Tra fucili e “scoobydoo”: i giochi dei piccoli siriani che sognano l’Europa

Ti guarda fisso negli occhi mentre con presa sicura ti punta il fucile in fronte. Poi te lo spinge sulla spalla e si mette a urlare: "Girati, girati di schiena, subito! Hai capito?! Girati!".

Ti guar­da fis­so negli occhi men­tre con pre­sa sicu­ra ti pun­ta il fuci­le in fron­te. Poi te lo spin­ge sul­la spal­la e si met­te a urla­re: “Gira­ti, gira­ti di schie­na, subi­to! Hai capi­to?! Girati!”.

Pam pam.

Così si muo­re in Siria, così gio­ca­no i pic­co­li siria­ni. Basta una can­na e un cor­da e il fuci­le a tra­col­la è fat­to. All’oc­cor­ren­za, quan­do si ricor­da­no di esse­re bam­bi­ni, il fuci­le diven­ta uti­le per improv­vi­sar­si tar­ta­ru­ghe nin­ja. Il nostro aguz­zi­no ha tan­tis­si­me cica­tri­ci sul viso e sul col­lo. Ma quel­le non sono fin­te, non è un gio­co il modo in cui se l’è fat­te. Dopo aver­ci giu­sti­zia­to posa il fuci­le e ci riem­pie di baci. Come i suoi com­pa­gni di com­man­do. Sal­go­no in auto, fac­cia­mo 5 metri insie­me e a fati­ca riu­scia­mo a far­li scen­de­re. «Let’s go to Ita­ly, my friends!». Sì. Maga­ri potessi.

Il cam­po di Sof­tex è for­se il peg­gio­re di quel­lo pre­sen­ti intor­no a Salo­nic­co. Una ragaz­za di 16 anni mi spie­ga quel­lo che mi han­no già spie­ga­to in tan­ti. Che la cosa “more more more bad” sono gli uomi­ni che la sera bevo­no e si dro­ga­no. E sfo­ga­no tut­ta la loro fru­stra­zio­ne con i col­tel­li. Mi fa vede­re un taglio sul­la ten­da, sopra il suo let­to. Per poco non l’han­no colpita.

Una bam­bi­na, in una ten­da lì vici­no, è cie­ca, la mam­ma è nata nel 1992, il padre giu­sti­zia­to da Daesh. È scap­pa­ta per far vede­re la sua bam­bi­na da un medi­co, ma l’ul­ti­mo medi­co che l’ha visi­ta­ta l’ha fat­to in Siria. Ha fret­ta, dice. Altri­men­ti alla sua bam­bi­na si chiu­de­ran­no gli occhi. Vor­rem­mo poter­la aiu­ta­re, vor­rem­mo por­tar­la in Ita­lia. Mi chie­do come. Devo tro­va­re un modo. Guar­do la cura con cui la mam­ma ha arre­da­to la sua ten­da. È bel­lis­si­ma, acco­glien­te, pie­na di tap­pe­ti e luci sof­fu­se. Que­sta corag­gio­sa ragaz­za di 24 anni ce la met­te dav­ve­ro tut­ta per garan­ti­re alla sua bam­bi­na la vita miglio­re pos­si­bi­le: deve, deve, deve, esse­re premiata.

Un altro pic­co­lo ha 2 anni, la fon­ta­nel­la sul­la testa non si è chiu­sa. Ha dei ritar­di moto­ri. Il padre ha il pas­sa­por­to tede­sco ed è tor­na­to in Gre­cia per sta­re con la sua fami­glia. In una ten­da. Non capi­sco per­ché que­sto male­det­to ricon­giun­gi­men­to fami­lia­re non sia imme­dia­to. Non ha un sen­so al mon­do che quei bam­bi­ni stia­no nel­la pol­ve­re, in una ten­da sot­to 40 gra­di, davan­ti a un cas­so­net­to dei rifiu­ti, men­tre il padre è sta­to rico­no­sciu­to “degno” di ave­re il pas­sa­por­to ed è libe­ro di lascia­re quel­l’in­fer­no e vola­re in Ger­ma­nia. Cioè la ter­ra pro­mes­sa per tan­ti, là dentro.

I bam­bi­ni quan­do vedo­no pas­sa­re un aereo lo salu­ta­no urlan­do: «bye! Fly to Ger­man!». Vagli a spie­ga­re che la ter­ra pro­mes­sa non è poi così mantenuta.

Andia­mo via, in un altro cam­po. Ci aspet­ta­no i bam­bi­ni per gio­ca­re. Alcu­ni di loro si ricor­de­ran­no di chi li ha sal­va­ti dal­le bom­be, di chi gli ha cura­to le feri­te, di chi li ha accol­ti con una coper­ta fuo­ri da un bar­co­ne. Di me si ricor­de­ran­no come di quel­la che gli ha inse­gna­to a fare gli “scoo­by­doo”. Ho intrec­cia­to chi­lo­me­tri di “scoo­by­doo”, spie­gan­do che solo chi non pren­de­va a sber­le l’a­mi­co pote­va aver­ne uno. Con scar­si risul­ta­ti a dire il vero. Cono­sco­no le mani come uni­co modo di spie­ga­re le pro­prie ragio­ni. Ma quan­do rie­sco­no a intrec­cia­re da soli il loro brac­cia­let­to sem­bra che abbia­no vin­to la Cop­pa del Mon­do ed esplo­do­no nel sor­ri­so più bel­lo mai visto.

Vab­bè, que­sto è il meglio che pote­vo fare per voi, my friends. Un po’ poco, ma tan­t’è.

Maga­ri un gior­no lo inse­gne­rai ai tuoi figli e ti ricor­de­rai di me.

Io, di veder­ti esplo­de­re in un sor­ri­so pie­no di luce, non mi dimen­ti­che­rò mai.

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