Chiamiamo le cose con il loro nome: non è maltempo

Un colo­re è entra­to pre­po­ten­te­men­te nell’opinione pub­bli­ca ita­lia­na, e non è né ros­so, né aran­cio­ne, né gial­lo: è il mar­ro­ne del fan­go che riem­pie le case in mol­tis­si­mi pae­si lun­go lo sti­va­le. Era­va­mo così pre­si con i colo­ri del­le Regio­ni che ci sia­mo dimen­ti­ca­ti che il “mar­ro­ne fan­go” ulti­ma­men­te è una costan­te per il nostro pae­se.

Ragio­nan­do con alcu­ni ami­ci su qual­che chat è emer­sa anche la con­si­de­ra­zio­ne che ormai ci sia­mo tal­men­te abi­tua­ti a que­ste tra­ge­die che non ci fac­cia­mo più caso.

Però c’è un pro­ble­ma mol­to pre­oc­cu­pan­te che riguar­da la nar­ra­zio­ne di quel­lo che sta suc­ce­den­do. Defi­ni­re que­sti epi­so­di come “mal­tem­po” è scor­ret­to, con­tro­pro­du­cen­te ed è anche deon­to­lo­gi­ca­men­te sba­glia­to. E pun­tual­men­te avvie­ne ogni volta.

Quan­do suc­ce­de un even­to, di qual­sia­si tipo, di soli­to si dovreb­be inda­ga­re sul­le cau­se e rac­con­ta­re che le con­se­guen­ze si sono veri­fi­ca­te per x motivi.

E inve­ce no, assi­stia­mo nei tele­gior­na­li e sul­la car­ta stam­pa­ta a una nar­ra­zio­ne “tos­si­ca”.

I fiu­mi eson­da­no e nes­su­no par­la di una cemen­ti­fi­ca­zio­ne sel­vag­gia degli argi­ni o la tom­bi­na­tu­ra degli stes­si fiu­mi, dell’alveo spo­sta­to a “uso e con­su­mo” di qual­che pro­gram­ma­zio­ne ter­ri­to­ria­le, di costru­zio­ne in zone gole­na­li. Si par­la solo dei mil­li­me­tri cadu­ti e in quan­to tempo.

Nume­ro­se case ven­go­no inva­se di sas­si e fan­go por­ta­ti a val­le da tor­ren­tel­li dopo qual­che ora di piog­gia inten­sa, ma nes­su­no par­la di case costrui­te dove non si dove­va costrui­re e di una leg­ge­rez­za nel con­ce­de­re i per­mes­si. Si rac­con­ta solo che per la mag­gior par­te dell’anno que­sti ter­re­ni sono in sec­ca e quan­to sia esa­ge­ra­to chia­mar­li tor­ren­ti se non c’è acqua.

I ver­san­ti mon­tuo­si com­ple­ta­men­te disbo­sca­ti per fare spa­zio a nuo­ve piste da sci fra­na­no a val­le dopo feno­me­ni tem­po­ra­le­schi vio­len­ti. Si par­la solo di mal­tem­po e di quan­ti bene­fi­ci eco­no­mi­ci por­te­reb­be­ro le nuo­ve piste da sci che van­no ripri­sti­na­te subito.

Sen­za dimen­ti­ca­re i pre­oc­cu­pan­ti nume­ri del­la vio­len­za com­piu­to sul­la matri­ce suo­lo: sia­mo in una situa­zio­ne di cri­si e con­ti­nuia­mo a con­su­mar­lo a rit­mi ver­ti­gi­no­si. Gli incen­di — mol­te vol­te dolo­si — alte­ra­no gli stra­ti sot­to super­fi­cia­li del ter­re­no ren­den­do­li idro­fi­biz­za­ti (l’acqua scor­re in super­fi­cie mol­to più velo­ce­men­te). Imper­mea­bi­liz­zia­mo i suo­li copren­do­li con asfal­to e cemen­to per rea­liz­za­re case che riman­go­no vuo­te e inven­du­te, capan­no­ni tri­ste­men­te vuo­ti. Eppu­re sul fat­to che le fun­zio­ni pri­ma­rie del suo­lo ver­gi­ne sia­no più impor­tan­ti di una cola­ta di cemen­to c’è un silen­zio tombale.

Le pre­ci­pi­ta­zio­ni si stan­no facen­do sem­pre più vio­len­te, i ven­ti sono sem­pre più for­ti e impe­tuo­si, le trom­be d’aria o trom­be mari­ne stan­no aumen­tan­do e tut­to que­sto vie­ne defi­ni­to “mal­tem­po”!

Que­sti epi­so­di sono le con­se­guen­ze nefa­ste dei cam­bia­men­ti climatici. 

Eppu­re par­la­re di “cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci” non è più un argo­men­to per pochi. Dal livel­lo inter­na­zio­na­le a livel­lo nazio­na­le se ne par­la… e allo­ra per­ché ci si osti­na a chia­ma­re le cose con un nome diverso?

Il riscal­da­men­to del cli­ma e i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci stan­no inci­den­do su tan­ti aspet­ti del­la vita sul­la ter­ra: innal­za­men­to del livel­lo dei mari, scio­gli­men­to dei ghiac­ciai, distru­zio­ne di eco­si­ste­mi e innal­za­men­to dell’acidità dei mari con con­se­guen­ze sugli habi­tat mari­ni a cau­sa dell’innalzamento del bios­si­do di car­bo­nio, e i feno­me­ni mete­reo­lo­gi­ci più poten­ti in zone dove fino a poco tem­po fa era­no epi­so­di eccezionali.

Sono anche evi­den­ti le gra­vi impli­ca­zio­ni ambien­ta­li, socia­li, eco­no­mi­che e poli­ti­che, così come è evi­den­te che sia­mo di fron­te a una del­le prin­ci­pa­li sfi­de per l’intera popo­la­zio­ne umana.

Gli ulti­mi dati resi noti dall’Ufficio del­le Nazio­ni Uni­te per la ridu­zio­ne del rischio di cata­stro­fi (Unsdir), han­no con­fer­ma­to che i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci sono i respon­sa­bi­li del rad­dop­pio dei disa­stri natu­ra­li nel mon­do in ven­ti anni.

Nume­ri dram­ma­ti­ci: dal 1980 al 1999  i disa­stri natu­ra­li sono sta­ti 3.656 men­tre nel perio­do dal 2000 al 2020 sono più che rad­dop­pia­ti fino a rag­giun­ge­re quo­ta 7.348.

Sono rad­dop­pia­te le inon­da­zio­ni, così come sono rad­dop­pia­te le tem­pe­ste che nel frat­tem­po stan­no diven­tan­do la nor­ma­li­tà in alcu­ne zone del pae­se com­pre­sa la nostra peni­so­la. Il Medi­ter­ra­neo con il riscal­da­men­to ambien­ta­le è diven­ta­to più cal­do e le cor­ren­ti fred­de che si scon­tra­no con quel­le ascen­sio­na­li più cal­de cau­sa­no i tor­na­do, trom­be mari­ne e trom­be d’aria che stia­mo avvi­stan­do lun­go le nostre coste.

E que­ste cata­stro­fi por­ta­no con sé dan­ni eco­no­mi­ci, socia­li e pur­trop­po la per­di­ta di vite umane.

Le imma­gi­ni di ini­zio otto­bre 2020 in Pie­mon­te e in Ligu­ria, le tra­ge­die in Sar­de­gna, le inon­da­zio­ni in Vene­to ed Emi­lia Roma­gna di que­sti così come le con­ti­nue fra­ne di pie­tri­sco in Val Code­ra, altri even­ti in mon­ta­gna come il len­to scio­glier­si del Ghiac­cia­io del Plam­pin­ceux in Val Fer­ret ci rac­con­ta­no qual­co­sa di diver­so dal sem­pli­ce “mal­tem­po”.

In Ita­lia i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci stan­no mostran­do le loro nefa­ste con­se­guen­ze eppu­re sono in pochi quel­li che chia­ma­no que­sti epi­so­di con il loro nome. È man­can­za di corag­gio o ci sono altre considerazioni?

Stia­mo viven­do una cri­si cli­ma­ti­ca ambien­ta­le e socia­le che non può esse­re sem­pli­ce­men­te liqui­da­ta come “mal­tem­po”.

A vol­te quest’operazione è siste­ma­ti­ca­men­te uti­liz­za­ta da chi volu­ta­men­te vuo­le con­ti­nua­re a soste­ne­re la nar­ra­zio­ne che i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci non esi­sta­no e che la cau­sa non sia indi­vi­dua­bi­le nell’azione dell’uomo.

Ne par­la mol­to bene Rebec­ca Sol­nit in “Chia­ma­re le cose con il loro nome. Bugie, veri­tà e spe­ran­ze nell’era di Trump e del cam­bia­men­to cli­ma­ti­co”. E quel­lo di Trump è uno dei gran­di esem­pi di nar­ra­zio­ne tos­si­ca sul fron­te del cli­ma­te chan­ge e non solo (anco­ra oggi con­ti­nua imper­ter­ri­to nel nega­re l’evidente vit­to­ria di Biden).

Non abbia­mo più tem­po eppu­re con­ti­nuia­mo a rac­con­ta­re una sto­ria diver­sa. La nar­ra­zio­ne di quan­to avvie­ne è fal­sa­ta e così facen­do non si aiu­ta­no i cit­ta­di­ni nel com­pren­de­re la gra­vi­tà del­la situa­zio­ne. La sfi­da cul­tu­ra­le che abbia­mo di fron­te è sta­bi­li­re una nar­ra­zio­ne che sia veri­tie­ra, che chia­mi le cose con il loro nome.

“Il pri­mo atto rivo­lu­zio­na­rio è chia­ma­re le cose con il loro nome” dice­va Rosa Luxem­burg e nel­la situa­zio­ne attua­le abbia­mo biso­gno di tan­ti pic­co­li pas­si rivo­lu­zio­na­ri ver­so una con­ver­sio­ne eco­lo­gi­ca, socia­le e cul­tu­ra­le non più rimandabile.

Il futu­ro ami­co lo costruia­mo oggi, anche attra­ver­so una cor­ret­ta nar­ra­zio­ne di quan­to sta avve­nen­do e con del­le stra­de che dovre­mo per­cor­re­re per inver­ti­re la rot­ta che abbia­mo intrapreso.

Oggi! Doma­ni potreb­be esse­re trop­po tar­di.

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