio­ne euro­pea» e che «que­sta pro­po­sta, met­ten­do in comu­ne le pro­du­zio­ni di base e isti­tuen­do una nuo­va Alta Auto­ri­tà, le cui deci­sio­ni saran­no vin­co­lan­ti per la Fran­cia, la Ger­ma­nia e i pae­si che vi ade­ri­ran­no, costi­tui­rà il pri­mo nucleo con­cre­to di una Fede­ra­zio­ne euro­pea indi­spen­sa­bi­le al man­te­ni­men­to del­la pace» (per l’intero docu­men­to, qui).

Un’analoga impo­sta­zio­ne pare riscon­tra­bi­le nel discor­so pro­nun­cia­to da Jean Mon­net, in occa­sio­ne del­la sedu­ta inau­gu­ra­le del­la Cor­te di giu­sti­zia del­la CECA (1952). Il pri­mo Pre­si­den­te dell’Alta Auto­ri­tà del­la Comu­ni­tà euro­pea del car­bo­ne e dell’acciaio, infat­ti, sosten­ne, in quell’occasione, che «per la pri­ma vol­ta si riu­ni­sce una Cor­te sovra­na euro­pea. Io salu­to in voi non solo la Cor­te del­la CECA, ma anche la pro­spet­ti­va di una Cor­te supre­ma fede­ra­le europea».

In sostan­za, quan­do, nel 1951, nasce la Ceca, lo sguar­do è già rivol­to oltre, ver­so una fede­ra­zio­ne, che pure era sta­ta da tem­po (e in par­ti­co­la­re da pri­ma dell’emergere del­le dit­ta­tu­re fasci­ste e nazio­na­li­ste) affac­cia­ta in più sedi di rifles­sio­ne poli­ti­ca e cul­tu­ra­le (F. Cha­bod, Sto­ria dell’idea d’Europa, Later­za, Bari, 1961). Que­ste aspi­ra­zio­ni paio­no tro­va­re ini­zial­men­te una più pre­ci­sa con­cre­tiz­za­zio­ne con il trat­ta­to isti­tu­ti­vo del­la Comu­ni­tà euro­pea di dife­sa (CED) e il pro­get­to di trat­ta­to del­la Comu­ni­tà poli­ti­ca euro­pea (CPE), che, soprat­tut­to per volon­tà dell’Italia e del suo Pre­si­den­te del Con­si­glio dei mini­stri De Gaspe­ri, risul­ta­va sin dall’art. 38 del trat­ta­to CED, in base al qua­le si sareb­be dovu­to dar vita ad «una strut­tu­ra fede­ra­le o con­fe­de­ra­le ulte­rio­re, fon­da­ta sul prin­ci­pio del­la sepa­ra­zio­ne dei pote­ri e inclu­si­va, in par­ti­co­la­re, di un siste­ma rap­pre­sen­ta­ti­vo bica­me­ra­le». Pur­trop­po, però, il Trat­ta­to CED fu riget­ta­to dall’Assemblea nazio­na­le fran­ce­se con con­se­guen­te accan­to­na­men­to anche del pro­get­to di trat­ta­to isti­tu­ti­vo del­la CPE. Sol­tan­to a con­clu­sio­ne del­la Con­fe­ren­za di Mes­si­na del 1955 gli Sta­ti mem­bri del­la CECA par­ve­ro ritro­va­re un accor­do per un ulte­rio­re svi­lup­po del siste­ma comu­ni­ta­rio alme­no in ambi­to eco­no­mi­co, isti­tuen­do un Comi­ta­to di esper­ti sot­to la gui­da del Mini­stro degli este­ri bel­ga Paul Hen­ry Spaak, che l’anno suc­ces­si­vo pre­sen­tò un Rap­por­to a segui­to del qua­le, con i Trat­ta­ti di Roma del 1957 ven­ne­ro isti­tui­te la Comu­ni­tà euro­pea dell’energia ato­mi­ca (CEEA o Eura­tom) e la Comu­ni­tà eco­no­mi­ca euro­pea (CEE), sul model­lo del­la CECA.

Come si vede, quin­di, sin dall’inizio la feli­ce intui­zio­ne del meto­do comu­ni­ta­rio (stru­men­to per supe­ra­re le sovra­ni­tà sta­ta­li) risul­ta – per ripren­de­re l’immagine usa­ta da Cala­man­drei per la Costi­tu­zio­ne ita­lia­na – “pre­sbi­te” rispet­to alla poli­ti­ca dei gover­ni degli Sta­ti mem­bri, sep­pu­re si deb­ba rico­no­sce­re che dopo il 1957 abbia avu­to uno svi­lup­po impor­tan­te che ha inci­so posi­ti­va­men­te non solo sull’andamento del­le eco­no­mie euro­pee (tan­to da ave­re attrat­to un nume­ro cre­scen­te di Sta­ti, alcu­ni dei qua­li han­no anche abban­do­na­to altre orga­niz­za­zio­ni eco­no­mi­che dal pro­fi­lo più clas­si­ca­men­te inter­na­zio­na­li­sta come l’EFTA) ma anche sui dirit­ti dei cit­ta­di­ni, attra­ver­so la Con­ven­zio­ne euro­pea dei dirit­ti dell’uomo e le tra­di­zio­ni costi­tu­zio­na­li comu­ni degli Sta­ti mem­bri e poi anche attra­ver­so la Car­ta dei dirit­ti fon­da­men­ta­li dell’Unione euro­pea. E non è un caso che que­sto sia sta­to pos­si­bi­le soprat­tut­to gra­zie a un’istituzione – la Cor­te di giu­sti­zia – in cui non sono pre­sen­ti i gover­ni e in cui i com­po­nen­ti non sie­do­no in rap­pre­sen­tan­za degli Sta­ti, risul­tan­do così con­no­ta­ta per il suo carat­te­re più evi­den­te­men­te sovranazionale.

Vice­ver­sa le scel­te eco­no­mi­che sem­bra­no segui­re sem­pre più evi­den­te­men­te una logi­ca inter­go­ver­na­ti­va. Il più discus­so (e per mol­ti ver­si discu­ti­bi­le) dei trat­ta­ti, il Fiscal com­pact, cioè il Trat­ta­to sul­la sta­bi­li­tà, sul coor­di­na­men­to e sul­la gover­nan­ce dell’Unione Euro­pea è sta­to fir­ma­to da 25 pae­si mem­bri il 2 mar­zo 2012 e non è ad oggi par­te del dirit­to dell’Unione (l’art. 16 pre­ve­den­do che “Al più tar­di entro cin­que anni dal­la data di entra­ta in vigo­re del pre­sen­te trat­ta­to, sul­la base di una valu­ta­zio­ne del­l’e­spe­rien­za matu­ra­ta in sede di attua­zio­ne, sono adot­ta­te in con­for­mi­tà del trat­ta­to sul­l’U­nio­ne euro­pea e del trat­ta­to sul fun­zio­na­men­to del­l’U­nio­ne euro­pea le misu­re neces­sa­rie per incor­po­ra­re il con­te­nu­to del pre­sen­te trat­ta­to nel­l’or­di­na­men­to giu­ri­di­co del­l’U­nio­ne euro­pea”) ma impo­ne rego­le in mate­ria di con­te­ni­men­to del disa­van­zo pub­bli­co, la ridu­zio­ne del debi­to e il con­se­gui­men­to del pareg­gio di bilan­cio che limi­ta­no for­te­men­te i pote­ri di deci­sio­ne poli­ti­ca degli Sta­ti mem­bri, a par­ti­re dal nostro che è sta­to l’unico a inse­ri­re il pareg­gio di bilan­cio in Costi­tu­zio­ne (con una revi­sio­ne vota­ta con la mag­gio­ran­za dei due ter­zi). Ciò deter­mi­na – come ha scrit­to De Ioan­na – la tra­sfor­ma­zio­ne del qua­dro pre­vi­sio­na­le degli orga­ni tec­ni­ci in un vin­co­lo giu­ri­di­co sul­la base di pro­ces­si etero-diretti.

Ora, il nodo da cui ripar­ti­re per rilan­cia­re l’Unione euro­pea sta pro­prio qui: nel suo svi­lup­po anzi­tut­to demo­cra­ti­co. Ser­ve quin­di, a nostro avvi­so, un miglio­ra­men­to del cir­cui­to demo­cra­ti­co, con l’organo espres­sio­ne diret­ta del popo­lo euro­peo (il Par­la­men­to) cer­ta­men­te poten­zia­to nel suo ruo­lo ed elet­to con moda­li­tà meno lega­te ai sin­go­li Sta­ti, ser­ve un mag­gio­re coin­vol­gi­men­to dei cit­ta­di­ni attra­ver­so isti­tu­ti di demo­cra­zia diret­ta, un dibat­ti­to pub­bli­co più euro­peo e meno lega­to alle esi­gen­ze nazio­na­li, una mag­gio­re tra­spa­ren­za dei pro­ce­di­men­ti deci­sio­na­li di tut­te le isti­tu­zio­ni e for­se anche una valu­ta­zio­ne cir­ca l’opportunità di eleg­ge­re – in un qua­dro isti­tu­zio­na­le con un Par­la­men­to raf­for­za­to – diret­ta­men­te un Pre­si­den­te. Ma in que­sto con­te­sto e ancor pri­ma che que­sto even­tual­men­te si rea­liz­zi anche nell’attuale è neces­sa­rio che le for­ze poli­ti­che pro­pon­ga­no ricet­te poli­ti­che alter­na­ti­ve. Infat­ti, la ten­den­za a rap­pre­sen­ta­re mol­te deci­sio­ni come mera­men­te tec­ni­che e l’asse tra i due prin­ci­pa­li rag­grup­pa­men­ti poli­ti­ci han­no spes­so indi­ca­to alcu­ne scel­te come le uni­che pos­si­bi­li (sul­la base dell’adagio per cui “non ci sono alter­na­ti­ve”, il “t.i.n.a.” di tat­che­ria­na memo­ria), men­tre in demo­cra­zia – come l’Europa sul­la base non solo dei pro­pri trat­ta­ti, ma pri­ma anco­ra del­le tra­di­zio­ni costi­tu­zio­na­li comu­ni degli Sta­ti mem­bri non può che esse­re – deve esser­ci sem­pre un’alternativa. Per que­sto rite­nia­mo mol­to sba­glia­to e peri­co­lo­so per l’Europa che ven­ga indi­vi­dua­ta come uni­ca con­trap­po­si­zio­ne quel­la tra euro­pei­sti e sovra­ni­sti, che rischia di dipin­ge­re i pri­mi come con­ser­va­to­ri dell’esistente, inca­pa­ci di for­ni­re un’alternativa alle poli­ti­che fin qui svi­lup­pa­te. È inve­ce da auspi­ca­re, ma anzi, da pre­ten­de­re che le for­ze poli­ti­che euro­pei­ste offra­no solu­zio­ni dif­fe­ren­ti e che i cit­ta­di­ni pos­sa­no sce­glie­re tra que­ste. Ciò vale a livel­lo nazio­na­le, dove pure, alme­no in una cer­ta fase si è rite­nu­to di adot­ta­re lo sche­ma “t.i.n.a.” e vale a livel­lo euro­peo. Per­ché anche l’Europa appar­tie­ne al popo­lo.

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