Verso un Reddito di cittadinanza che produce lavoro povero?

Dal lon­ta­no 1992 il nostro pae­se atten­de­va una misu­ra riguar­dan­te il red­di­to mini­mo garan­ti­to (Rac­co­man­da­zio­ne del Con­si­glio UE 92/441/CEE del 24 giu­gno 1992). Sono pas­sa­ti ven­ti­no­ve anni e i rischi che il prov­ve­di­men­to adot­ta­to dal gover­no gial­lo-ver­de sia con­tro­pro­du­cen­te sono effet­ti­va­men­te mol­to alti.

Il red­di­to di cit­ta­di­nan­za (di segui­to RdC)  è rima­sto tale solo nell’intitolazione, pras­si mol­to in voga nel­la poli­ti­ca ita­lia­na: le sigle sono simu­la­cri vuo­ti da mostra­re alla fol­la ado­ran­te, la sostan­za è sul­la via del­la mar­ce­scen­za. Ma tant’è, il decre­to che con­tie­ne il RdC — pri­ma o poi — arri­ve­rà in Gaz­zet­ta Uffi­cia­le e comin­ce­rà — for­se — a mie­te­re le sue vittime.

Vit­ti­me? Sì, del­la trap­po­la del­la pover­tà, deri­van­te dall’accettazione di lavo­ri a bas­sa qua­li­fi­ca­zio­ne, a bas­sa retri­bu­zio­ne, con­grui solo per­ché non vi sarà altro lavo­ro da sot­to­por­re ai ‘can­di­da­ti’ ormai giun­ti alla ter­za pro­po­sta di impie­go. L’avvio di un siste­ma di red­di­to mini­mo garan­ti­to, sen­za un fun­zio­na­le pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne e incre­men­to del­le com­pe­ten­ze, rischia di pro­dur­re lavo­ro pove­ro e basta, inclu­den­do gli indi­vi­dui che han­no accet­ta­to il sus­si­dio in un mer­ca­to del lavo­ro di secon­do gra­do. Nel testo del­la boz­za di decre­to, sono rico­no­sciu­ti i cri­te­ri sta­bi­li­ti dall’articolo 25 del D. Lgs. 150/2015 per con­si­de­ra­re con­grua una offer­ta di lavo­ro, inte­gra­ti sola­men­te dai fat­to­ri chi­lo­me­tri­ci (art. 4 com­ma 9). Diver­sa­men­te da quan­to affer­ma­to da alcu­ni espo­nen­ti del Movi­men­to 5 Stel­le (in testa, la mini­stra Bar­ba­ra Lez­zi) le offer­te di lavo­ro non saran­no limi­ta­te ai soli con­trat­ti a tem­po indeterminato.

Ad Anpal Ser­vi­zi è deman­da­ta la sele­zio­ne del­le figu­re adat­te a svol­ge­re il ruo­lo di navi­ga­tor (così nel­la neo­lin­gua gover­na­ti­va), sor­ta di per­so­na­le super esper­to con com­pe­ten­za su rego­le e bene­fi­ci degli incen­ti­vi e dei sus­si­di di disoc­cu­pa­zio­ne, cono­scen­za tec­ni­ca e giu­ri­di­ca pre­ci­sa, capa­ci­tà di orien­ta­re e valu­ta­re le com­pe­ten­ze pro­fes­sio­na­li. Ammes­so e con­ces­so che si rie­sca a tro­va­re in poco tem­po un nume­ro ade­gua­to di sog­get­ti per figu­re pro­fes­sio­na­li di sif­fat­ta sta­tu­ra, sen­za un chia­ro indi­riz­zo alla valo­riz­za­zio­ne del­le skills indi­vi­dua­li, si va isti­tuen­do un appa­ra­to dedi­to alla mera ammi­ni­stra­zio­ne del­la pover­tà, il gover­no dell’esclusione socia­le, un model­lo di Work­fa­re all’italiana fat­to di lavo­ro sot­to­pa­ga­to o addi­rit­tu­ra gratuito.

In que­sto sce­na­rio, la pover­tà è una col­pa. Nien­te diva­no, ha ammo­ni­to il Mini­stro Di Maio duran­te la con­fe­ren­za stam­pa del 16 gen­na­io scor­so. Chi rice­ve il sus­si­dio ver­rà avvia­to ai lavo­ri social­men­te uti­li per alme­no otto ore set­ti­ma­na­li (art. 4 com­ma 15 del­la boz­za di decre­to). Ma un siste­ma di red­di­to mini­mo garan­ti­to, come è il red­di­to di cit­ta­di­nan­za, non dovreb­be col­pe­vo­liz­za­re, tutt’altro. Dovreb­be aiu­ta­re a dire NO ai lavo­ret­ti e a faci­li­ta­re la pro­pria eman­ci­pa­zio­ne e auto­de­ter­mi­na­zio­ne in un’ottica di col­la­bo­ra­zio­ne fat­ti­va fra Sta­to e cit­ta­di­ni. Il decre­to ere­di­ta il Pat­to per l’Inclusione Socia­le pre­vi­sto dal D. Lgs. 147/2017 (art. 7 e 8) ma di fat­to non incre­men­ta le poten­zia­li­tà del siste­ma dei ser­vi­zi socia­li che ver­rà inve­sti­to da milio­ni di situa­zio­ni fami­lia­ri da vaglia­re e gestire.

L’aspetto posi­ti­vo, che ave­va­mo indi­ca­to nel Mani­fe­sto di Pos­si­bi­le e che è sta­to ripre­so all’art. 3 com­ma 7 del­la boz­za di decre­to, è l’ero­ga­zio­ne indi­vi­dua­le ad ogni com­po­nen­te mag­gio­ren­ne. La moti­va­zio­ne di tale pre­vi­sio­ne è quel­la di evi­ta­re che l’erogazione al solo capo­fa­mi­glia non per­met­ta una rea­le eman­ci­pa­zio­ne dal biso­gno degli altri mem­bri del nucleo fami­lia­re. Il difet­to di que­sta nor­ma è il riman­do ad ulte­rio­re decre­to per la defi­ni­zio­ne dei cri­te­ri di ripar­to, che inve­ce si sareb­be­ro potu­ti sta­bi­li­re — in modo ragio­ne­vo­le —  subi­to in pri­ma approvazione.

Cri­ti­ca­bi­le, inve­ce, la tra­sfor­ma­zio­ne del RdC in incen­ti­vo alle azien­de che assu­mo­no i per­cet­to­ri del sus­si­dio. In talu­ne for­mu­la­zio­ni, l’erogazione del sus­si­dio non vie­ne inter­rot­ta all’assunzione, ma vie­ne man­te­nu­ta per alcu­ni mesi in cari­co al lavo­ra­to­re per for­ni­re al mede­si­mo un’ulteriore sicu­rez­za e acce­le­ra­re la sua stabilizzazione.

Il deci­so­re poli­ti­co ha scel­to que­sta secon­da via, limi­tan­do­la ai soli con­trat­ti a tem­po pie­no e inde­ter­mi­na­to (art. 8 com­ma 1 del­la boz­za di decre­to), tut­ta­via così facen­do si sta­bi­li­sce la tra­sfor­ma­zio­ne del sus­si­dio alla per­so­na in sus­si­dio alle impre­se, inve­ce che rias­se­gnar­lo ad altri indi­vi­dui, maga­ri deter­mi­nan­do un aumen­to del­la platea.

Fra l’altro, non è affat­to chia­ro come tale nor­ma si con­tem­pe­ra con quan­to pre­vi­sto dall’art. 4 com­ma 10, lad­do­ve si pre­ve­de che, «nel caso in cui sia accet­ta­ta un’offerta col­lo­ca­ta oltre due­cen­to­cin­quan­ta chi­lo­me­tri di distan­za dal­la resi­den­za del bene­fi­cia­rio, il mede­si­mo con­ti­nua a per­ce­pi­re il bene­fi­cio eco­no­mi­co del Rdc, a tito­lo di com­pen­sa­zio­ne per le spe­se di tra­sfe­ri­men­to soste­nu­te, per i suc­ces­si­vi tre mesi dall’inizio del nuo­vo impie­go, incre­men­ta­ti a dodi­ci mesi nel caso sia­no pre­sen­ti com­po­nen­ti di mino­re età ovve­ro com­po­nen­ti con disa­bi­li­tà, come defi­ni­ta a fini ISEE». For­se non ha valo­re per chi accet­ta un con­trat­to a tem­po inde­ter­mi­na­to? For­se il testo andreb­be riscrit­to meglio.

Il nodo, però, è tut­to sul­le coper­tu­re: i limi­ti di spe­sa sono indi­vi­dua­ti nel­la misu­ra di 5.894 milio­ni di euro nel 2019, di 7.131 milio­ni di euro nel 2020, di 7.355 milio­ni di euro nel 2021 e di 7.210 milio­ni di euro a decor­re­re dal 2022 da iscri­ve­re su appo­si­to capi­to­lo del “Fon­do per il red­di­to di cit­ta­di­nan­za” (art. 12 com­ma 1). Gli impor­ti desti­na­ti al poten­zia­men­to dei ser­vi­zi di ANPAL S.p.A ammon­ta­no a 200 milio­ni di euro per l’anno 2019, 250 milio­ni di euro per l’anno 2020 e di 50 milio­ni di euro per l’anno 2021: non sono cita­te dispo­si­zio­ni a favo­re dei ser­vi­zi socia­li isti­tui­ti dagli enti loca­li, che pure ver­ran­no inve­sti­ti dall’onere essen­do i sog­get­ti tito­la­ri del­le fun­zio­ni ammi­ni­stra­ti­ve e di pro­gram­ma­zio­ne con­cer­nen­ti gli inter­ven­ti socia­li di cui alla Leg­ge 328/2000 (siste­ma inte­gra­to di inter­ven­ti e ser­vi­zi socia­li). In caso di esau­ri­men­to del­le risor­se dispo­ni­bi­li, l’articolo 12 com­ma 9, sta­bi­li­sce che la «com­pa­ti­bi­li­tà finan­zia­ria» deb­ba esse­re rista­bi­li­ta «median­te rimo­du­la­zio­ne dell’ammontare del bene­fi­cio», vale a dire dimi­nuen­do l’efficacia del­lo stru­men­to a supe­ra­re la soglia del­la pover­tà asso­lu­ta. Gli impor­ti sono otte­nu­ti gene­ran­do ulte­rio­re defi­cit: diver­sa­men­te da quan­to si vuol far cre­de­re, il RdC non nasce come misu­ra di redi­stri­bu­zio­ne del red­di­to in sen­so tra­sver­sa­le fra le clas­si di red­di­to, ma avvie­ne in sen­so lon­gi­tu­di­na­le lun­go le gene­ra­zio­ni. In altre paro­le, si crea debi­to ulte­rio­re ipo­te­can­do il red­di­to del­le gene­ra­zio­ni futu­re che quel debi­to dovran­no ripagare.

Que­sta non è la sola misu­ra vol­ta a far tor­na­re i con­ti. «La pos­si­bi­li­tà di vive­re una vita degna è di tut­ti, è un dirit­to uni­ver­sa­le, — ha scrit­to Vero­ni­ca Gian­fal­do­ni — come uni­ver­sa­le dovreb­be esse­re il mez­zo che la garan­ti­sce que­sta digni­tà, che con la cit­ta­di­nan­za non ha nien­te a che fare». Il Testo Uni­co sull’Immigrazione — ci ha ricor­da­to Andrea Mae­stri — garan­ti­sce infat­ti ai lavo­ra­to­ri stra­nie­ri, rego­lar­men­te sog­gior­nan­ti nel suo ter­ri­to­rio, pari­tà di trat­ta­men­to e pie­na ugua­glian­za di dirit­ti rispet­to ai lavo­ra­to­ri ita­lia­ni. Signi­fi­ca che qual­sia­si prov­ve­di­men­to, com­pre­so il pre­sun­to red­di­to di cit­ta­di­nan­za, non può infran­ge­re que­sto prin­ci­pio. E inve­ce è sta­to sta­bi­li­to un limi­te all’accesso del bene­fi­cio tra­mi­te la resi­den­za mol­to alto, di alme­no 10 anni, di cui gli ulti­mi due con­ti­nua­ti­vi (art. 2, com­ma 1, lett. a, pun­to 2). La discri­mi­na­zio­ne è servita.

Un deci­so­re poli­ti­co meno fret­to­lo­so di dare in pasto al popo­li­no la sua sal­vi­fi­ca rifor­ma avreb­be avu­to modo di ripar­ti­re dagli stru­men­ti esi­sten­ti, miglio­ran­do­li, amplian­do la pla­tea degli aven­ti dirit­to, rin­for­zan­do in pri­mo luo­go l’as­set­to che lascia in cari­co ai ser­vi­zi socia­li comu­na­li — che ne han­no già com­pe­ten­za — la sfi­da del­la mul­ti­di­men­sio­na­li­tà del­la pover­tà spe­ri­men­ta­ta da indi­vi­dui e fami­glie. Una com­ples­si­tà così sfac­cet­ta­ta che si può fron­teg­gia­re solo costruen­do col­la­bo­ra­zio­ni tra i diver­si atto­ri del wel­fa­re loca­le (comu­ni, cen­tri per l’impiego, asso­cia­zio­ni, ter­zo set­to­re, Asl, edi­li­zia pub­bli­ca, scuo­la, ed altri). È qui che si cela il sospet­to che i risul­ta­ti pra­ti­ci di que­sto stru­men­to non sia­no cal­co­la­ti sul lun­go perio­do ma uni­ca­men­te sul divi­den­do da incas­sa­re alle pros­si­me ele­zio­ni euro­pee.

 

Davi­de Serafin

Ste­fa­no Artusi

 

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