Il naufragio dei diritti umani, il respingimento della civiltà e un approdo possibile

La vicenda della nave italiana Asso 28 che ha soccorso (giustamente) 108 migranti nel Mediterraneo, in acque internazionali rientranti nella zona SAR (ricerca e soccorso in mare) libica, ma li ha riportati (ingiustamente) in Libia, da dove erano fuggiti rappresenta, ad oggi, il punto più profondo di rottura di quella tradizione di rispetto dei diritti umani che nasce da così lontano e rischia di morire così vicino, storicamente e geograficamente, a noi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Nau­si­caa, figlia del re dei Fea­ci, acco­glie il nau­fra­go Ulis­se e così si rivol­ge alle sue ancel­le, impau­ri­te dal­la vista del­lo stra­nie­ro appro­da­to sul­la spiaggia:

Ma que­sti è un mise­ro nau­fra­go, che c’è capi­ta­to, e dob­bia­mo curar­ce­ne: ven­gon tut­ti da Zeus gli ospi­ti e i pove­ri; e un dono, anche pic­co­lo, è caro.

Alla base del­la cul­tu­ra dei dirit­ti uma­ni c’è la civil­tà gre­ca, con i suoi miti e i suoi rac­con­ti, fil­tra­ti dai filo­so­fi e poi dai pen­sa­to­ri cri­stia­ni, tran­si­ta­ti nel pen­sie­ro filo­so­fi­co e poli­ti­co e infi­ne rac­col­ti nel­le Costi­tu­zio­ni del­la nostra vec­chia e stan­ca (ma ama­tis­si­ma) Euro­pa, un tem­po ter­ra d’a­si­lo e nel­le Con­ven­zio­ni internazionali.

La vicen­da del­la nave ita­lia­na Asso 28 che ha soc­cor­so (giu­sta­men­te) 108 migran­ti nel Medi­ter­ra­neo, in acque inter­na­zio­na­li rien­tran­ti nel­la zona SAR (ricer­ca e soc­cor­so in mare) libi­ca, ma li ha ripor­ta­ti (ingiu­sta­men­te) in Libia, da dove era­no fug­gi­ti rap­pre­sen­ta, ad oggi, il pun­to più pro­fon­do di rot­tu­ra di quel­la tra­di­zio­ne di rispet­to dei dirit­ti uma­ni che nasce da così lon­ta­no e rischia di mori­re così vici­no, sto­ri­ca­men­te e geo­gra­fi­ca­men­te, a noi.

Tec­ni­ca­men­te si trat­ta di un respin­gi­men­to col­let­ti­vo, vie­ta­to dal­la Con­ven­zio­ne di Gine­vra sul­la Pro­te­zio­ne dei Rifu­gia­ti e dal quar­to pro­to­col­lo aggiun­ti­vo del­la CEDU: due muri por­tan­ti del dirit­to umanitario.

Chie­dia­mo che la magi­stra­tu­ra apra un’in­da­gi­ne per chia­ri­re le respon­sa­bi­li­tà di chi ha auto­riz­za­to e deci­so di non con­dur­re, come reso obbli­ga­to­rio dal­la Con­ven­zio­ne di Ambur­go, i nau­fra­ghi nel por­to sicu­ro più vici­no ma in Libia, luo­go di tor­tu­ra, schia­vi­tù, traf­fi­co di esse­ri uma­ni, pae­se tut­to­ra in guer­ra e pri­vo di un’au­to­ri­tà sta­tua­le sta­bi­le e rico­no­sciu­ta, che non ha mai rati­fi­ca­to la Con­ven­zio­ne di Gine­vra e che quin­di non può esse­re con­si­de­ra­ta un appro­do sicu­ro per chi fug­ge da guer­re, per­se­cu­zio­ni, miseria.

Chie­dia­mo anche che il Par­la­men­to deli­be­ri l’i­sti­tu­zio­ne di una com­mis­sio­ne d’in­chie­sta sul­le vio­la­zio­ni del dirit­to inter­na­zio­na­le umanitario.

Pro­po­nia­mo a tut­ti i sog­get­ti, le ong, le for­ze socia­li e poli­ti­che, le asso­cia­zio­ni, i movi­men­ti impe­gna­ti nel­la tute­la dei dirit­ti uma­ni di dare vita ad un coor­di­na­men­to nazio­na­le con fun­zio­ni di stu­dio, rac­col­ta dati, denun­cia, con­tro­in­for­ma­zio­ne, mobi­li­ta­zio­ne permanente.

È tem­po di uni­re le for­ze e le intel­li­gen­ze che non inten­do­no resta­re indifferenti.

Noi, come sem­pre, ci sia­mo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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