La pandemia non è uguale per tutte

Siamo, non tutti, ma molti, confinati in casa (per chi ce l’ha) dietro porte chiuse. Ma non lasciamoci tentare dal pensiero che chiudere una porta basti a chi è dentro per sentirsi al sicuro, o basti agli altri per non vedere, non sapere. 

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Nem­me­no la pan­de­mia è ugua­le per tut­ti, come abbia­mo avu­to modo di con­sta­ta­re fin dai pri­mi giorni.

Soprat­tut­to, non è ugua­le per tutte. 

Ecco per­ché abbia­mo biso­gno di un approc­cio fem­mi­ni­sta e di gene­re alle misu­re di con­te­ni­men­to del virus e alla pia­ni­fi­ca­zio­ne del futuro. 

Sia­mo pas­sa­ti in pochi gior­ni dall’essere cir­con­da­ti da augu­ri di un velo­ce ritor­no alla nor­ma­li­tà, ad ascol­ta­re chi ci fa nota­re che in quel­la nor­ma­li­tà non c’è pro­prio nien­te di nor­ma­le, e che il vero augu­rio è quel­lo di impa­ra­re la lezio­ne che ci sta impar­ten­do que­sta emer­gen­za, sul­la sani­tà, sul­la pre­ca­rie­tà, sul­la soli­tu­di­ne, sul­la malat­tia. Sul lavo­ro e l’istruzione. Sul­la sicu­rez­za, quel­la eco­no­mi­ca, quel­la socia­le, quel­la che si cer­ca nei dro­ni e nell’esercito, che non sono tut­te ugua­li nem­me­no loro. 

Sul­le disu­gua­glian­ze, sem­pre loro. 

Sia­mo, non tut­ti, ma mol­ti, con­fi­na­ti in casa (per chi ce l’ha) die­tro por­te chiu­se. Ma non lascia­mo­ci ten­ta­re dal pen­sie­ro che chiu­de­re una por­ta basti a chi è den­tro per sen­tir­si al sicu­ro, o basti agli altri per non vede­re, non sapere. 

Ci sono le vio­len­ze dome­sti­che, gli abu­si in fami­glia. Quel­li che van­no avan­ti da tem­po, e quel­li nuo­vi di zec­ca, inne­sca­ti o aggra­va­ti dal­la con­vi­ven­za con­ti­nua­ti­va e for­za­ta, dal ner­vo­si­smo e dal­la pau­ra. La pri­va­cy si ridu­ce, come la pos­si­bi­li­tà di chie­de­re aiu­to. Lo ha spie­ga­to a Repub­bli­ca Elia­na D’A­sco­li, psi­co­lo­ga del Tele­fo­no Rosa: “A vol­te fac­cio fati­ca per­si­no a sen­tir­le per il rumo­re che crea­no pur non far­si sen­ti­re dal­l’uo­mo. Rice­vo tele­fo­na­te anche di figli che denun­cia­no le vio­len­ze subi­te dal­la madre o che subi­sco­no in pri­ma per­so­na dal padre, a vol­te anche indi­ret­ta­men­te per­ché inter­ven­go­no nel­le liti per pro­teg­ge­re la don­na”. In que­sto momen­to è più impor­tan­te che mai dif­fon­de­re il nume­ro nazio­na­le dei cen­tri anti­vio­len­za 1522, che è sem­pre atti­vo e che può aiu­ta­re anche in que­sto momen­to: anche se non si può usci­re, non è proi­bi­to fug­gi­re. Que­ste don­ne e que­sti bam­bi­ni non andran­no lascia­ti soli, duran­te e dopo l’emergenza: i fon­di per i cen­tri anti­vio­len­za, per le vit­ti­me di vio­len­za e per i pro­gram­mi di edu­ca­zio­ne all’empatia ed emo­ti­va sono neces­sa­ri e van­no garan­ti­ti e potenziati.

Cam­pa­gna di Anarkikka

C’è il lavo­ro dome­sti­co, che con le fami­glie costret­te a casa aumen­ta, e diven­ta più com­pli­ca­to da gesti­re, con la dif­fi­col­tà a orga­niz­za­re le usci­te neces­sa­rie, gli ora­ri e la cura dei bam­bi­ni a casa per via del­le scuo­le chiu­se, la neces­si­tà di ade­guar­si alla didat­ti­ca a distan­za. Che, per inci­so, nem­me­no quel­la è ugua­le per tut­ti, anzi: la chiu­su­ra del­le scuo­le fa emer­ge­re anco­ra di più le dif­fe­ren­ze fra gli stu­den­ti. Insom­ma, si aggra­va non solo la mole di lavo­ro, ma anche il “cari­co men­ta­le”, cioè la costan­te atti­vi­tà di pia­ni­fi­ca­zio­ne del­le atti­vi­tà dome­sti­che che è anco­ra, in trop­pi casi, total­men­te a cari­co del­le don­ne. E si intrec­cia e sovrap­po­ne con il tele­la­vo­ro, nel caso gli adul­ti lo stia­no svol­gen­do da casa.

C’è il lavo­ro di cura, che met­te soprat­tut­to le don­ne a rischio di con­ta­gio e di stress emo­ti­vo. Sia in fami­glia, sia per quan­to riguar­da le pro­fes­sio­ni. In Ita­lia, il 66,8 del per­so­na­le del Ser­vi­zio Sani­ta­rio Nazio­na­le è com­po­sto da don­ne. Medi­ci e infer­mie­ri lavo­ra­no in con­di­zio­ni estre­ma­men­te a rischio (quan­do abbia­mo chie­sto di inviar­ci le vostre testi­mo­nian­ze riguar­do alla sicu­rez­za sul lavo­ro, le pri­me ad arri­va­re sono sta­te pro­prio quel­le pro­ve­nien­ti dagli ospe­da­li). Anche se i dati sul coro­na­vi­rus sem­bra­no dir­ci che il tas­so di mor­ta­li­tà nel­le don­ne sareb­be sen­si­bil­men­te più bas­so rispet­to a quel­lo degli uomi­ni, l’esposizione resta altis­si­ma, così come il peso emo­ti­vo e psi­co­lo­gi­co e le sue con­se­guen­ze in ter­mi­ni di salu­te mentale.

C’è la dispa­ri­tà di retri­bu­zio­ne, su cui è già sta­to dato l’al­lar­me dal­l’i­ni­zio del­l’e­mer­gen­za, ma su cui è neces­sa­rio ritor­na­re. Il cosid­det­to gen­der pay gap rischia di aumen­ta­re anco­ra per effet­to del­la pan­de­mia e del­le dif­fi­col­tà eco­no­mi­che che segui­ran­no. Le don­ne sono la mag­gio­ran­za anche nel set­to­re del turi­smo e del­la cul­tu­ra, un altro cam­po che sta suben­do dan­ni enor­mi dal pun­to di vista dei red­di­ti, anche per via dei rap­por­ti di lavo­ro, spes­so pre­ca­ri e meno strut­tu­ra­ti (auto­no­mi, par­ti­te iva, col­la­bo­ra­zio­ni di vario tipo: lavo­ra­to­ri e in mag­gio­ran­za lavo­ra­tri­ci che dall’inizio dell’emergenza non han­no nes­su­na entrata). 

Gli effet­ti eco­no­mi­ci, anche una vol­ta usci­ti dal­l’e­mer­gen­za imme­dia­ta, rischia­no di esse­re più pesan­ti sul­le spal­le del­le don­ne. Più spes­so impie­ga­te in posi­zio­ni meno paga­te, part-time o pre­ca­rie, i loro posti di lavo­ro sono quel­li a cui è più faci­le rinun­cia­re dal pun­to di vista del­l’e­co­no­mia fami­lia­re, e anche da quel­lo dei dato­ri di lavo­ro. Con­trat­ti meno soli­di le ren­do­no anche più vul­ne­ra­bi­li di fron­te a ridu­zio­ni di ora­rio, retri­bu­zio­ne, man­sio­na­men­to. Allo stes­so modo, chi dovrà entra­re o rien­tra­re al lavo­ro per­ché uno sti­pen­dio non è più suf­fi­cien­te si tro­ve­rà a far­lo in con­di­zio­ni di estre­ma ricat­ta­bi­li­tà e precarietà. 

Sen­za con­ta­re il fat­to che in situa­zio­ni di emer­gen­za o di cri­si la ten­den­za è a spo­sta­re l’at­ten­zio­ne da ciò che vie­ne con­si­de­ra­to “super­fluo” a ciò che inve­ce vie­ne per­ce­pi­to come di pri­ma­ria impor­tan­za. A livel­lo glo­ba­le, que­sto è un rischio enor­me per quel­lo che riguar­da le poli­ti­che di gene­re, spes­so già in affan­no dal pun­to di vista degli inve­sti­men­ti, uma­ni ed economici.

In que­ste set­ti­ma­ne è neces­sa­rio usa­re il tem­po a dispo­si­zio­ne non solo per gesti­re l’e­mer­gen­za, ma anche per pre­pa­rar­si ad affron­ta­re quel che ver­rà dopo, com­pre­sa l’ipotesi non così remo­ta che nuo­ve cri­si si pre­sen­ti­no. È un’oc­ca­sio­ne anche per stu­dia­re e rac­co­glie­re dati che con­sen­ta­no uno sguar­do di gene­re sul­le pan­de­mie, sul modo in cui impat­ta­no in modo diver­so a secon­da del­le disu­gua­glian­ze, a par­ti­re da quel­la di gene­re, anche dal pun­to di vista medi­co (la dif­fe­ren­za nel tas­so di mor­ta­li­tà, per esem­pio, che è già sta­ta nota­ta, o le con­se­guen­ze per le don­ne incin­te). Ma, come per ogni altra que­stio­ne, anche per que­sto è neces­sa­ria la volon­tà poli­ti­ca.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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