Il bagnino maschio. Flick e quello che non si vuole capire del ddl Zan

Giurisprudenza e dottrina sono concordi nell’affermare che il “bene giuridico” protetto dalle norme incriminatrici in tema di discriminazione sia la dignità dell’uomo in sé.

Ho let­to l’intervista su Avve­ni­re all’ex mini­stro ed ex pre­si­den­te del­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le Gio­van­ni Maria Flick, e mi per­met­to di dis­sen­ti­re in modo fermo.

Il prof. Flick sostie­ne che le defi­ni­zio­ni dell’art. 4 del dise­gno di leg­ge Zan sia­no trop­po vaghe, argo­men­tan­do letteralmente:

“Allo­ra, noi ci tro­via­mo di fron­te a tre ordi­ni di pro­ble­mi. Il pri­mo è la fram­men­ta­zio­ne del bene da tute­la­re. Non solo il ses­so, ma anche l’orientamento ses­sua­le ovve­ro l’attrazione ver­so l’uno o l’altro ses­so, il gene­re inte­so come costru­zio­ne socia­le e cul­tu­ra­le del ses­so, l’identità di gene­re come con­di­zio­ne per­so­na­le diver­sa da quel­la gene­ra­le. Sono valo­ri che devo­no esse­re dife­si e garan­ti­ti ma che nel­la nor­ma si tra­du­co­no in con­cet­ti vaghi, che pos­so­no apri­re ad ecces­si inter­pre­ta­ti­vi in sede giurisprudenziale.”

L’aspetto curio­so è che a quan­to pare il Prof. Flick ha per­fet­ta­men­te com­pre­so qua­le sia il bene da tute­la­re, nel­la sua com­ples­si­tà, quin­di qua­li sia­no i valo­ri defi­ni­ti nel­la nor­ma, per­ché li ripe­te, e nel­la sua stes­sa elen­ca­zio­ne appa­io­no chia­ris­si­mi. Quin­di dove sareb­be la vaghez­za? A mio avvi­so la vaghez­za è nel­la defi­ni­zio­ne alter­na­ti­va pro­po­sta, cioè «ses­so nel­le sue mani­fe­sta­zio­ni ed espres­sio­ni di ordi­ne socia­le e indi­vi­dua­le». Men­tre le defi­ni­zio­ni del DDL Zan sono per­fet­ta­men­te com­pren­si­bi­li, anche per­ché già esi­sten­ti nel nostro patri­mo­nio giu­ri­di­co, que­sta a me pare dav­ve­ro mol­to più osti­ca ma soprat­tut­to lacu­no­sa, poi­ché non andreb­be a tute­la­re la per­so­na ogget­to di vio­len­za per la pro­pria iden­ti­tà di gene­re, a mag­gior ragio­ne nel per­cor­so di tran­si­zio­ne, per­ché il ses­so non c’entra nul­la. Non vor­rei scon­vol­ge­re il prof. Flick, ma il nostro ordi­na­men­to già con­sen­te la ret­ti­fi­ca­zio­ne ana­gra­fi­ca sen­za ope­ra­zio­ne chi­rur­gi­ca che modi­fi­chi l’anatomia, cioè il ses­so, del­la per­so­na, e lo ha sta­tui­to pro­prio la Cor­te Costi­tu­zio­na­le che lui ha pre­sie­du­to con la sen­ten­za n. 221/2015. Vie­ne quin­di da pen­sa­re che que­sta esclu­sio­ne non sia involontaria.

“Per quan­ti sfor­zi si pos­sa­no fare, è dav­ve­ro dif­fi­ci­le capi­re dove fini­sce la legit­ti­ma scel­ta, deci­sio­ne ed espres­sio­ne di un pen­sie­ro e dove inve­ce ini­zi un atto discri­mi­na­to­rio, o l’incitamento ad un atto discri­mi­na­to­rio o ancor più violento.”

Fac­cia­mo un pas­so indie­tro. Pri­ma anco­ra del­la stes­sa esi­sten­za del­la leg­ge Man­ci­no, la Cor­te Costi­tu­zio­na­le era inter­ve­nu­ta sul rap­por­to fra la leg­ge Scel­ba, di attua­zio­ne del­la XII dispo­si­zio­ne tran­si­to­ria e fina­le del­la Costi­tu­zio­ne ita­lia­na che, tra l’al­tro, ha intro­dot­to il rea­to di apo­lo­gia del fasci­smo, e la liber­tà di mani­fe­sta­zio­ne del pen­sie­ro, sta­bi­len­do che quest’ultima non può spin­ger­si oltre il limi­te segna­to da altri prin­ci­pi costi­tu­zio­na­li fon­da­men­ta­li (si veda­no le sen­ten­ze di riget­to del­le rela­ti­ve que­stio­ni di legit­ti­mi­tà costi­tu­zio­na­le, n. 1 del 1957 e n. 74 del 1958). Giu­ri­spru­den­za e dot­tri­na sono con­cor­di nell’affermare che il “bene giu­ri­di­co” pro­tet­to dal­le nor­me incri­mi­na­tri­ci in tema di discri­mi­na­zio­ne sia la digni­tà dell’uomo in sé; e che, quin­di, il bilan­cia­men­to si gio­chi fra beni di rilie­vo costi­tu­zio­na­le: la liber­tà di mani­fe­sta­zio­ne del pen­sie­ro da un lato e la pari digni­tà di tut­ti gli uomi­ni dall’altro. A ciò con­se­gue che la giu­ri­spru­den­za in mate­ria si deli­nei neces­sa­ria­men­te come giu­ri­spru­den­za del caso con­cre­to, essen­do pos­si­bi­le trac­cia­re una linea di con­fi­ne tra i due dirit­ti, entram­bi di rilie­vo costi­tu­zio­na­le e con­ven­zio­na­le, solo aven­do riguar­do alla con­cre­ta fat­ti­spe­cie. Quin­di non si più trac­cia­re un limi­te pre­de­ter­mi­na­to al con­tem­pe­ra­men­to di due beni di rilie­vo costi­tu­zio­na­le, ma deve esse­re il giu­di­ce, caso per caso a valu­ta­re se sus­si­sta­no gli estre­mi per l’apllicazione del­la nor­ma­ti­va repres­si­va, oppu­re se la vio­la­zio­ne non è così gra­ve da supe­ra­re l’ambito tute­la­to del­la liber­tà di mani­fe­sta­zio­ne del pen­sie­ro. Sull’art. 4, che for­mu­la una sor­ta di disclai­mer con­fer­man­do la sus­si­sten­za del­la liber­tà di espres­sio­ne, pur­chè non leda la digni­tà uma­na, Flick dice:

“L’articolo 4, come già ho avu­to occa­sio­ne di segna­la­re, non mi pia­ce per­ché degra­da a leg­ge ordi­na­ria una garan­zia costituzionale.”

Anche qui non sono d’accordo. Se una nor­ma ordi­na­ria riba­di­sce un prin­ci­pio costi­tu­zio­na­le, è sem­pli­ce­men­te super­flua, per­ché vale sem­pre, per la gera­chia del­le fon­ti, il prin­ci­pio costi­tu­zio­na­le. Quin­di non degra­da nul­la, è solo del tut­to irri­le­van­te. Sull’esempio con­cre­to di rischio di atti discri­mi­na­to­ri che potreb­be­ro met­te­re in dif­fi­col­tà il giu­di­ce, fac­cio più fati­ca a trat­te­ne­re il sar­ca­smo e la lesa maestà.

“Le fac­cio un esem­pio ade­gua­to al tem­po bal­nea­re: cer­co un bagni­no maschio per­ché riten­go abbia più for­za fisi­ca, sto discri­mi­nan­do? Non cre­do pro­prio. È più faci­le indi­vi­dua­re la discri­mi­na­zio­ne attra­ver­so la raz­za o la religione.”

Inve­ce la rispo­sta è ovvia­men­te sì: al prof. Flick deve esse­re sfug­gi­to il dispo­sto degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 198/2006, come modi­fi­ca­ti dal D.Lgs. n. 5/2010, che vie­ta­no fra l’altro qual­sia­si discri­mi­na­zio­ne: a)per quan­to riguar­da l’ac­ces­so al lavo­ro in for­ma subor­di­na­ta, auto­no­ma o in qual­sia­si altra for­ma, com­pre­si i cri­te­ri di sele­zio­ne e le con­di­zio­ni di assun­zio­ne, non­ché la pro­mo­zio­ne indi­pen­den­te­men­te dal­le moda­li­tà di assun­zio­ne e qua­lun­que sia il set­to­re o ramo di atti­vi­tà, a tut­ti i livel­li del­la gerar­chia pro­fes­sio­na­le (art. 27, com­ma 1); b)anche se attua­ta, attra­ver­so il rife­ri­men­to allo sta­to matri­mo­nia­le o di fami­glia o di gra­vi­dan­za, non­ché di mater­ni­tà o pater­ni­tà, anche adot­ti­ve, in modo indi­ret­to, attra­ver­so mec­ca­ni­smi di pre­se­le­zio­ne, ovve­ro a mez­zo stam­pa o con qual­sia­si altra for­ma pub­bli­ci­ta­ria che indi­chi come requi­si­to pro­fes­sio­na­le l’ap­par­te­nen­za all’u­no o all’al­tro ses­so (art. 27, com­ma 2). Incre­di­bil­men­te, la pro­fes­sio­ne di “bagni­no” può esse­re svol­ta da per­so­ne di entram­bi i ses­si, ed effet­tua­re un annun­cio diret­to ad assu­me­re neces­sa­ria­men­te un uomo per la “for­za fisi­ca” è una vio­la­zio­ne. Non si trat­ta tut­ta­via di nor­me pena­li ma di dirit­to del lavo­ro, che con­sen­to­no l’azione giu­di­zia­ria del lavo­ra­to­re o del­la lavo­ra­tri­ce discri­mi­na­ta al fine di otte­ne­re l’assunzione o il risar­ci­men­to del dan­no. E il DDL Zan sareb­be comun­que irri­le­van­te sul pun­to, nel sen­so che, for­se non si è anco­ra capi­to o lo si è capi­to benis­si­mo ma si fa fin­ta di nien­te, non è il DDL Zan a con­fi­gu­ra­re la vio­len­za o la discri­mi­na­zio­ne. I rea­ti sono già pre­vi­sti, e que­sto annun­cio non lo sareb­be. Il DDL Zan altro non fa che aggra­va­re il rea­to, quan­do è accer­ta­to e com­mes­so nei con­fron­ti del­le per­so­ne tute­la­te. Quin­di. Sia­mo anco­ra qui a dover spie­ga­re a un giu­ri­sta di fama mon­dia­le ed ex pre­si­den­te del­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le che anche le don­ne pos­so­no fare “il bagni­no” (che poi si chia­me­reb­be assi­sten­te bagnan­te), che un annun­cio di lavo­ro può esse­re discri­mi­na­to­rio sen­za con­fi­gu­ra­re un rea­to, che il DDL Zan comun­que non puni­rà chi cer­ca un “bagni­no”, ma ser­vi­rà ad argi­na­re soprat­tut­to le vio­len­ze e le isti­ga­zio­ni alla vio­len­za, con defi­ni­zio­ni chia­ris­si­me sul­le poten­zia­li, e pur­trop­po spes­so dram­ma­ti­ca­men­te rea­li, vit­ti­me? Dav­ve­ro? Ma in che anno sia­mo, che mi sono perso?

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