A Ventimiglia i rifugiati vivono ancora in condizioni disastrose

Siamo stati a Ventimiglia lo scorso fine settimana. In così poco tempo, l’unica briciola di contributo che forse si può dare consiste nel provare a raccontare quello che ci siamo trovati davanti agli occhi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1503730532325{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Siamo sta­ti a Ven­ti­mi­glia lo scor­so fine set­ti­ma­na. In così poco tem­po, l’unica bri­cio­la di con­tri­bu­to che for­se si può dare con­si­ste nel pro­va­re a rac­con­ta­re quel­lo che ci sia­mo tro­va­ti davan­ti agli occhi.

Da poco più di due anni la Fran­cia ha ripri­sti­na­to i con­trol­li alle fron­tie­re, il che signi­fi­ca che chiun­que arri­vi irre­go­lar­men­te in Ita­lia non ha la pos­si­bi­li­tà di pro­se­gui­re il suo viag­gio, com­pli­ce anche l’assurdità dell’obbligo di richie­sta di asi­lo nel pri­mo pae­se di arri­vo, pre­vi­sto attual­men­te dal rego­la­men­to di Dubli­no (sono in discus­sio­ne alcu­ne pro­po­ste di modi­fi­ca).

Il risul­ta­to è che cen­ti­na­ia di per­so­ne, in lar­ga mag­gio­ran­za gio­va­ni uomi­ni, di nazio­na­li­tà pre­va­len­te­men­te suda­ne­se (per chi vuo­le, qual­che spun­to su Sudan e Sud Sudan), sono bloc­ca­te a Ven­ti­mi­glia, in atte­sa di una pos­si­bi­li­tà di var­ca­re il con­fi­ne. Sui tre­ni pas­seg­ge­ri è ormai impos­si­bi­le (c’è chi ha pro­va­to a nascon­der­si nei vani dei qua­dri elet­tri­ci, rima­nen­do fol­go­ra­to) e pare che il con­trol­lo sia sta­to recen­te­men­te este­so anche ai tre­ni mer­ci. I sen­tie­ri di mon­ta­gna e l’autostrada, con le sue gal­le­rie, sono mol­to peri­co­lo­si, spe­cial­men­te se per­cor­si di not­te, ma nono­stan­te tut­to deci­ne di per­so­ne ten­ta­no l’attraversamento del­la fron­tie­ra ogni set­ti­ma­na: la mag­gior par­te vie­ne respin­ta, qual­cu­no per­de la vita.

Mol­ti migran­ti sono ospi­ta­ti nell’affollato cam­po del­la Cro­ce Ros­sa, com­pre­si alcu­ni bam­bi­ni e don­ne che vi sono sta­ti tra­sfe­ri­ti in segui­to alla chiu­su­ra, avve­nu­ta la scor­sa set­ti­ma­na, del cen­tro di acco­glien­za del­la par­roc­chia di Sant’Antonio. Il pran­zo e la cena che ven­go­no lì distri­bui­ti non paio­no esse­re per nul­la abbon­dan­ti (alcu­ni ospi­ti ci han­no mostra­to del­le foto) e in gene­ra­le le con­di­zio­ni di acco­glien­za sem­bra­no pati­re i nume­ri attua­li. Inol­tre il cam­po si tro­va a cir­ca 7 km da Ven­ti­mi­glia in una posi­zio­ne estre­ma­men­te sco­mo­da per tut­ti colo­ro che ten­ta­no di pas­sa­re il con­fi­ne. Altre cen­ti­na­ia di per­so­ne, tra le 250 e le 300 in que­sti gior­ni (ma i mesi scor­si era­no anche il dop­pio), dor­mo­no sot­to il pon­te del­la fer­ro­via di fian­co a via Ten­da e lun­go le spon­de del fiu­me Roja, in con­di­zio­ni ter­ri­bi­li, sen­za un tet­to, sen­za ser­vi­zi igie­ni­ci né acqua corrente.

La situa­zio­ne appa­re del tut­to non gesti­ta dal pun­to di vista isti­tu­zio­na­le (addi­rit­tu­ra que­sta pri­ma­ve­ra si era pro­va­to a impe­di­re la distri­bu­zio­ne di cibo con un’ordinanza, poi riti­ra­ta): sem­bra non si voglia pren­de­re atto del­la real­tà e nul­la vie­ne fat­to per pro­va­re a miglio­ra­re le con­di­zio­ni dispe­ra­te in cui que­ste per­so­ne sono costret­te a vive­re. L’approccio secu­ri­ta­rio che pre­ve­de con­trol­li e perio­di­ci tra­sfe­ri­men­ti coat­ti all’hotspot di Taran­to, oltre a gene­ra­re un bef­far­do gio­co dell’oca, non risol­ve nul­la. Sia­mo di fron­te a una situa­zio­ne di ille­ga­li­tà nomi­na­le (per chi è nato in Sudan, Eri­trea, Nige­ria, Etio­pia non c’è modo di entra­re in Ita­lia rego­lar­men­te) che gene­ra mar­gi­na­li­tà socia­le e con­se­guen­ti lamen­te­le dei resi­den­ti, cui a vol­te man­ca sem­pli­ce­men­te l’interlocuzione con qual­che rap­pre­sen­tan­te del­le isti­tu­zio­ni che non sia pri­vo di uma­ni­tà e corag­gio politico.

Per for­tu­na c’è chi non si arren­de alla deri­va pri­ma di tut­to cul­tu­ra­le che ha assun­to par­ti­co­la­re fero­cia negli ulti­mi mesi.

Progetto20K è “un grup­po di don­ne e uomi­ni che cre­do­no nel dirit­to alla libe­ra cir­co­la­zio­ne per ogni esse­re uma­no e nel­la respon­sa­bi­li­tà di tut­te e tut­ti nel­l’es­se­re sog­get­ti atti­vi per­ché que­sto dirit­to pos­sa esse­re garan­ti­to e la sua con­qui­sta sup­por­ta­ta”. Si trat­ta di ragaz­ze e ragaz­zi spes­so mol­to gio­va­ni che gesti­sco­no un “info point” in via Ten­da 8, aper­to tut­ti i gior­ni tran­ne mer­co­le­dì e dome­ni­ca dal­le 14 alle 19, in cui offro­no la pos­si­bi­li­tà di cari­ca­re il tele­fo­no, acces­so a inter­net su appun­ta­men­to e con­su­len­za lega­le. Distri­bui­sco­no quo­ti­dia­na­men­te vesti­ti e pro­dot­ti per l’igiene per­so­na­le e svol­go­no un impor­tan­te com­pi­to di infor­ma­zio­ne attra­ver­so la loro pagi­na Facebook.

La Cari­tas distri­bui­sce tè e pane con mar­mel­la­ta o nutel­la ogni mat­ti­na, eccet­to la dome­ni­ca in cui se ne occu­pa­no degli scout di Geno­va, men­tre tut­te le sere, attor­no alle 19, nell’enorme par­cheg­gio di fron­te al cimi­te­ro, i volon­ta­ri di Kesha Niya, in mag­gio­ran­za tede­schi che han­no la base in cui vivo­no e cuci­na­no subi­to oltre il con­fi­ne, distri­bui­sco­no qua­si 700 pasti, gra­zie anche al con­tri­bu­to eco­no­mi­co e logi­sti­co di Roya Citoyen­ne, un’associazione di cit­ta­di­ni fran­ce­si del­la Val Roja.

La cena si svol­ge in modo mol­to ordi­na­to e con l’aiuto di alcu­ni migran­ti. Al ter­mi­ne, il piaz­za­le vie­ne ripu­li­to e si ripren­de a gio­ca­re a cal­cio, pri­ma che fac­cia buio. Tut­ti i gior­ni poli­zia o cara­bi­nie­ri sche­da­no i volon­ta­ri pre­sen­ti, con un atto che sa di vela­ta inti­mi­da­zio­ne.

In un perio­do di tale assen­za di uma­ni­tà e di mio­pia poli­ti­ca, espe­rien­ze simi­li ten­go­no viva la spe­ran­za che noi cit­ta­di­ni euro­pei non abbia­mo per­so i nostri valo­ri. È neces­sa­rio par­la­re, espor­si, agi­re secon­do le nostre pos­si­bi­li­tà, cer­can­do di far usci­re la pro­pria voce dal­la cer­chia ristret­ta degli ami­ci, offren­do una visio­ne com­ples­si­va di socie­tà in cui i dirit­ti del­le mino­ran­ze sia­no i dirit­ti di tut­ti, in cui si com­bat­ta­no le disu­gua­glian­ze socia­li, in cui la soli­da­rie­tà e l’unità sia­no effi­ca­ci stru­men­ti di dife­sa con­tro i sopru­si di chi pre­ten­de pri­vi­le­gi a dan­no del­la col­let­ti­vi­tà e di costru­zio­ne di una socie­tà più giusta.

Pos­si­bi­le Mila­no[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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