Giornata nazionale contro i disturbi dell’alimentazione: parlarne è il primo passo.

“Mi man­ca quan­do era­va­mo leg­ge­ri. Io non l’ho mai più ritro­va­ta quel­la leggerezza”.

Così descri­ve il suo tor­men­to Camil­le, pro­ta­go­ni­sta mala­ta di ano­res­sia de “La pro­fe­zia del­l’ar­ma­dil­lo” di Zero­cal­ca­re. Un pugno nel­lo sto­ma­co che ren­de pale­se che i distur­bi ali­men­ta­ri sono mol­to più pro­fon­di di quan­to sem­bra a una pri­ma, velo­ce occhiata.

E chis­sà se pro­va­va un dolo­re simi­le Giu­lia Tavil­la, che se n’è anda­ta il 15 mar­zo 2011, a 17 anni, por­ta­ta via dal­la buli­mia men­tre era in lista d’at­te­sa per rico­ve­ro in una strut­tu­ra dedi­ca­ta. Il padre Ste­fa­no ha for­te­men­te volu­to la crea­zio­ne di una gior­na­ta di sen­si­bi­liz­za­zio­ne e aggre­ga­zio­ne con­tro i DCA (Distur­bi del Com­por­ta­men­to Ali­men­ta­re), che è final­men­te sta­ta san­ci­ta dal­la Pre­si­den­za del Con­si­glio nel 2018, con ricor­ren­za pro­prio il gior­no del­la scom­par­sa di Giu­lia. 

Tavil­la ha dichia­ra­to: “La mor­te di mia figlia deve ser­vi­re a tut­te le per­so­ne e le fami­glie che vivo­no un dram­ma di que­sto gene­re. Il dram­ma di vede­re chi ami che pia­no pia­no si spe­gne, non ride più, non man­gia o vomi­ta. Non accet­ta di far­si cura­re e a te resta la sen­sa­zio­ne di non aver fat­to abba­stan­za. Lei non ce l’ha fat­ta, ma non ci devo­no esse­re altri figli che muo­io­no quan­do pote­va­no esse­re salvati”.

 La gior­na­ta nazio­na­le con­tro i DCA, rino­mi­na­ta anche gior­na­ta del Fioc­chet­to Lil­la, ha mol­te­pli­ci sco­pi. Le atti­vi­tà pro­po­ste per l’oc­ca­sio­ne ser­vo­no innan­zi­tut­to a richia­ma­re l’at­ten­zio­ne del­la popo­la­zio­ne ita­lia­na e dare una cor­ret­ta infor­ma­zio­ne per una più faci­le com­pren­sio­ne del­l’ar­go­men­to. Par­la­re di DCA sen­si­bi­liz­za l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca, dà spe­ran­za a chi sta lot­tan­do e difen­de chi sof­fre di que­sti pro­ble­mi da infor­ma­zio­ni distor­te e pre­giu­di­zi.

Per­ché ne abbia­mo così biso­gno? Per­ché di distur­bi del com­por­ta­men­to ali­men­ta­re se ne par­la sem­pre trop­po poco, e quan­do lo si fa si rima­ne in super­fi­cie, sen­za mai voler capi­re fino in fon­do il dolo­re e le pau­re die­tro una per­so­na “trop­po magra”, “trop­po gras­sa”, “trop­po diversa”.

 I DCA sem­bra­no invi­si­bi­li, ma sono una vera e pro­pria epi­de­mia socia­le. Sono ano­res­sia, buli­mia, bin­ge eating, obe­si­tà e tan­ti altri…

In Ita­lia ne sof­fro­no alme­no 3 milio­ni di per­so­ne, soprat­tut­to gio­va­ni don­ne. Nel 2020, con l’av­ven­to del loc­k­do­wn, si sti­ma un aumen­to di que­sti distur­bi del 30%, in par­ti­co­la­re nel­la fascia under 14.

Par­lar­ne è l’u­ni­co modo di for­ma­re una con­sa­pe­vo­lez­za col­let­ti­va per poter aiu­ta­re chi sta caden­do nel bara­tro sen­za accor­ger­se­ne. Discu­ter­ne ci per­met­te di crea­re una rete di soli­da­rie­tà per com­bat­te­re l’o­mer­tà e il disa­gio che cir­con­da­no que­sto mondo.

Ed è pro­prio l’omertà l’attitudine socia­le da cam­bia­re, per­ché quan­do ci si amma­la di DCA ini­zia un per­cor­so nel­lo stig­ma che pare non fini­re mai. Ini­zia con quel­lo che si pro­va nei pro­pri con­fron­ti, quan­do ci si accor­ge di cosa sta suc­ce­den­do — “che fal­li­men­to colos­sa­le sono!” -, pro­se­gue con quel­lo che vie­ne impo­sto dal­la socie­tà quan­do la malat­tia ini­zia a mani­fe­star­si nono­stan­te i ten­ta­ti­vi di tener­la cela­ta — “che schi­fo , guar­da come si è ridott*” — e non fini­sce nem­me­no quan­do si “gua­ri­sce” — “ma che fac­cia tosta a par­lar­ne, sicu­ra­men­te vuo­le atti­ra­re l’at­ten­zio­ne, non si ver­go­gna?” -.

I DCA non sono malat­tie di sin­go­le per­so­ne. Sono il sin­to­mo di una socie­tà, di una fami­glia, di un entou­ra­ge che sta fal­len­do, e non smet­to­no di fal­li­re anche quan­do una per­so­na si sen­te meglio, per­ché rimar­rà sem­pre eti­chet­ta­ta come “quell* che era anoressic*/bulimic*/obes*”, oppu­re — for­se anco­ra peg­gio — le ver­rà rac­co­man­da­to pro­prio da quel­la socie­tà che l’ha fatt* amma­la­re di non rive­la­re que­sta par­te del­la pro­pria vita (pre­po­ten­te, vio­len­ta) a nes­su­no: per­ché dei DCA ci si deve ver­go­gna­re sem­pre, anche quan­do si sta meglio, per­ché i pan­ni spor­chi van­no lava­ti nel­la stes­sa fami­glia che li ha spor­ca­ti. I DCA sono un tabù. Anche quan­do si “esce a rive­der le stel­le”, la rab­bia e la tri­stez­za che fan­no amma­la­re con­ti­nua­no a perseguitare.

Nel 2021 ciò che è ver­go­gno­so non è sof­fri­re o aver sof­fer­to di DCA, ma stig­ma­tiz­za­re una malat­tia psi­chia­tri­ca che pur sem­pre malat­tia è. Per que­sto rite­nia­mo che sia neces­sa­rio cam­bia­re la cul­tu­ra ita­lia­na in tema di salu­te men­ta­le, per evi­ta­re che tan­te, trop­pe per­so­ne sof­fra­no per tut­ta la vita.

 Per modi­fi­ca­re una cul­tu­ra ser­vo­no le paro­le cor­ret­te. Occor­re rac­con­ta­re sce­glien­do con cura il lin­guag­gio da usa­re, sen­za ave­re timo­re a uti­liz­za­re una nar­ra­zio­ne rea­le, che com­pren­da i voca­bo­li ano­res­sia, buli­mia, ecce­te­ra. Con gen­ti­lez­za, ma sen­za nascon­de­re nul­la.

Per­ché ogni cor­po nascon­de una sto­ria. Una feri­ta. Una cica­tri­ce invi­si­bi­le. Ogni cor­po cer­ca ogni gior­no di scen­de­re a pat­ti con quel­la cica­tri­ce e tut­to diven­ta più dif­fi­ci­le in un momen­to del­la nostra sto­ria socia­le dove tut­to vie­ne vei­co­la­to attra­ver­so l’immagine o un’idea di imma­gi­ne pre­co­sti­tui­ta secon­do quel­li che dovreb­be­ro esse­re i model­li di riferimento. 

Appa­ri­re.

Esse­re.

Sce­glie­re di mostra­re se stes­si o la nostra ver­sio­ne miglio­re. E quan­do que­ste due ver­sio­ni non coin­ci­do­no, lo stri­do­re del loro con­tra­sto è un rumo­re che trop­po spes­so non vie­ne ascoltato.

Cre­scia­mo come ogget­to del­lo sguar­do altrui e for­gia­mo il nostro sul­la stes­sa dina­mi­ca. Scri­ve Rebec­ca Sol­nit che “ci muo­via­mo sull’orlo del­la scom­par­sa”, come se tut­to que­sto ser­vis­se a far scom­pa­ri­re il dolo­re. Scom­pa­ri­re nei chi­li per­si, negli abi­ti lar­ghi, ma anche nei chi­li aggiun­ti come scudo.

Nell’epoca del­la body posi­ti­vi­ty, dell’accettazione posi­ti­va del sé e del­la pro­pria imma­gi­ne, i distur­bi del com­por­ta­men­to ali­men­ta­re diven­ta­no anco­ra più invi­si­bi­li, sco­mo­di, fati­co­si da accet­ta­re. È giu­sto e dove­ro­so cor­reg­ge­re le paro­le impie­ga­te comu­ne­men­te per descri­ve­re un cor­po “trop­po magro” o “trop­po gras­so”. È giu­sto par­la­re di armo­nia del­le for­me. Tut­ta­via, se da un lato è cor­ret­to offri­re uno sguar­do o un model­lo dif­fe­ren­te, in par­ti­co­lar modo per le nuo­ve gene­ra­zio­ni, dall’altro si cor­re il rischio di crea­re un sem­pli­ce sto­ry tel­ling, una nar­ra­zio­ne gra­zio­sa ma pri­va di rea­le utilità.

Per­ché i distur­bi del com­por­ta­men­to ali­men­ta­re sono la sto­ria rea­le di un cor­po. E van­no affron­ta­ti nel­la con­sa­pe­vo­lez­za e nel­la gestio­ne rea­le e con­cre­ta del­la quo­ti­dia­ni­tà di chi ne è affetto.

Per arric­chi­re ulte­rior­men­te le rifles­sio­ni e com­pren­de­re l’impatto sui DCA del­le misu­re di restri­zio­ne cor­re­la­te al COVID-19, cer­can­do di deri­va­re con­si­gli con­cre­ti per l’azione poli­ti­ca del nostro Pae­se, il Comi­ta­to Pos­si­bi­le “Mariel­le Fran­co” di Reg­gio Emi­lia  ha incon­tra­to la dot­to­res­sa Anna Maria Gibin, psi­co­lo­ga psi­co­te­ra­peu­ta e Respon­sa­bi­le del Cen­tro Distur­bi del Com­por­ta­men­to Ali­men­ta­re dell’AUSL di Reg­gio Emi­lia, ed Ema­nue­la Bian­chi­ni, pre­si­den­te di Bri­cio­le, Asso­cia­zio­ne di volon­ta­ria­to lega­ta ai DCA, nata dall’esperienza di con­di­vi­sio­ne di fami­lia­ri di pazien­ti impe­gna­ti nel­la lot­ta alla malattia.

La ricor­ren­za del­la gior­na­ta del fioc­chet­to lil­la, dopo qua­si esat­ta­men­te un anno di con­vi­ven­za con la pan­de­mia, è sta­ta infat­ti l’occasione per fare un bilan­cio dell’attività svol­ta dal Cen­tro, che pro­prio in quest’ultimo anno ha visto più che rad­dop­pia­to il nume­ro di pazien­ti segui­ti nei vari livel­li di assi­sten­za, con un net­to incre­men­to anche dei rico­ve­ri, moti­va­to in pri­mis da una mag­gio­re seve­ri­tà di depe­ri­men­to orga­ni­co dovu­to a un ritar­do di presentazione.

La dr.ssa Gibin ha sot­to­li­nea­to la neces­si­tà di rin­no­va­re costan­te­men­te l’attenzione sui DCA per “supe­ra­re i pre­giu­di­zi e sen­si­bi­liz­za­re l’opinione pub­bli­ca a pren­de­re sul serio que­sto tipo di distur­bi. Si trat­ta infat­ti di con­di­zio­ni spes­so asso­cia­te a ver­go­gna e sen­so di col­pa, e chi ne sof­fre ten­de a nascon­der­si. È impor­tan­te inve­ce par­lar­ne per cer­ca­re di supe­ra­re il sen­so di col­pa vis­su­to dal pazien­te e dif­fon­de­re la con­sa­pe­vo­lez­za che si trat­ta di vere e pro­prie pato­lo­gie che neces­si­ta­no di cure dedi­ca­te”. Non si trat­ta infat­ti di capric­ci per­si­sten­ti o atteg­gia­men­ti det­ta­ti per ten­ta­re di miglio­ra­re l’aspetto este­rio­re, ben­sì di disor­di­ni psi­chi­ci ben codi­fi­ca­ti in ambi­to medi­co, che sot­ten­do­no una ele­va­ta com­ples­si­tà di pre­sen­ta­zio­ne ed ela­bo­ra­zio­ne del vis­su­to inte­rio­re. “Ele­men­to comu­ne è l’ossessione per il cibo ed il cor­po: il cibo è il mez­zo per attac­ca­re il cor­po, per non accet­ta­re ed attac­ca­re se stessi.”

Un altro pre­giu­di­zio da supe­ra­re è la “col­pe­vo­liz­za­zio­ne indi­scri­mi­na­ta dell’ambiente fami­lia­re, con par­ti­co­la­re rife­ri­men­to alla figu­ra mater­na”: non è infat­ti pos­si­bi­le gene­ra­liz­za­re sul­le dina­mi­che e le espe­rien­ze vis­su­te dai diver­si pazien­ti, che van­no inve­ce valu­ta­te caso per caso.

Il lavo­ro di assi­sten­za e cura dei pazien­ti con DCA è arti­co­la­to e mul­ti­di­sci­pli­na­re e “pro­prio nel siste­ma sani­ta­rio nazio­na­le tro­va quel­la ric­chez­za e inte­gra­zio­ne di figu­re pro­fes­sio­na­li e dei diver­si livel­li di cura” che con­sen­to­no la gestio­ne del pazien­te nel­la sua inte­rez­za e complessità.

La pri­ma dif­fi­col­tà da supe­ra­re per poter avvia­re cor­ret­ta­men­te il per­cor­so di assi­sten­za è gene­ral­men­te è quel­lo di far “acqui­si­re al pazien­te la con­sa­pe­vo­lez­za del­la pro­pria con­di­zio­ne e del­la con­se­guen­te neces­si­tà di cure”.

In quest’ultimo anno, in con­se­guen­za del­le misu­re restrit­ti­ve cor­re­la­te al COVID-19, l’assistenza ai pazien­ti con DCA ha pre­sen­ta­to una serie di cri­ti­ci­tà, con neces­si­tà di effet­tua­re alme­no una par­te del­le valu­ta­zio­ni da remo­to, tele­fo­ni­ca­men­te o in video­chia­ma­ta. Sono sta­te ine­vi­ta­bil­men­te ridi­men­sio­na­te anche le atti­vi­tà svol­te in pre­sen­za dal­le asso­cia­zio­ni di volon­ta­ria­to, impor­tan­ti nell’assistenza dei pazien­ti gesti­ti in regi­me di Day Ser­vi­ce ma anche per il sup­por­to e l’ascolto dei fami­lia­ri, che attra­ver­so il con­fron­to reci­pro­co tro­va­no spes­so ulte­rio­re conforto.

Duran­te le fasi di loc­k­do­wn, il mag­gio­re con­tat­to tra geni­to­ri e figli ado­le­scen­ti ha spes­so acui­to il disa­gio psi­chi­co in una fase del­lo svi­lup­po in cui vi è inve­ce un par­ti­co­la­re “biso­gno di allun­ga­re la distan­za.” Le restri­zio­ni impo­ste per l’attività fisi­ca han­no inol­tre peg­gio­ra­to sta­ti d’ansia e pre­oc­cu­pa­zio­ne, e in diver­si casi è sta­to neces­sa­rio pro­dur­re una cer­ti­fi­ca­zio­ne spe­ci­fi­ca per con­sen­tir­ne lo svol­gi­men­to in sicurezza.

Per quan­to riguar­da inve­ce le asso­cia­zio­ni di volon­ta­ria­to, spie­ga Bian­chi­ni, un’esigenza di par­ti­co­la­re rilie­vo è quel­la di poter dispor­re di una “sede sta­bi­le che con­sen­ta di svol­ge­re le pro­prie atti­vi­tà in spa­zi ed ambien­ti adeguati”.

La Dr.ssa Gibin ha infi­ne sot­to­li­nea­to l’importanza di poten­zia­re le poli­ti­che di sup­por­to alle fami­glie coin­vol­te, con una più equa distri­bu­zio­ne del cari­co assi­sten­zia­le tra i due geni­to­ri, attual­men­te affi­da­to pre­va­len­te­men­te alla figu­ra mater­na. Vie­ne riba­di­ta inol­tre la neces­si­tà di pre­ser­va­re la “cen­tra­li­tà del siste­ma sani­ta­rio nazio­na­le nel­la gestio­ne dei pazien­ti con DCA”, inve­sten­do sul­la pre­sen­za e for­ma­zio­ne del­le varie figu­re pro­fes­sio­na­li che pos­sa­no garan­ti­re quel­la “ric­chez­za e mul­ti­di­sci­pli­na­ri­tà” di intervento.

Al ter­mi­ne di que­sto pre­zio­so con­fron­to con due figu­re impe­gna­te in pri­ma linea dell’assistenza e cura dei pazien­ti con DCA, il nostro Comi­ta­to sup­por­ta con rin­no­va­to impe­gno la ricor­ren­za del­la gior­na­ta di sen­si­bi­liz­za­zio­ne sui DCA, chie­den­do alla poli­ti­ca di inter­ve­ni­re pro­muo­ven­do ade­gua­te cam­pa­gne di infor­ma­zio­ne, sup­por­tan­do le asso­cia­zio­ni che col­la­bo­ra­no con i ser­vi­zi di assi­sten­za e tute­lan­do l’attività mul­ti­di­sci­pli­na­re ed inte­gra­ta svol­ta dal ser­vi­zio sani­ta­rio nazio­na­le per la cura del­le per­so­ne con DCA.

 Sta­se­ra 15 mar­zo, alle ore 18, con­ti­nue­re­mo ad appro­fon­di­re que­sto tema in una diret­ta con Ema­nue­la Bian­chi­ni, pre­si­den­te di Bri­cio­le. Puoi seguir­la sul­la nostra pagi­na facebook.

Pos­si­bi­le Reg­gio Emi­lia — Comi­ta­to Mariel­le Franco

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

Il quarto Congresso di Possibile, dedicato a Marco Tiberi

Si è aper­to il quar­to Con­gres­so di Pos­si­bi­le, e voglia­mo dedi­car­lo a un ami­co che non c’è più e sul­la cui voce e sul­la cui intel­li­gen­za abbia­mo fat­to così tan­to affi­da­men­to le scor­se vol­te. Mar­co Tibe­ri ci avreb­be mes­so a posto con poche paro­le, andan­do al cuo­re del­le cose, anche quel­le che anco­ra non ave­va­mo pensato.

Discarica di Borgo Montello: le future generazioni meritano un radicale cambio di rotta

Non è più pos­si­bi­le accet­ta­re una mala gestio­ne così gra­ve del­la disca­ri­ca e soprat­tut­to imma­gi­na­re poten­zia­men­ti e modi­fi­che sen­za che sia­no mes­se nero su bian­co anche da un pun­to di vista giu­ri­di­co le respon­sa­bi­li­tà pena­li dei dan­ni ambien­ta­li e alla salu­te che que­sto ter­ri­to­rio sta subendo.