Gentiloni e la Povertà, questa sconosciuta

Non dovrebbe essere ammesso altro indugio nell'intervenire con una qualsivoglia forma di reddito minimo garantito. Gentiloni assicura che il suo governo procederà in continuità con il precedente esecutivo. E ciò non depone certamente a suo favore.

E’ sor­pren­den­te, o for­se no, che una inte­ra cri­si di gover­no si sia con­su­ma­ta sen­za far alcun accen­no ai dati sul­le fami­glie ita­lia­ne in sta­to di pover­tà, divul­ga­ti dall’ISTAT ad ini­zio Dicem­bre, alla con­clu­sio­ne dell’indagine cam­pio­na­ria “Red­di­to e con­di­zio­ni di vita” (EU SILC). Il Siste­ma Poli­ti­co pro­ce­de nel­le sue litur­gie pri­ve di alcun lega­me comu­ni­ca­ti­vo con l’Ambiente Socia­le, i cui feed­back sono igno­ra­ti in modo pla­tea­le. Ci sareb­be­ro da apri­re ampie paren­te­si sul tema dimen­ti­ca­to del­la disin­ter­me­dia­zio­ne del­la poli­ti­ca, di cui si fece ampio sfog­gio tem­po addie­tro e che veni­va van­ta­to come uno dei trat­ti distin­ti­vi dell’etica del Cam­bia-Ver­so. Ciar­pa­me, si potreb­be ben dire ora, aven­do alla mano i risul­ta­ti del­la con­sul­ta­zio­ne refe­ren­da­ria e quel­li — allar­man­ti — degli indi­ca­to­ri sul­la pover­tà. Come è pos­si­bi­le che la real­tà di un pae­se for­te­men­te impo­ve­ri­to e arrab­bia­to per l’indisciplina del pro­prio ceto poli­ti­co, non sia sta­ta mini­ma­men­te inter­cet­ta­ta o posta alla vista e mes­sa in cima all’ordine del gior­no del governo?

Men­tre il Gran­de Pia­no per la Pover­tà veni­va lascia­to alle cro­na­che dei mesi esti­vi e poi mes­so fuo­ri dai capi­to­li del­la Leg­ge di Bilan­cio 2017, la sti­ma dell’ISTAT del­le per­so­ne resi­den­ti a rischio di pover­tà o esclu­sio­ne socia­le, ovve­ro di que­gli indi­vi­dui che han­no espe­ri­to duran­te l’an­no alme­no una del­le seguen­ti condizioni,

  • il rischio di povertà,
  • la gra­ve depri­va­zio­ne materiale,
  • la bas­sa inten­si­tà di lavoro,

si è atte­sta­ta intor­no al 28,7%, valo­re sostan­zial­men­te simi­le a quan­to regi­stra­to nel­l’an­no pre­ce­den­te: si trat­ta in ogni caso di «più di un quar­to del­la popo­la­zio­ne». Tale risul­ta­to è con­di­zio­na­to in lar­ga par­te dal­l’in­cre­men­to degli indi­vi­dui a rischio di pover­tà (la sti­ma pas­sa da 19,4% a 19,9%). Signi­fi­ca­ti­vo il peg­gio­ra­men­to del­le fami­glie con alme­no cin­que com­po­nen­ti, ove l’in­ci­den­za di pover­tà o esclu­sio­ne socia­le pas­sa dal 40,2% al 43,7%.

Secon­do l’in­da­gi­ne rea­liz­za­ta da Open­po­lis per con­to di Repubblica.it, le per­so­ne in con­di­zio­ne di pover­tà asso­lu­ta sono 4,6 milio­ni, con­tro i 4,1 milio­ni del 2014: una varia­zio­ne del 12% in un solo anno: negli ulti­mi quat­tro anni, i pove­ri sono aumen­ta­ti di 1,9 milio­ni di per­so­ne, +73%!

Le per­so­ne in con­di­zio­ne di pover­tà rela­ti­va (aven­ti cioè un red­di­to infe­rio­re alla spe­sa media per con­su­mi pro capi­te, fis­sa­ta nel 2015 in 2.499,37 euro per fami­glia), sono pari a 8,3 milio­ni, +6% in un anno.

L’in­di­ce di Gini, uti­le a valu­ta­re la spe­re­qua­zio­ne fra i red­di­ti, rima­ne sta­bi­le a 0.32, come nel 2014, ma è anco­ra sopra la media euro­pea (0.31). Impres­sio­nan­te il calo del red­di­to fami­lia­re pro­ve­nien­te da lavo­ro auto­no­mo, arre­tra­to sino alla quo­ta di 65 su 100, rispet­to all’an­no base, il 2003, con­traen­do­si del 28% a par­ti­re dal 2009. Inol­tre, le fami­glie del quin­to di red­di­to più bas­so inci­do­no per la quo­ta par­te del 6,7% del red­di­to tota­le, quel­le del quin­to di red­di­to più ele­va­to, inve­ce, inci­do­no per il 39,3%, qua­si cin­que vol­te tan­to.

Il red­di­to medio per le fami­glie il cui prin­ci­pa­le per­cet­to­re di red­di­to ha età infe­rio­re a 35 anni, è più bas­so del 27% rispet­to alla coor­te di età 55–64 anni (35.134 vs. 46.846, vedi Pro­spet­to A2, ISTAT, Red­di­to e Con­di­zio­ni di vita). La spe­re­qua­zio­ne dei red­di­ti inter­se­ca le coor­ti d’e­tà lun­go il discri­mi­nan­te geo­gra­fi­co: il red­di­to medio per la coor­te d’e­tà infe­rio­re a 35 anni per chi abi­ta al Sud è più bas­so del 35% rispet­to alla media del­l’a­na­lo­go grup­po che inve­ce risie­de al Nord (22.553 vs. 35134). Il red­di­to di una fami­glia, in cui il prin­ci­pa­le per­cet­to­re di red­di­to è disoc­cu­pa­to, è qua­si la metà di una fami­glia gui­da­ta da un lavo­ra­to­re dipen­den­te (21.192 vs. 39.084).

Tale è il qua­dro nume­ri­co. Non dovreb­be esse­re ammes­so altro indu­gio nel­l’in­ter­ve­ni­re con una qual­si­vo­glia for­ma di red­di­to mini­mo garan­ti­to. Gen­ti­lo­ni assi­cu­ra che il suo gover­no pro­ce­de­rà in con­ti­nui­tà con il pre­ce­den­te ese­cu­ti­vo. E ciò non depo­ne cer­ta­men­te a suo favo­re. Nel discor­so di inse­dia­men­to alla Came­ra, Gen­ti­lo­ni ha vagheg­gia­to di un «impe­gno del Gover­no […] sul pia­no socia­le, per com­ple­ta­re la rifor­ma del lavo­ro, per attua­re le pro­ce­du­re riguar­dan­ti le nor­me sul­l’an­ti­ci­po pen­sio­ni­sti­co, così come sul ter­re­no dei dirit­ti, dove mol­to è sta­to fat­to, ma altri pas­si avan­ti pos­so­no esse­re rea­liz­za­ti». Anzi, il pre­si­den­te del Con­si­glio è tor­na­to a riba­di­re l’im­pe­gno ver­so «la par­te più disa­gia­ta del­la nostra clas­se media»: rife­ren­do­si sia al lavo­ro dipen­den­te che alle par­ti­te IVA, rite­nu­ti «ceti disa­gia­ti» che si sen­to­no «pena­liz­za­ti o addi­rit­tu­ra scon­fit­ti» dal­le dina­mi­che del com­mer­cio inter­na­zio­na­le e del­l’e­vo­lu­zio­ne digitale.

L’er­ro­re, anco­ra una vol­ta, è di aver dimen­ti­ca­to gli ulti­mi.

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