Che i corridoi umanitari non siano un mezzo spicciolo per far dimenticare i moltissimi migranti internati, che non siano uno strumento ipocrita per smacchiare e dissimulare colpe e reati di una politica efferata.
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Che i corridoi umanitari non siano un mezzo spicciolo per far dimenticare i moltissimi migranti internati, che non siano uno strumento ipocrita per smacchiare e dissimulare colpe e reati di una politica efferata.
Mentre a Parigi si discutono piani straordinari per militarizzare frontiere e rotte migratorie, c’è chi si adopera per costruire un modello differente, in cui le persone non vengono bloccate ma aiutate, in cui non sono passatori, trafficanti e milizie a gestire i flussi ma le istituzioni e il terzo settore assieme.
Poniamo che questo papà e questa bambina vogliano venire in Italia. Lo devono fare con mezzi di fortuna, affidandosi a criminali, sottoponendosi a ricatti inaccettabili, pagando cifre esorbitanti, evitando polizie che possono anche essere poco corrette e leali (quando non letteralmente violente), affrontando mare e muri, pernottando all’aperto e spostandosi di notte, nell’ombra. Lo devono fare subendo violenze fisiche e psicologiche quotidiane e rischiando quotidianamente la morte. Lo devono fare vedendo morire i propri compagni di viaggio al loro fianco, col costante timore di essere i prossimi.