Siamo qui per imparare

L’autorevole Gotor adesso spiega che «la scissione sarà una decisione collettiva, e non una somma sgangherata di narcisismi alla Civati». Boh, di nuovo non comprendo il senso delle parole, a parte l’ossessione ritornante al personalismo. Vuol dire che ci sarà una scissione? E quando, e perché? Va bene stare nel partito del Jobs Act e della Buona Scuola, dell’Italicum con la fiducia e pure della riforma costituzionale che, combinandosi con quella elettorale, «rompe l’equilibrio democratico», ma se si fanno la tessera quelli con cui, in un modo o nell’altro, dall’inizio di questa legislatura sono alleati, allora fanno saltare tutto?

«Se nel Pd entra gen­te che non c’entra nul­la con la nostra sto­ria», dice Ber­sa­ni, «il Pd diven­ta un’altra cosa, e io non so più se ci voglio sta­re». Ma non è tut­to. Ai ragaz­zi del­la scuo­la di for­ma­zio­ne dem, Cuper­lo ha pre­ci­sa­to: «Se nel Pd entra la destra, que­sto non è più il nostro par­ti­to». Chia­ro, no?

Beh, mica tan­to. Per­ché io dav­ve­ro non la capi­sco que­sta loro avver­sio­ne per­so­na­li­sti­ca. Nel sen­so, cioè, che non capi­sco l’avversione per i per­so­nag­gi, ma non per le poli­ti­che. Insom­ma, nel Pd è da tem­po che c’è la destra, poli­ti­ca­men­te par­lan­do, inten­do. Se non altro, quel­la suf­fi­cien­te a far sì che quel par­ti­to appro­vas­se, d’un fia­to e sen­za fia­ta­re, una legi­sla­zio­ne sul lavo­ro che nem­me­no Ber­lu­sco­ni, la rifor­ma del­la scuo­la che vole­va l’Aprea ai tem­pi del­la Gel­mi­ni e del­la Morat­ti, le libe­re tri­vel­le in libe­ro mare e libe­ra ter­ra, cola­te di cemen­to da Lupi, e infat­ti pro­prio lui le ave­va volu­te, una rifor­ma elet­to­ra­le che met­te le ali al Por­cel­lum, la riscrit­tu­ra del­la Costi­tu­zio­ne nel sol­co dei sag­gi del­la bai­ta di Loren­za­go, un “pia­no casa” law and order, però solo per chi occu­pa per dispe­ra­zio­ne immo­bi­li vuo­ti, non per quel­li che li costrui­sco­no per spe­cu­la­zio­ne sapen­do che tali rimar­ran­no, ecce­te­ra, ecce­te­ra, eccetera.

Poi, per cari­tà, ognu­no la può vede­re come vuo­le e cia­scu­no ha la resi­sten­za che ha. È tut­ta­via curio­so che si met­ta il veto sui nomi e non sul­le pra­ti­che. Può sem­bra­re stra­no, me ne ren­do con­to, eppu­re mol­ti se ne sono anda­ti dal Pd per­ché le cose che sta­va facen­do non pia­ce­va­no, non per­ché fos­se­ro loro anti­pa­ti­ci, per dire, Andrea Roma­no o Ste­fa­nia Gian­ni­ni.

L’autorevole Gotor ades­so spie­ga che «la scis­sio­ne sarà una deci­sio­ne col­let­ti­va, e non una som­ma sgan­ghe­ra­ta di nar­ci­si­smi alla Civa­ti». Boh, di nuo­vo non com­pren­do il sen­so del­le paro­le, a par­te l’ossessione ritor­nan­te al per­so­na­li­smo. Vuol dire che ci sarà una scis­sio­ne? E quan­do, e per­ché? Va bene sta­re nel par­ti­to del Jobs Act e del­la Buo­na Scuo­la, dell’Ita­li­cum con la fidu­cia e pure del­la rifor­ma costi­tu­zio­na­le che, com­bi­nan­do­si con quel­la elet­to­ra­le, «rom­pe l’equilibrio demo­cra­ti­co», ma se si fan­no la tes­se­ra quel­li con cui, in un modo o nell’altro, dall’inizio di que­sta legi­sla­tu­ra sono allea­ti, allo­ra fan­no sal­ta­re tutto?

In ogni caso, sia­mo al mon­do per appren­de­re, anche come si fac­cia­no le scis­sio­ni “serie”.

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