Chi di noi ha deciso di non seguire lo spoglio fino a notte inoltrata ma di andare a dormire presto si è svegliato guardando incredulo questa mappa (le regioni blu hanno votato per rimanere nell’Unione Europea, le rosse per abbandonarla). Increduli, abbiamo scoperto che il 52% dei votanti (pari a 17,410,742 persone) hanno votato “leave” e solo il 48% (16,141,241) per rimanere.
Tutte le macroregioni britanniche hanno votato per uscire dall’UE tranne Scozia, Irlanda del Nord e Greater London. Un’analisi più approfondita dei dati mostra però, come già hanno scritto Economist e Financial Times, un paese diviso per classe, età, e regione.
La cartina a fianco mostra le constituencies britanniche a seconda della effettiva popolazione e non della vastità territoriale. La grande macchia gialla in basso è Londra (da Bristol, Oxford a Brighton è un continuum di gradazioni di giallo a dire il vero): la parte del paese benestante, multiculturale e di sinistra. Nel centro dell’Inghilterra si distinguono Liverpool (a sinistra), Manchester (in mezzo), Leeds e York (a destra), tutte città fra le più grandi del Regno Unito, che si sono spostate da un’economia prevalentemente industriale a quella dei servizi nel corso degli ultimi anni. La Scozia e L’Irlanda del Nord hanno votato per restare nell’EU in massa — e per ragioni forse più incentrate sulla politica interna che non altro (il SNP ha già avanzato domande di un secondo referendum sull’indipendenza scozzese).
Il resto dell’Inghilterra, comprese città importanti come Birmingham e Bradford hanno votato per uscire dall’unione. Perché? Perché le città industriali si sentono tradite da Westminster e non capiscono o conoscono i benefici di essere parte dell’UE. Quando a inizio anno diverse acciaierie hanno chiuso e migliaia di posti di lavoro sono stati eliminati, i politici inglesi sono stati velocissimi a dare la colpa all’Europa e all’impossibilità — a causa delle regole del mercato unico — di supportare l’economia locale. Stesso discorso, poi, per le politiche di austerità del governo Cameron, soprattutto a seguito della vittoria elettorale di un anno fa. In tantissimi hanno votato ieri contro il governo e contro l’establishment, legando l’uscita dall’Ue a un più generale rigetto delle condizioni economiche del paese. Le Midlands britanniche, poi, da tempo sono il concentrato del populismo inglese, con una popolazione benestante e allo stesso tempo xenofoba, se non razzista, che gestisce o comunque lavora nel settore primario (incamerando ingenti sussidi europei) mentre coltiva il ricordo (o mito) di una Britannia davvero grande e imperiale.
Di fronte a tutto ciò i partiti si sono differenziati. I Leavers che hanno condotto una campagna perfetta: falsamente rivoluzionaria e riassicurante al tempo stessa, hanno controllato la narrazione del voto con cifre false sull’immigrazione senza controllo, con continui riferimenti a un futuro di integrazione nel commonwealth (che suona tantissimo come “impero”) e culminata con la balla (già ritrattata da Farage a poche ore dal voto) di poter risparmiare, in caso di uscita dall’UE, £350 milioni a settimana da poter spendere per il sistema sanitario nazionale. I Remainers hanno portato avanti una campagna predestinata a fallire, in molti casi senza passione o convinzione (vedi Labour), basata solamente sul terrore del crollo economico nel caso di uscita (vedi Tories), e condotta da leader che per decenni hanno criticato e condannato l’UE, perdendo completamente credibilità in questo case (vedi entrambi).
Possibile aveva già detto che sarebbe stata una situazione in cui tutti avrebbero perso e così è stato. Più di tutti, però, hanno perso i giovani che si sono espressi per rimanere nell’UE, con punte del 75% fra i giovanissimi, e dovranno vivere con le conseguenze di una decisione presa da anziani. E ha perso chi di noi si era trasferito nel Regno Unito con la speranza di vivere in un paese normale, in cui sentirsi benvenuti e apprezzati e si e’ risvegliato in un paese xenofobo, che preferisce inseguire velleità di potenza piuttosto che lavorare a un futuro comune.
Comitato Sylvia Pankhurst Londra