Cominciamo dalla costruzione della pace

La vera guerra è tutta lì: creare le basi per affermare pace, non-violenza, dialogo. Assicurare educazione universale, sviluppare legami culturali, promuovere storia, letteratura, arte, scambi tra universitari.

Rice­via­mo e volen­tie­ri pub­bli­chia­mo una rispo­sta alla let­te­ra di Sha­dy Hama­di che abbia­mo ospi­ta­to pochi gior­ni fa. L’au­to­re è Andrea Tre­vi­san, coo­pe­ran­te, che ci scri­ve da Jalalabad.

 

Caro Hama­dy e cari ami­ci di Possibile,

pri­ma di tut­to gra­zie per la con­ti­nua dif­fu­sio­ne di mes­sag­gi orien­ta­ti alla pace, di cui c’è un sen­ti­to biso­gno. Qual­che mese addie­tro mi tro­vai a scri­ve­re sugli stes­si temi trat­ta­ti nel­l’ar­ti­co­lo, pub­bli­ca­ti nei vostri qua­der­ni qua e qua. I temi e le idee prin­ci­pa­li sono total­men­te con­di­vi­si­bi­li, ma c’è un pun­to impor­tan­te che vor­rei sot­to­li­nea­re nel­la let­te­ra del sig. Hama­dy, ed è rela­ti­vo ai “dirit­ti uma­ni” e alle dit­ta­tu­re che “ci pro­met­to­no stabilità”.

Con la fine del­la Secon­da Guer­ra Mon­dia­le, uno dei moti­vi prin­ci­pa­li per i qua­li le “demo­cra­zie occi­den­ta­li” han­no spin­to per espor­ta­re e pro­muo­ve­re la demo­cra­zia è l’as­sun­to che gover­ni demo­cra­ti­ci non si attac­ca­no e ten­do­no ad adot­ta­re meto­di paci­fi­ci di riso­lu­zio­ne dei con­flit­ti; ovve­ro, in paro­le pove­re, un pae­se Demo­cra­ti­co non dovreb­be inva­de­re un altro pae­se per fare guerra.

Duran­te la guer­ra fred­da que­sto prin­ci­pio ha vis­su­to all’in­ter­no del para­dig­ma Est / Ove­st del mon­do bipo­la­re, nel­l’ot­ti­ca del con­flit­to tra i due bloc­chi prin­ci­pa­li. Nel decen­nio seguen­te il crol­lo del muro di Ber­li­no, con il crol­lo del bloc­co “non-demo­cra­ti­co” vi è sta­to un ulte­rio­re impul­so all’e­spor­ta­zio­ne più o meno paci­fi­ca di demo­cra­zia, svi­lup­po e dirit­ti uma­ni (Tria­de diven­ta­te un uni­co nel­le poli­ti­che del­le Nazio­ni Uni­te negli anni ’90 e le rifor­me di Kofi Annan) con stor­pia­tu­re ed adat­ta­men­ti spe­ci­fi­ci: fal­li­men­to e riti­ro in Soma­lia, assen­za di rico­no­sci­men­to nei Gran­di Laghi, ado­zio­ne “ad-hoc” nei Bal­ca­ni con giu­sti­fi­ca­zio­ni anche “uma­ni­ta­rie” di un inter­ven­to arma­to (ad esem­pio in Kosovo).

Nel mon­do post-11 set­tem­bre si è ulte­rior­men­te giu­sti­fi­ca­to l’in­ter­ven­to arma­to per eli­mi­na­re “regi­mi” con­si­de­ra­ti peri­co­lo­si per l’or­di­ne mon­dia­le, ripa­ra­re Sta­ti “fal­li­ti, ripor­ta­re demo­cra­zia e dirit­ti uma­ni a popo­la­zio­ni che, per la nostra visio­ne, ne era­no defi­ci­ta­rie o era­no ostag­gi dei loro gover­ni. Qual­che esem­pio: inter­ven­to “uma­ni­ta­rio” in Afgha­ni­stan, inter­ven­to per la “pace mon­dia­le” in Iraq, soste­gno all’in­ter­ven­to Etio­pe in Soma­lia. Dopo que­sti inter­ven­ti con­si­de­ra­ti trion­fa­li e vit­to­rio­si, alla fine del decen­nio scor­so ci si è pre­sen­ta­to davan­ti un qua­dro meno ras­si­cu­ran­te di que­sti prin­ci­pi: insta­bi­li­tà cro­ni­ca in Afgha­ni­stan e ritor­no costan­te del­la resi­sten­za Tale­ba­na, caos tota­le in Iraq e arri­vo di for­ze radi­ca­li, come in Soma­lia giu­sto per cita­re qual­che caso.

Que­ste dif­fi­col­tà di com­pren­sio­ne e visio­ne del­la nostra “civil­tà” e soprat­tut­to del­le demo­cra­zie Occi­den­ta­li sono alla fine appar­se evi­den­ti al momen­to del­le Pri­ma­ve­re ara­be, con del­le rispo­ste par­zia­li e selet­ti­ve all’u­ni­so­na richie­sta di demo­cra­zia e dirit­ti uma­ni pro­ve­nien­ti dal­le popo­la­zio­ni dei pae­si Ara­bi; qual­che esi­ta­zio­ne e rispo­sta for­se det­ta­te dal­la pau­ra di ulte­rio­ri inter­ven­ti sba­glia­ti. In alcu­ni casi la rispo­sta è sta­ta la repres­sio­ne tota­le del­le richie­ste in alcu­ni pae­si (Ara­bia Sau­di­ta, Maroc­co e Bah­rein ad esem­pio), una sor­pre­sa ed inca­pa­ci­tà alla com­pren­sio­ne (Egit­to e Tuni­sia), una rispo­sta arma­ta per eli­mi­na­re sco­mo­di segre­ti (Libia) giu­sti­fi­can­do­si con la “respon­sa­bi­li­tà di pro­teg­ge­re”, un gof­fa misce­la di azio­ni distor­te e scol­le­ga­te (Siria). E’ sem­pre impor­tan­te ad esem­pio cita­re anche la que­stio­ne Pale­sti­ne­se, feri­ta sem­pre viva ed aper­ta. Que­sta pau­ra (o disin­te­res­se) o inca­pa­ci­tà di rea­gi­re man­tie­ne ad esem­pio in stal­lo situa­zio­ni evi­den­ti di dit­ta­tu­ra come in Burun­di o Zim­ba­b­we. O per­ché ad esem­pio non vi mai è sta­to nes­sun inter­ven­to arma­to in Bir­ma­nia se si è sem­pre cre­du­to che fos­se (o sia anco­ra) un regi­me repressivo?

A qua­le ragio­ne si devo­no tut­ti que­sti fal­li­men­ti ? Dal mio pun­to di vista a del­le ana­li­si sba­glia­te e a del­le rispo­ste anco­ra più sba­glia­te. In pri­mis la par­zia­li­tà degli inter­ven­ti a soste­gno dei dirit­ti uma­ni ne ridu­ce in lar­ga par­te la legit­ti­mi­tà: par­ten­do dal fat­to che il Con­si­glio di Sicu­rez­za del­le Nazio­ni Uni­te (che non è un orga­no di pro­mo­zio­ne dei dirit­ti uma­ni ma di sta­bi­liz­za­zio­ne del pia­ne­ta) è usa­to a secon­da degli inte­res­si dei mem­bri per­ma­nen­ti (i qua­li han­no inte­res­si pri­ma eco­no­mi­ci che uma­ni­ta­ri a mio pare­re) mi sem­bra evi­den­te che la pro­mo­zio­ne dei dirit­ti uma­ni è un’a­gen­da varia­bi­le a secon­da del­la poli­ti­ca este­ri dei pae­si che ne fan­no par­te.

Inol­tre si è trop­po spes­so cer­ca­to azio­ni di for­za di “cam­bio di regi­me”, non con­si­de­ran­do opzio­ni inter­ne o tran­si­to­rie. La qua­si tota­li­tà del­le vol­te que­ste azio­ni han­no eli­mi­na­to gover­ni se non legit­ti­mi alme­no sovra­ni e qua­si sem­pre autoctoni.

Que­st’ul­ti­mo pun­to è secon­do me trop­po spes­so mal con­si­de­ra­to. Ogni popo­lo o nazio­ne ha sto­ria e per­cor­si uni­ci. Nel­lo stes­so modo in cui la “civil­tà occi­den­ta­le” ha accet­ta­to la pro­mo­zio­ne del­la demo­cra­zia sul­la base degli orro­ri del­le due guer­re mon­dia­li, così biso­gna esse­re capa­ci di rico­no­sce­re le ragio­ni ed i mec­ca­ni­smi che spin­go­no altri popo­li ad orga­niz­zar­si in for­me di gover­no dif­fe­ren­ti ed il loro dirit­to alla sovra­ni­tà, vero pre­sup­po­sto per la pace uni­ver­sa­le. In mol­te regio­ni la popo­la­zio­ne è stan­ca di decen­ni di guer­re o di gover­ni demo­cra­ti­ci cor­rot­ti che non offro­no ser­vi­zi ma solo tri­bu­ti. E’ quin­di com­pren­si­bi­le di abban­do­nar­si a for­me di gover­no diver­se, ad altri espe­ri­men­ti (tale era ad esem­pio la deci­sio­ne del­la popo­la­zio­ne di soste­ne­re cor­ti isla­mi­che in Soma­lia e tale­ba­ni in Afghanistan).

Que­sto non vuol dire che si deb­ba tol­le­ra­re dit­ta­tu­re o regi­mi tota­li­ta­ri o asso­lu­ti­sti cie­ca­men­te o sul­la base del­la pau­ra radi­ca­le (la pau­ra jiha­di­sta del gior­no d’og­gi era, a gran­di linee nel secon­do dopo­guer­ra, la pau­ra comu­ni­sta), ma che si deb­ba­no tro­va­re vie di svi­lup­po alter­na­ti­ve. Inva­de­rem­mo mili­tar­men­te maga­ri nei pros­si­mi mesi dei Pae­si Euro­pei per­ché stan­no bascu­lan­do ver­so l’estremismo ?

E’ quin­di for­se com­pren­si­bi­le che se da una par­te è deci­sa­men­te più faci­le esse­re d’ac­cor­do sul­l’u­ni­ver­sa­li­tà del mes­sag­gio di Pace, inte­so come assen­za di con­flit­ti o come meto­do non-vio­len­to di riso­lu­zio­ne dei con­flit­ti, è più dif­fi­ci­le giun­ge­re ad un’in­ter­pre­ta­zio­ne uni­vo­ca del con­cet­to di dirit­ti uma­ni e spe­cial­men­te di una rispo­sta uni­vo­ca, a livel­lo mon­dia­le, sul pro­ble­ma del­la pro­mo­zio­ne dei dirit­ti umani.

Per que­sto cre­do che la Pace deb­ba sal­da­men­te resta­re al cen­tro del­l’a­gen­da este­ra dei pae­si occi­den­ta­li, ma con una visio­ne più corag­gio­sa, for­te­men­te orien­ta­ta alla pre­ven­zio­ne e riso­lu­zio­ne dei con­flit­ti e alla ridu­zio­ne del­la vio­len­za glo­ba­le. Bloc­co del­le ven­di­te mili­ta­ri, pro­mo­zio­ne di mec­ca­ni­smi alter­na­ti­vi di diplo­ma­zia, cen­tra­li­tà del dia­lo­go. Sono tut­te azio­ni oppo­ste ad esem­pio a quan­to fat­to in Siria e che potreb­be­ro garan­ti­re risul­ta­ti miglio­ri. Pen­sia­mo alla Tuni­sia, dove sen­za alcun inter­ven­to ester­no un bel­lis­si­mo ed inco­rag­gian­te ten­ta­ti­vo di tran­si­zio­ne è in cor­so, un’i­ni­zia­ti­va total­men­te autoc­to­na e pre­mia­ta con il Nobel per la pace. Pen­sia­mo all’ac­cor­do con l’I­ran, dove pace e sta­bi­li­tà sono sta­ti i pila­stri per la costru­zio­ne di un accor­do che potreb­be por­ta­re nel medio ter­mi­ne ad un miglio­ra­men­to anche dei dirit­ti uma­ni (da sem­pre una rica­du­ta posi­ti­va in casi di apertura);

Per que­sto, anche se non sono d’ac­cor­do sul fat­to di met­te­re i dirit­ti uma­ni al cen­tro del­l’a­gen­da, sono for­te­men­te con­vin­to che è neces­sa­rio un inve­sti­men­to mas­sic­cio sul­la cul­tu­ra e sul­l’e­du­ca­zio­ne per poi suc­ces­si­va­men­te ave­re rica­du­te dure­vo­li. La vera guer­ra è tut­ta lì: crea­re le basi per affer­ma­re pace, non-vio­len­za, dia­lo­go. Assi­cu­ra­re edu­ca­zio­ne uni­ver­sa­le, svi­lup­pa­re lega­mi cul­tu­ra­li, pro­muo­ve­re sto­ria, let­te­ra­tu­ra, arte, scam­bi tra uni­ver­si­ta­ri. Solo risco­pren­do la pace come bene comu­ne e con il dia­lo­go come meto­do di pre­ven­zio­ne dei con­flit­ti potrem­mo poi inve­sti­re risor­se ed idee su come rag­giun­ge­re un model­lo uni­ver­sa­le accet­ta­bi­le di dirit­ti umani.

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