Maurizio De Giovanni: «I referendum per cambiare una storia già scritta»

11996963_10153627395778754_316591350_n«Se i refe­ren­dum han­no la poten­zia­li­tà di cam­bia­re una sto­ria che sem­bra già scrit­ta? Asso­lu­ta­men­te: i refe­ren­dum sono sem­pre sta­ti un modo per anda­re oltre i limi­ti e sca­val­ca­re le pasto­ie». Mau­ri­zio De Gio­van­ni, il gial­li­sta crea­to­re del com­mis­sa­rio Ric­ciar­di, ha le idee ben chia­re. Met­te ordi­ne tra gli avve­ni­men­ti, scom­po­ne i pro­ces­si, tro­va la solu­zio­ne. Lo abbia­mo inter­vi­sta­to a tut­to cam­po, oltre che sul­la sua scel­ta di fir­ma­re i referendum.

Il com­mis­sa­rio Ric­ciar­di lo cono­sco­no in mol­ti, ora­mai, ma non tut­ti. Comin­cia­mo con un suo bre­ve ritratto.

Ric­ciar­di è un com­mis­sa­rio di Poli­zia che ope­ra a Napo­li nei pri­mi anni ’30. Più pre­ci­sa­men­te, gli otto roman­zi di cui è pro­ta­go­ni­sta sono ambien­ta­ti tra il 1931 e il 1932. È una per­so­na gra­va­ta da una capa­ci­tà straor­di­na­ria, quel­la di poter vede­re gli ulti­mi atti e gli ulti­mi pen­sie­ri del­le per­so­ne mor­te di mor­te vio­len­ta. A lui spet­ta il ruo­lo di ricom­por­re quei pen­sie­ri e quel­le vite inter­rot­te. Que­ste per­ce­zio­ni, però, fan­no di lui una per­so­na soli­ta­ria e distan­te, com­por­ta­men­ti che si ripro­pon­go­no sia duran­te lo svol­gi­men­to del­le inda­gi­ni che anche nel­la sfe­ra emo­ti­va e sen­ti­men­ta­le, allon­ta­nan­do­lo da una don­na, Enrica.

Un ritrat­to che sem­bra il più distan­te pos­si­bi­le da quel­lo del­la mag­gior par­te dei poli­ti­ci attua­li, impe­gna­ti a fare sel­fie, bagni di fol­la. Eppu­re Ric­ciar­di pia­ce mol­to ai suoi lettori.

Que­sto per­ché Ric­ciar­di ha un atteg­gia­men­to sostan­zia­le: mira sem­pre alla sostan­za, in qua­lun­que situa­zio­ne si tro­vi. Non l’ho volu­to fare sim­pa­ti­co, o esper­to gour­met, o abi­le con le don­ne. Al con­tra­rio, sof­fre per la sof­fe­ren­za altrui, una cosa che tut­ti noi non fac­cia­mo mai. È que­sto il segre­to del suo successo.

Le inda­gi­ni di Ric­ciar­di sono ambien­ta­ti nel mez­zo del­la dit­ta­tu­ra fasci­sta. Ai tem­pi la poli­ti­ca era mol­to pre­sen­te nel­la socie­tà, tan­to che a trat­ti era dif­fi­ci­le riu­sci­re a distin­guer­le. Come si è evo­lu­to il rap­por­to tra poli­ti­ca e società?

È neces­sa­rio ope­ra­re una distin­zio­ne. La vita socia­le è poli­ti­ca, le due cose cor­ri­spon­do­no per­fet­ta­men­te: la poli­ti­ca non è altro che la com­po­si­zio­ne del­le sin­go­le volon­tà indi­vi­dua­li in un’unica volon­tà col­let­ti­va. Al momen­to, però, le per­so­ne per­ce­pi­sco­no la poli­ti­ca come ves­sa­to­ria, cor­rot­ta, men­zo­gne­ra. Le con­se­guen­ze sono l’astensionismo o l’espressione del pro­prio voto a favo­re di movi­men­ti che fan­no del­la dema­go­gia la pro­pria for­za, e sul­la base di ciò riscuo­to­no un faci­le suc­ces­so. Si trat­ta di un dan­no socia­le immenso.

In una recen­te inter­vi­sta lei dichia­ra­va che nel­le sue inda­gi­ni il com­mis­sa­rio Ric­ciar­di è por­ta­to a chie­der­si «come sen­ti­men­ti qua­li amo­re, ami­ci­zia, affet­to pater­no o filia­le pos­sa­no esser­si cor­rot­ti e infet­ta­ti fino a diven­ta­re il loro oppo­sto». A chi segue la poli­ti­ca, una meta­mor­fo­si del gene­re non può che ricor­da­re la voglia di cam­bia­men­to che si è mani­fe­sta­ta nel­le urne nel 2013, e che è sta­ta asso­lu­ta­men­te tradita.

È asso­lu­ta­men­te vero. Sono da ricer­ca­re qui le ragio­ni del distac­co di cui par­la­vo in pre­ce­den­za: sia­mo sta­ti ingan­na­ti più vol­te. Pro­met­te­re e non man­te­ne­re le pro­mes­se è dive­ta­ta una costan­te nel mon­do poli­ti­co, tan­to che ora­mai ci si aspet­ta che qual­sia­si pro­mes­sa ven­ga tradita.

A que­sto pun­to si può sve­la­re chi è l’assassino…

L’assassino è quel­lo che sfrut­ta, che caval­ca l’onda di cer­ti sen­ti­men­ti. Col risul­ta­to che si allon­ta­na sem­pre di più dagli ulti­mi, dai lavo­ra­to­ri che han­no per­so il lavo­ro, dagli immigrati.

I refe­ren­dum han­no il poten­zia­le per cam­bia­re un fina­le che sem­bra già scritto?

Asso­lu­ta­men­te: i refe­ren­dum sono sem­pre sta­ti un modo per anda­re oltre i limi­ti e sca­val­ca­re le pasto­ie, le buro­cra­zie – che nei momen­ti di deca­den­za non a caso vedo­no aumen­ta­re il pro­prio pote­re. I refe­ren­dum sono un pon­te per riap­pro­priar­si del­la cosa pub­bli­ca, una pri­ma­ria tera­pia, una stra­da per la guarigione.

È per que­sto moti­vo che ha scel­to di fir­ma­re i refe­ren­dum pro­mos­si da Possibile?

Sì, ma non solo. Mi suc­ce­de rara­men­te di spe­ri­men­ta­re una asso­lu­ta iden­ti­tà di idee, il che non mi con­sen­te “appar­te­nen­ze”. In que­sti refe­ren­dum e nel pen­sie­ro poli­ti­co di Pip­po Civa­ti, però, mi ci ritro­vo total­men­te. Si avver­te un gra­ve trion­fo dei sen­ti­men­ti anti­u­ma­ni, for­se cau­sa­to dal pro­gres­si­vo venir meno del sen­so di appar­te­nen­za alla cate­go­ria. In piaz­za non ci si va più, se non per difen­de­re pic­co­le ren­di­te, e inve­ce la sini­stra è sini­stra quan­do si bat­te per i dirit­ti altrui, cosa che non si vede­va da trop­po tempo.

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