Call center: il telefono della crisi squilla a Mezzogiorno (e non solo)

Per anni sono sta­ti il sim­bo­lo del pre­ca­ria­to, del lavo­ra­to­re sfrut­ta­to e mal­pa­ga­to. Uno ste­reo­ti­po per­fet­to, rac­con­ta­to anche dal mon­do dell’editoria e del Cine­ma. Oggi i riflet­to­ri sono pun­ta­ti altro­ve: chi lavo­ra in un call cen­ter rice­ve deci­sa­men­te meno atten­zio­ne, fa meno audien­ce. E non per­ché la situa­zio­ne sia nor­ma­liz­za­ta: è solo scat­ta­to un mec­ca­ni­smo di abi­tu­di­ne. Dopo il caso-Alma­vi­va, l’ultimo in gra­do di sol­le­va­re un dibat­ti­to pub­bli­co, l’eco media­ti­ca si è affie­vo­li­ta, lascian­do per lo più un silen­zio intor­no ai lavo­ra­to­ri e alle lavo­ra­tri­ci. Anco­ra meno atten­zio­ne si regi­stra in rela­zio­ne ai gio­va­ni del Mez­zo­gior­no, tema tan­to caro al dibat­ti­to poli­ti­co, in otti­ca elet­to­ra­le, sal­vo poi per­der­si nel­le neb­bie del­le pole­mi­che pro­pa­gan­di­sti­che. Eppu­re i call cen­ter, in mol­te real­tà del meri­dio­ne, rap­pre­sen­ta­no un appi­glio lavo­ra­ti­vo, uno stru­men­to vali­do per ave­re un’occupazione. Alme­no per chi non ha già subi­to le delo­ca­liz­za­zio­ni. La sto­ria di Com­da­ta è una sin­te­si per­fet­ta del­lo sce­na­rio, con una ver­ten­za che si muo­ve dal Nord-Est alla Poz­zuo­li, pro­vin­cia di Napo­li. Un abbrac­cio, non pro­prio affet­tuo­so, al Pae­se, met­ten­do a repen­ta­glio qua­si 300 posti di lavo­ro, con poche spe­ran­za di sal­va­tag­gio in par­ti­co­la­re per la sede puteo­la­na. Così lo scio­pe­ro, pro­cla­ma­to per il 29 giu­gno, è una tap­pa fon­da­men­ta­le per chie­de­re un mini­mo di dirit­ti. Anche per­ché, a Mila­no, è arri­va­ta una nuo­va com­mes­sa e gli assun­ti han­no con­trat­ti di som­mi­ni­stra­zio­ne. Con la pro­mes­sa di una sta­bi­liz­za­zio­ne che arri­ve­rà solo dopo aver accet­ta­to tur­na­zio­ni inten­se, quan­do non massacranti.

I nume­ri aiu­ta­no a capi­re la pro­por­zio­ne del feno­me­no call cen­ter in Ita­lia. “L’occupazione nei call cen­ter è carat­te­riz­za­ta da una for­te pre­sen­za di gio­va­ni: il 39% degli occu­pa­ti tota­li (inter­ni + ester­ni) han­no meno di 30 anni rispet­to al 22% del tota­le del set­to­re dei ser­vi­zi alle impre­se. Per con­tro, la quo­ta di occu­pa­ti con più di 50 anni – che risul­ta pari a un quin­to nel set­to­re dei ser­vi­zi alle impre­se – è pari solo al 5,1%. Tra i lavo­ra­to­ri ester­ni la quo­ta di gio­va­ni sot­to i tren­ta anni sale al 56,2% (40% nel com­par­to di rife­ri­men­to). Si trat­ta di 15 mila occu­pa­ti, dei qua­li otto­mi­la nel Mez­zo­gior­no”, spie­ga­va lo stu­dio dell’Istat, risa­len­te al 2011, che pro­po­ne­va una pre­ci­sa foto­gra­fia del­la situa­zio­ne. In que­sto caso la base era rap­pre­sen­ta­ta dal cal­co­lo di 80mila occu­pa­ti. Le cifre, ora, sono lie­ve­men­te ridi­men­sio­na­te, per­ché il mer­ca­to ha subi­to muta­zio­ni note­vo­li (tan­to per fare un esem­pio la Gig eco­no­my, cre­sciu­ta in pochi anni). Il qua­dro resta tut­ta­via com­ples­so, come evi­den­zia­no i rac­con­ti del­le espe­rien­ze diret­te: l’ultima sti­ma par­la di oltre 60mila occu­pa­ti con varie tipo­lo­gie con­trat­tua­li. Quin­di le pro­por­zio­ni, pur in assen­za di riscon­tri uffi­cia­li, sono sostan­zial­men­te simi­li: al Sud il call cen­ter evo­ca una con­di­zio­ne più pre­ca­ria, la metà dei ragaz­zi (gli 8mila indi­ca­ti dal­la ricer­ca Istat) deve bar­ca­me­nar­si con con­trat­ti “ester­ni”. Del resto è di que­ste ore la noti­zia sul­la trat­ta­ti­va per l’esodo incen­ti­va­to di Alma­vi­va a Palermo.

La ver­ten­za-Com­da­ta è quin­di uno di quei casi che rischia­no così di fare scuo­la, in nega­ti­vo. La deci­sio­ne di non delo­ca­liz­za­re una com­mes­sa, accol­ta con giu­bi­lo dal­l’al­lo­ra mini­stro Calen­da, non ha però sal­va­to qua­si 300 per­so­ne, tra cui mol­te don­ne: rischia­no per­de­re il posto. Un para­dos­so dram­ma­ti­co. E que­so non acca­de per un affan­no eco­no­mi­co, ben­sì per una scel­ta stra­te­gi­ca. L’a­zien­da ha infat­ti da poco acqui­si­to il grop­po fran­ce­se, CCA Inter­na­tio­nal, e pre­sto potreb­be­ro esser­ci altri inve­sti­men­ti per rile­va­re altre socie­tà in cri­si. Insom­ma, una “rior­ga­niz­za­zio­ne pro­dut­ti­va”, leg­gi­bi­le anche alla voce “mas­si­miz­za­re i pro­fit­ti”. Met­ten­do la spe­sa sul con­to dei dipen­den­ti. Ma ora non ci sono schie­re di intel­let­tua­li pron­ti a denun­cia­re i pro­ble­mi nei call cen­ter. Segui­re­mo que­sta vicen­da (e altre anche), chie­den­do con­to all’azienda e al gover­no di ciò che acca­drà, per indi­vi­dua­re una solu­zio­ne rispet­to­sa dei dirit­ti dei lavo­ra­to­ri e del loro lavo­ro. Sen­za reto­ri­ca sul­le pro­mes­se futu­ri­bi­li, ma stan­do attac­ca­ti alla real­tà. E dei nume­ri die­tro cui, è sem­pre bene ricor­dar­lo, ci sono per­so­ne e famiglie.

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