Consumo di zucchero: tutto il mondo ne parla (tranne noi)

C’è un dibattito in corso sullo zucchero, e noi non ne sappiamo niente. Se ne parla negli Stati Uniti, se ne parla nel Regno Unito, addirittura in Messico. Ne parlano i più rinomati chef. Il Parlamento Europeo discute di zucchero, e vota. O, più precisamente, discute del consumo di zucchero, individuato dall’Organizzazione mondiale della sanità tra le cause dell’obesità infantile, un fenomeno in preoccupante crescita, per contrastare il quale l’OMS richiede misure che incentivino il consumo di alimenti sani, anche attraverso una «reale tassazione delle bevande zuccherate».

C’è un dibat­ti­to in cor­so sul­lo zuc­che­ro, e noi non ne sap­pia­mo nien­te. Se ne par­la negli Sta­ti Uni­ti, se ne par­la nel Regno Uni­to, addi­rit­tu­ra in Mes­si­co. Ne par­la­no i più rino­ma­ti chef. Il Par­la­men­to Euro­peo discu­te di zuc­che­ro, e vota. O, più pre­ci­sa­men­te, discu­te del con­su­mo di zuc­che­ro, indi­vi­dua­to dall’Orga­niz­za­zio­ne mon­dia­le del­la sani­tà tra le cau­se dell’obe­si­tà infan­ti­le, un feno­me­no in pre­oc­cu­pan­te cre­sci­ta, per con­tra­sta­re il qua­le l’OMS richie­de misu­re che incen­ti­vi­no il con­su­mo di ali­men­ti sani, anche attra­ver­so una «rea­le tas­sa­zio­ne del­le bevan­de zuc­che­ra­te».

Due set­ti­ma­ne fa, come dice­va­mo, si è espres­so il Par­la­men­to euro­peo, attra­ver­so una riso­lu­zio­ne — rela­to­re Keith Tay­lor (Verdi/ALE, UK) — riguar­dan­te un pro­get­to di nor­me comu­ni­ta­rie, pro­po­sto dal­la Com­mis­sio­ne, «che per­met­te­reb­be agli ali­men­ti per i bam­bi­ni di con­ti­nua­re a con­te­ne­re fino a tre vol­te più zuc­che­ro di quan­to rac­co­man­da­to dal­l’Or­ga­niz­za­zio­ne mon­dia­le del­la sani­tà». Si leg­ge nel­la riso­lu­zio­ne che «il rego­la­men­to dele­ga­to pre­ve­de che il 30% del­l’e­ner­gia for­ni­ta dagli ali­men­ti per la pri­ma infan­zia pos­sa pro­ve­ni­re dal­lo zuc­che­ro». Una even­tua­li­tà del tut­to in con­tra­sto con «tut­ti i con­si­gli per la salu­te del­l’Or­ga­niz­za­zio­ne mon­dia­le del­la sani­tà – la qua­le rac­co­man­da di limi­ta­re l’ap­por­to di zuc­che­ri libe­ri affin­ché sia infe­rio­re al 10% del­l’ap­por­to ener­ge­ti­co com­ples­si­vo, e di ridur­lo ulte­rior­men­te a meno del 5% del­l’ap­por­to ener­ge­ti­co com­ples­si­vo per otte­ne­re ulte­rio­ri van­tag­gi in ter­mi­ni di salu­te – e dei comi­ta­ti scien­ti­fi­ci degli Sta­ti mem­bri, che rac­co­man­da­no una signi­fi­ca­ti­va ridu­zio­ne del­l’ap­por­to tota­le di zuc­che­ro». Tra le moti­va­zio­ni, l’accusa più espli­ci­ta è quel­la, quin­di, di non con­te­ne­re «suf­fi­cien­ti misu­re per pro­teg­ge­re i lat­tan­ti e i bam­bi­ni nel­la pri­ma infan­zia dal­l’o­be­si­tà», anche attra­ver­so un siste­ma di eti­chet­ta­tu­ra suf­fi­cien­te­men­te trasparente.

Se pen­sa­te che la mate­ria sia stra­va­gan­te, sap­pia­te che il Par­la­men­to euro­peo è in buo­na com­pa­gnia. Negli Sta­ti Uni­ti, in par­ti­co­la­re, il dibat­ti­to sul con­su­mo di zuc­che­ro – e sull’etichettatura dei pro­dot­ti – è viva­ce come non mai. Nel luglio scor­so fu la stes­sa Food and Drug Admi­ni­stra­tion (F.D.A., l’ente gover­na­ti­vo che si occu­pa del­la rego­la­men­ta­zio­ne di pro­dot­ti ali­men­ta­ri e far­ma­ceu­ti­ci) a pro­por­re che le eti­chet­te sugli ali­men­ti ripor­tas­se­ro la quan­ti­tà di zuc­che­ri aggiun­ti (gli zuc­che­ri che ven­go­no aggiun­ti – appun­to – ai cibi duran­te il loro trat­ta­men­to o la loro pre­pa­ra­zio­ne) come per­cen­tua­le rispet­to alla dose gior­na­lie­ra rac­co­man­da­ta. La que­stio­ne, negli Sta­ti Uni­ti, non è nuo­va al dibat­ti­to pub­bli­co: nel feb­bra­io 2014 la F.D.A. ave­va già avan­za­to una pro­po­sta simi­le, sup­por­ta­ta tra l’altro dal­le dichia­ra­zio­ni di Michel­le Oba­ma: «Il nostro prin­ci­pio gui­da è sem­pli­ce – dichia­rò -: cia­scu­no di noi, in qua­li­tà di geni­to­re e di con­su­ma­to­re, dovreb­be esse­re in gra­do di entra­re in un nego­zio di ali­men­ta­ri e di sce­glie­re un pro­dot­to dal­lo scaf­fa­le, e dovreb­be esse­re in gra­do di valu­ta­re se que­sto è buo­no per la pro­pria fami­glia. Dovrem­mo anche sape­re da dove pro­vie­ne lo zuc­che­ro con­te­nu­to negli ali­men­ti: se lo zuc­che­ro con­te­nu­to nel­lo yogurt è sta­to aggiun­to duran­te la lavo­ra­zio­ne o pro­vie­ne dal­la frut­ta. Si trat­ta di un affa­re enor­me». Tan­to enor­me che «la pro­po­sta – scri­ve il NY Times — ha incon­tra­to imme­dia­ta­men­te le cri­ti­che dei pro­dut­to­ri di ali­men­ti e bevan­de, che soste­ne­va­no che le eti­chet­te potreb­be­ro con­fon­de­re i clien­ti e che i limi­ti die­te­ti­ci sugli zuc­che­ri aggiun­ti non fos­se­ro scien­ti­fi­ca­men­te giu­sti­fi­ca­ti». Tra i cri­ti­ci figu­ra Paul Pol­man, CEO di Uni­le­ver, la mul­ti­na­zio­na­le pro­prie­ta­ria di mol­ti tra i mar­chi più dif­fu­si nel cam­po dell’alimentazione: «non c’è nul­la di sba­glia­to nel con­su­ma­re zuc­che­ro, ma tut­to dipen­de dal­la pro­pria die­ta. Per­so­nal­men­te sono mol­to atten­to alla quan­ti­tà di zuc­che­ro che assu­mo, ma non ho biso­gno di una tas­sa per far­lo, e nem­me­no le altre per­so­ne ne han­no biso­gno».

I timo­ri dei pro­dut­to­ri, quel­li sì, sem­bra­no inve­ce giu­sti­fi­ca­ti. Secon­do un son­dag­gio onli­ne rea­liz­za­to dal­la rivi­sta Pedia­trics, ci sareb­be­ro 20 pun­ti per­cen­tua­li di dif­fe­ren­za tra la pro­pen­sio­ne di un geni­to­re nell’acquistare una bevan­da sen­za eti­chet­ta e una bevan­da con eti­chet­ta “Safe­ty war­ning”, che citi i rischi con­nes­si al con­su­mo di zuc­che­ri aggiun­ti (obe­si­tà, dia­be­te tipo 2, pro­ble­mi per i denti).

Altri Pae­si si stan­no spin­gen­do addi­rit­tu­ra oltre l’etichettatura. Il Mes­si­co – pae­se dell’OCSE col più ele­va­to tas­so di adul­ti sovrap­pre­so o obe­si, e di per­so­ne che sof­fro­no di dia­be­te tipo 2 — , ad esem­pio, dove l’intro­du­zio­ne del­la «Sugar­tax» nel 2014 ha cau­sa­to in un anno una dimu­ni­zio­ne del­le ven­di­te di bevan­de zuc­che­ra­te pari al 12% (e paral­le­la­men­te un aumen­to del 4% del­le ven­di­te di acqua in bot­ti­glia). «Ci sono mol­ti pae­si, in quel­la regio­ne e in altre par­ti del mon­do, che sta­va­no atten­den­do evi­den­ze empi­ri­che del­la misu­ra intro­dot­ta dal Mes­si­co, per valu­ta­re se intro­dur­ne di simi­li», ha dichia­ra­to Fran­co Sas­si, a capo del pro­gram­ma per la salu­te pub­bli­ca dell’OCSE. «Pen­so che sia inco­rag­gian­te per tut­ti i pae­si che stan­no valu­tan­do que­ste misu­re. È la dimo­stra­zio­ne che fun­zio­na­no». E infat­ti il dibat­ti­to è appro­da­to anche al Par­la­men­to bri­tan­ni­co, dove il 13 gen­na­io scor­so Lord Clin­ton-Davis ha inter­ro­ga­to il gover­no: «Non mol­to tem­po fa, il pri­mo mini­stro ha dichia­ra­to che una tas­sa sul­lo zuc­che­ro non fos­se neces­sa­ria. Ora, sol­le­ci­ta­to da esper­ti e da par­la­men­ta­ri di tut­ti i par­ti­ti, ha dichia­ra­to che non è una così cat­ti­va idea. Cosa dovrem­mo fare? La mia idea è che dovrem­mo segui­re l’esempio del Mes­si­co».

E sem­pre dal Regno Uni­to è arri­va­ta l’autorevole opi­nio­ne del­la rivi­sta scien­ti­fi­ca The Lan­cet, secon­do la qua­le «l’obesità neces­si­ta di mol­ta più atten­zio­ne di quel­la che pae­si e orga­niz­za­zio­ni inter­na­zio­na­li le stan­no dedi­can­do. L’obiettivo di ridur­re il con­su­mo di zuc­che­ro intro­du­cen­do una sugar tax è un pic­co­lo pas­so nel­la giu­sta dire­zio­ne. Tut­ta­via, non ci deve distrar­re dal biso­gno di misu­re più pro­fon­de e più ampie».

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