Il piano Juncker delude: meglio il New Deal 4 Europe

Fuo­ri l’Eu­ro­pa dal­l’au­ste­ri­tà” è sta­to uno slo­gan pre­sen­te in qua­si tut­ti i pro­gram­mi del­le fami­glie poli­ti­che in vista del­le ele­zio­ni euro­pee: il pro­ble­ma ora è come arri­var­ci.

La nostra rispo­sta è sta­ta quel­la di soste­ne­re il “New Deal 4 Euro­pe insie­me ai movi­men­ti fede­ra­li­sti euro­pei e mol­te asso­cia­zio­ni del­la socie­tà civi­le. Si trat­ta di un pia­no straor­di­na­rio di inve­sti­men­ti pub­bli­ci che dovreb­be pro­muo­ve­re l’U­nio­ne euro­pea per far usci­re il con­ti­nen­te dal­la cri­si, rilan­cia­re la cre­sci­ta soste­ni­bi­le e crea­re nuo­vi posti di lavo­ro, soprat­tut­to per i giovani.

Lo stru­men­to scel­to è la cosid­det­ta “Ini­zia­ti­va dei cit­ta­di­ni euro­pei”, una sor­ta di leg­ge di ini­zia­ti­va popo­la­re che per­met­te a un milio­ne di per­so­ne di alme­no 7 pae­si euro­pei di pre­sen­ta­re una pro­po­sta alla Com­mis­sio­ne europea.

Un pri­mo suc­ces­so di que­sto approc­cio sem­bra­va già esse­re acqui­si­to dal pun­to di vista poli­ti­co per­chè l’UE sta­va pro­van­do con la nuo­va Com­mis­sio­ne Junc­ker a pas­sa­re final­men­te dal­le paro­le ai fat­ti e a pro­muo­ve­re un pia­no di inve­sti­men­to “da 300 miliar­di di € in 3 anni come dichia­ra­to dal neo­pre­si­den­te il gior­no dell’insediamento.

La sen­sa­zio­ne insom­ma era che il mes­sag­gio fos­se pas­sa­to e che la neces­si­tà di que­sto sfor­zo straor­di­na­rio fos­se arri­va­ta ai ver­ti­ci euro­pei. Pur­trop­po si trat­ta­va solo di una sen­sa­zio­ne: se è vero che il dia­vo­lo si nascon­de nei det­ta­gli, la pre­sen­ta­zio­ne uffi­cia­le del pia­no di Junc­ker lascia mol­to delu­si.

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Sap­pia­mo che in perio­do di cri­si non è pos­si­bi­le spe­ra­re che tut­te quel­le risor­se esca­no dal bilan­cio del­la Com­mis­sio­ne (trop­po pic­co­lo per poter­se­lo per­met­te­re), nè dai bilan­ci degli sta­ti (sot­to con­trol­lo per evi­ta­re nuo­ve cri­si dei debi­ti sovra­ni), però sta­vol­ta si è esa­ge­ra­to: il pia­no pre­ve­de la crea­zio­ne del “Fon­do euro­peo per gli inve­sti­men­ti stra­te­gi­ci” (FEIS) in cui la Com­mis­sio­ne met­te­rà 16 miliar­di di € e la Ban­ca euro­pea degli inve­sti­men­ti (BEI) altri 5 miliar­di per un tota­le di 21 miliar­di che ser­vi­ran­no da garan­zia in modo da atti­va­re 315 miliar­di di €, attra­ver­so una leva finan­zia­ria che li mol­ti­pli­chi 15 vol­te gra­zie a fon­di privati.

Il mec­ca­ni­smo imma­gi­na­to è come un fon­do di inve­sti­men­to: i pri­va­ti potran­no acqui­sta­re le quo­te di que­sto por­ta­fo­glio di atti­vi­tà che dovran­no ave­re “ele­va­to ren­di­men­to socioe­co­no­mi­co”: sarà quin­di dif­fi­ci­le inve­sti­re in atti­vi­tà “di base” che pos­sa­no por­ta­re svi­lup­po trop­po in là nel tem­po. Una del­le cri­ti­che più pesan­ti è infat­ti la scel­ta di recu­pe­ra­re gran par­te dei 16 miliar­di usan­do “Oriz­zon­te 2020″ (2,7 miliar­di) cioè il pro­gram­ma dedi­ca­to a ricer­ca e inno­va­zio­ne e il “Mec­ca­ni­smo per col­le­ga­re l’Eu­ro­pa” ovve­ro il pro­gram­ma per le infra­strut­tu­re di tra­spor­to (3,3 miliardi).

Uno sche­ma un po’ azzar­da­to insom­ma, con la pos­si­bi­li­tà che i sin­go­li pae­si pos­sa­no appor­ta­re risor­se aggiun­ti­ve al fon­do da non con­ta­bi­liz­za­re nel Pat­to di sta­bi­li­tà (quin­di fuo­ri dai para­me­tri di Maa­stri­cht) ma sen­za nes­su­na assi­cu­ra­zio­ne che que­sti fon­di vada­no a copri­re inve­sti­men­ti del­lo stes­so pae­se. Un mec­ca­ni­smo spun­ta­to per­chè in linea teo­ri­ca “pas­se­ran­no solo le eccel­len­ze e non ci saran­no quo­te nazio­na­li, dun­que i pae­si che pre­sen­te­ran­no le idee miglio­ri pren­de­ran­no più sol­di degli altri”, di con­se­guen­za nes­su­no si azzar­de­rà ad impe­gna­re sol­di che poi potreb­be­ro anda­re a finan­zia­re pro­get­ti in altri pae­si. La scel­ta degli inve­sti­men­ti da effet­tua­re sareb­be infat­ti deman­da­ta ad un “comi­ta­to per gli inve­sti­men­ti”, com­po­sto da esper­ti di tut­ti i pae­si UE, che dovrà deter­mi­na­re le prio­ri­tà e le ini­zia­ti­ve finan­zia­bi­li.

I set­to­ri di inter­ven­to saran­no: ban­da lar­ga, ener­gia, infra­strut­tu­re di tra­spor­to, infra­strut­tu­re ambien­ta­li, siste­mi di istru­zio­ne e di inno­va­zio­ne, siste­mi pre­vi­den­zia­li, finan­zia­men­to del­le PMI e misu­re a favo­re del­l’oc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le. Per non sape­re nè leg­ge­re nè scri­ve­re i pae­si si sono già por­ta­ti avan­ti nel­la pre­sen­ta­zio­ne dei pro­get­ti da finan­zia­re: si trat­ta, per ora, di 1.800 pro­get­ti cir­ca per un tota­le di cir­ca 1.100 miliar­di di spe­sa com­ples­si­va. Il rischio è quel­lo di pri­vi­le­gia­re gran­di ope­re subi­to finan­zia­bi­li con un ritor­no imme­dia­to all’in­ve­sti­men­to a sca­pi­to dei pro­get­ti di più ampio respi­ro (il nostro pae­se tra­di­zio­nal­men­te si fa finan­zia­re auto­stra­de dal­la BEI), sen­za con­si­de­ra­re trop­po la soste­ni­bi­li­tà e la qua­li­tà del­lo svi­lup­po complessivo.

Si trat­ta insom­ma di una costru­zio­ne un po’ irrea­li­sti­ca, trop­po lega­ta al mer­ca­to, sen­za quel corag­gio neces­sa­rio per usci­re da que­sta pro­fon­da cri­si: i posti di lavo­ro aggiun­ti­vi imma­gi­na­ti sono “da 1 a 1,3 milio­ni”, la clas­si­ca mon­ta­gna che par­to­ri­sce un topolino.

Tut­to il con­tra­rio del New Deal 4 Euro­pe che ha le carat­te­ri­sti­che per far ripren­de­re l’e­co­no­mia del con­ti­nen­te, pro­prio come il New Deal di roo­svel­tia­na memo­ria riu­scì a risol­le­va­re il nord Ame­ri­ca dopo la cri­si del ’29. Sì per­chè il pia­no si basa su pila­stri mol­to più soli­di per fare leva sul­lo svi­lup­po soste­ni­bi­le e met­te­re sul piat­to 400 miliar­di in 3 anni di “sol­di veri” per crea­re (diret­ta­men­te e indi­ret­ta­men­te) “alme­no 20 milio­ni di posti di lavoro”.

Il pri­mo è la pos­si­bi­li­tà di aumen­ta­re il bilan­cio “fede­ra­le”, ovve­ro quel­lo del­la Com­mis­sio­ne attra­ver­so entra­te pro­prie che son sta­te indi­vi­dua­te nel­la Tobin tax (la tas­sa sul­le tran­sa­zio­ni finan­zia­rie già appro­va­ta da 11 pae­si del­l’eu­ro zona) e sul­la Car­bon Tax (una pic­co­la tas­sa sul­le emis­sio­ni di CO2), entram­be par­ti­te che han­no sen­so se gesti­te sul­la sca­la con­ti­nen­ta­le per­ché i temi sono di livel­lo glo­ba­le. Il fon­do potreb­be esse­re arric­chi­to con lo stru­men­to del debi­to euro­peo, ovve­ro pro­ject bond o euro­bond che sono una buo­na idea in que­sto momen­to per­chè gli inte­res­si su que­ste obbli­ga­zio­ni sareb­be­ro estre­ma­men­te bas­si. Il bilan­cio UE pas­se­reb­be così dall’1% attua­le rispet­to al PIL degli sta­ti mem­bri all’1,3% cir­ca che non è mol­to se si pen­sa che il gover­no fede­ra­le USA può con­ta­re sul 22% ma per­met­te­reb­be di respon­sa­bi­liz­za­re la Com­mis­sio­ne come gover­no euro­peo atti­van­do un cir­cui­to vir­tuo­so, facen­do entra­re l’Eu­ro­pa nel­la vita quo­ti­dia­na dei cit­ta­di­ni euro­pei, con­tri­buen­do al loro benes­se­re per­chè por­ta pro­get­ti, inve­sti­men­ti, posti di lavo­ro e non solo vin­co­li, auste­ri­tà, com­pi­ti da fare.

Si ribal­te­reb­be così l’im­ma­gi­ne del­l’UE che negli ulti­mi anni è sta­ta dipin­ta come matri­gna soprat­tut­to dai gover­ni che vole­va­no sca­ri­ca­re le pro­prie respon­sa­bi­li­tà poli­ti­che all’e­ster­no: se gli sta­ti devo­no fare rigo­re che l’Eu­ro­pa por­ti svi­lup­po insom­ma. Que­sto è anco­ra più uti­le in caso di cri­si pro­lun­ga­te come quel­la che stia­mo viven­do. Citan­do i pre­mi nobel Krug­man e Sti­gli­tz: “il mol­ti­pli­ca­to­re del­la spe­sa pub­bli­ca in reces­sio­ni estre­me è mol­to più gran­de che nel­le reces­sio­ni tipi­che (qua­si il 70% più alto).” Que­sto signi­fi­ca che il modo per usci­re rapi­da­men­te dal­la cri­si (evi­tan­do la sta­gna­zio­ne) è quel­lo di usa­re que­sto mol­ti­pli­ca­to­re.

Il secon­do pila­stro sono i set­to­ri di inter­ven­to, indi­vi­dua­ti in: ener­gie rin­no­va­bi­li, ricer­ca, inno­va­zio­ne, reti infra­strut­tu­ra­li, agri­col­tu­ra eco­lo­gi­ca, pro­te­zio­ne dell’ambiente e del patri­mo­nio cul­tu­ra­le.

Alcu­ni esempi.

I set­to­ri insom­ma sono quel­li giu­sti per­ché sono quel­li che pos­so­no por­ta­re dei risul­ta­ti più signi­fi­ca­ti­vi in ter­mi­ni di red­di­to gene­ra­to ma soprat­tut­to pos­so­no crea­re posti di lavo­ro più soli­di, di qua­li­tà, nel medio perio­do.

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