La tutela dei suoli, in tutto il mondo

«Sen­za il suo­lo, scor­da­te­vi il cibo» è il tito­lo che abbia­mo scel­to per sin­te­tiz­za­re l’intervista al pro­fes­sor Pao­lo Pile­ri, urba­ni­sta ed esper­to di con­su­mo di suo­lo. Un tito­lo estre­ma­men­te chia­ro, che ci por­ta in un istan­te alla base di tut­to — ma pro­prio tut­to! Per­ché pos­sia­mo girar­ci attor­no quan­to voglia­mo, imma­gi­nan­do chis­sà qua­li tec­no­lo­gie futu­ri­sti­che, ma la real­tà ci impo­ne di fare i con­ti con un prin­ci­pio asso­lu­ta­men­te bana­le: se ven­go­no a man­ca­re le risor­se natu­ra­li, «nutri­re il pia­ne­ta» non può che resta­re sola­men­te un buon pro­po­si­to.

La risor­sa natu­ra­le di cui stia­mo par­lan­do si chia­ma “suo­lo”. Ne abbia­mo discus­so, in “Expo del­la digni­tà”, con il pro­fes­sor Pile­ri, appun­to, ma ne abbia­mo discus­so anche con Rober­to Bar­bie­ri, diret­to­re gene­ra­le di Oxfam Ita­lia, che per par­la­re di distri­bu­zio­ne mon­dia­le del­la ric­chez­za ha par­la­to di ter­ra e in par­ti­co­la­re di acces­so alla ter­ra qua­le requi­si­to mini­mo «per con­dur­re una vita digni­to­sa». Il rife­ri­me­no di Bar­bie­ri, per­ciò, è comun­que a quel «sot­ti­le stra­to di suo­lo, pro­fon­do da 30 a 100 cm»[1] dal qua­le dipen­de la pro­du­zio­ne di cibo.

Da que­sto sot­ti­le stra­to di suo­lo – in par­ti­co­la­re agri­co­lo – deri­va il 95% del cibo che fini­sce sul­le nostre tavo­le, e pos­sia­mo sola­men­te imma­gi­na­re la minac­cia alla qua­le ci stia­mo affac­cian­do citan­do due dati: per for­ma­re 2,5 cen­ti­me­tri di suo­lo sono neces­sa­ri alme­no 500 anni, e nel frat­tem­po il con­su­mo di suo­lo, in Ita­lia, avan­za a una velo­ci­tà di 8 metri qua­dra­ti al secon­do. Ecco per­ché tute­la­re i suo­li è fon­da­men­ta­le, ed è neces­sa­rio far­lo attra­ver­so stru­men­ti nor­ma­ti­vi e iniet­tan­do respon­sa­bi­li­tà nei nostri ammi­ni­stra­to­ri. Al riguar­do, dichia­ra Pileri:

Se tut­ti noi doves­si­mo segui­re una die­ta ali­men­ta­re di più o meno 2.500 calo­rie al gior­no, come dovreb­be esse­re, sen­za ecces­si, allo­ra un etta­ro — cioè die­ci­mi­la metri qua­dra­ti — di ter­re­no agri­co­lo potreb­be dare da man­gia­re a sei per­so­ne con una die­ta varia (che com­pren­da frut­ta, car­ne, olio, vino, tut­to quel­lo che vole­te). Per­ché è neces­sa­rio sape­re que­sta infor­ma­zio­ne? Per­ché ogni vol­ta che l’urbanizzazione avan­za, man­gian­do­si aree agri­co­le o aree che anche se non sono agri­co­le potreb­be­ro esser­lo, quel­le aree smet­te­ran­no di pro­dur­re cibo per sem­pre. Per­ché l’urbanizzazione pro­du­ce cemen­ti­fi­ca­zio­ne e dal cemen­to non nasco­no né fio­ri né spi­ghe di gra­no. Di con­se­guen­za si ridu­ce la quan­ti­tà di per­so­ne che pos­so­no cibar­si. Allo­ra l’idea qual è? L’idea è iniet­ta­re respon­sa­bi­li­tà nel­le ammi­ni­stra­zio­ni che deci­do­no, con i loro pia­ni urba­ni­sti­ci loca­li, di urba­niz­za­re, chie­den­do­gli di fare pri­ma i con­ti, di stu­dia­re quan­ti resi­den­ti nel loro comu­ne rie­sco­no a sfa­ma­re con le ter­re che ci sono anco­ra libe­re nei comu­ni stes­si. E se sco­pro­no che — come pur­trop­po c’è il rischio di sco­pri­re — le ter­re che han­no libe­re non sono suf­fi­cien­ti nean­che alla metà, nean­che a un ter­zo dei loro abi­tan­ti già pre­sen­ti, allo­ra con qua­le respon­sa­bi­li­tà potran­no deci­de­re di pri­var­ci di un futu­ro di cibo per rea­liz­za­re maga­ri un’edilizia che, tra l’altro, oggi, non ser­ve più per­ché ne abbia­mo in sovrab­bon­dan­za, ne abbia­mo vuo­ta, ne abbia­mo da riu­ti­liz­za­re? Ovvia­men­te occor­re una visio­ne ampia su cui fare que­sti cal­co­li e occor­re una capa­ci­tà di soli­da­rie­tà inte­ri­sti­tu­zio­na­le che oggi è una del­le ric­chez­ze da risco­pri­re. Voglio dire che se un Comu­ne ha abbon­dan­za di ter­re­no e quel­lo di fian­co no, si dovrà fare cari­co del fab­bi­so­gno ali­men­ta­re di quel­lo, e non egoi­sti­ca­men­te infi­schiar­se­ne. Ovvio che tale visio­ne richie­de di nuo­vo isti­tu­zio­ni e poli­ti­ca capa­ci di soste­ne­re tut­to ciò. Ovvio che quel­lo che dicia­mo richie­de cam­bia­men­ti che, ine­vi­ta­bil­men­te, pro­du­co­no mal di pan­cia per­ché biso­gna cam­bia­re abi­tu­di­ni. Brut­te abitudini.

E se il con­su­mo di suo­lo, limi­tan­do la nostra capa­ci­tà di pro­du­zio­ne ali­men­ta­re, espo­ne il nostro Pae­se ai prez­zi e alle dispo­ni­bi­li­tà di cibo degli altri pae­si. E allo­ra tor­nia­mo alle paro­le di Rober­to Bar­bie­ri, e alle poli­ti­che mes­se in atto da alcu­ni inve­sti­to­ri nei con­fron­ti dei Pae­si del Sud del mon­do:

Negli ulti­mi quin­di­ci anni, si è assi­sti­to ad un pre­oc­cu­pan­te feno­me­no di land­grab­bing, ovve­ro di acca­par­ra­men­ti di ter­ra da par­te di inve­sti­to­ri stra­nie­ri a dan­no del­le comu­ni­tà loca­li, che vedo­no così sot­trar­si l’accesso alle risor­se natu­ra­li per la con­du­zio­ne del­la pro­pria atti­vi­tà agri­co­la, fon­te essen­zia­le per la loro stes­sa soprav­vi­ven­za. Que­sto feno­me­no tro­va com­pli­ci­tà nei Gover­ni cor­rot­ti e in un siste­ma di gover­nan­ce nazio­na­le e inter­na­zio­na­le debo­le per la tute­la dei dirit­ti fon­dia­ri. Dal 2000, le acqui­si­zio­ni di ter­ra su lar­ga sca­la han­no riguar­da­to oltre 38 milio­ni di etta­ri, una super­fi­cie ben più gran­de di tut­to il ter­ri­to­rio ita­lia­no. Una buo­na par­te di que­ste acqui­si­zio­ni può esse­re con­si­de­ra­ta un’operazione di land­grab­bing a tut­ti gli effet­ti, che ha cau­sa­to l’espulsione da quel­le stes­se ter­re di con­ta­di­ni che non han­no visto rico­no­sciu­ti i loro dirit­ti di pro­prie­tà o di utilizzo.

Le con­se­guen­ze di que­sto feno­me­no esa­spe­ra­no quin­di le con­di­zio­ni di pover­tà e disu­gua­glian­za del­le comu­ni­tà rura­li più pove­re e vul­ne­ra­bi­li, che vedo­no vio­la­ti i loro dirit­ti sen­za alcu­na com­pen­sa­zio­ne, per­do­no l’accesso alle risor­se da cui dipen­de la pro­pria soprav­vi­ven­za e diven­ta­no sog­get­ti a mag­gio­re insi­cu­rez­za alimentare.

Cau­se diver­se, con­te­sti estre­ma­men­te diver­si, ma un rap­por­to di fon­do — quel­lo tra pro­du­zio­ne ali­men­ta­re e risor­se natu­ra­li — impos­si­bi­le da scin­de­re, e impos­si­bi­le da igno­ra­re, se lo sco­po è «nutri­re il pia­ne­ta», come dice­va­mo all’inizio.

I con­tri­bu­ti com­ple­ti sono con­te­nu­ti in Expo del­la digni­tà — Con­tro la fame e ogni sfrut­ta­men­to.

[1] Pao­lo Pile­ri, Che cosa c’è sot­to, Altre­co­no­mia, 2015

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