Rifiuti zero, ma anche molto di più, #primadeldiluvio

Ambiente, ecologia e innovazione devono stare all'inizio di qualsiasi riflessione, e devono essere protagonisti di ciascun ragionamento, perché è anche e soprattutto da qui che passa necessariamente la valutazione di ciascuna politica pubblica, nel segno di un'uguaglianza sostanziale che deve costruirsi anche così.

Pri­ma che arri­vi il #Dilu­vio, quel­lo vero

L’am­bien­te sem­pre per ulti­mo, per­ché biso­gna citar­lo, è un gesto di gen­ti­lez­za e cor­ret­tez­za “isti­tu­zio­na­le”, ver­so il pia­ne­ta che ci ospi­ta. Non sia­mo di que­sta idea: ambien­te, eco­lo­gia e inno­va­zio­ne devo­no sta­re all’i­ni­zio di qual­sia­si rifles­sio­ne, e devo­no esse­re pro­ta­go­ni­sti di cia­scun ragio­na­men­to, per­ché è anche e soprat­tut­to da qui che pas­sa neces­sa­ria­men­te la valu­ta­zio­ne di cia­scu­na poli­ti­ca pub­bli­ca, nel segno di un’u­gua­glian­za sostan­zia­le che deve costruir­si anche così. Con un’at­ten­zio­ne mag­gio­re al nostro ter­ri­to­rio che fra­na, alla qua­li­tà del­l’a­ria che respi­ria­mo, ai nostri fiu­mi e ai nostri mari sem­pre più bistrat­ta­ti, alla salu­bri­tà del cibo che met­tia­mo nei piat­ti ogni gior­no, al prez­zo che si paga in altre par­ti del mon­do per i nostri con­su­mi. E’ una que­stio­ne di sicu­rez­za, di salu­te, ma anche di svi­lup­po eco­no­mi­co, di rilan­cio del­le eccel­len­ze del Pae­se e di “demo­cra­zia ener­ge­ti­ca”. E’ una stra­te­gia per usci­re dal­la dit­ta­tu­ra del­le fos­si­li (e quin­di dal­la nostra dipen­den­za) e per tene­re assie­me pro­du­zio­ne e con­su­mi, la scel­ta più intel­li­gen­te e più demo­cra­ti­ca, appun­to, in un mon­do di risor­se spre­ca­te. Per que­sti moti­vi abbia­mo deci­so di costrui­re insie­me a Gree­nI­ta­lia una serie di ini­zia­ti­ve, che oggi si arric­chi­sco­no con uno spa­zio dedi­ca­to all’o­spi­ta­re una car­rel­la­ta di con­tri­bu­ti, di auto­re­vo­li esper­te ed esper­ti, che ci aiu­te­ran­no a deli­nea­re e costrui­re una stra­te­gia con­tro il #Dilu­vio, quel­lo vero, pri­ma che tra­vol­ga tut­ti noi e, ancor di più, le pros­si­me gene­ra­zio­ni. Comin­cia­mo con Rober­to Del­la Seta. Buo­na lettura.

 

L’economia cir­co­la­re non è sol­tan­to l’idea e l’applicazione di un para­dig­ma pro­dut­ti­vo e tec­no­lo­gi­co “rivo­lu­zio­na­rio” orien­ta­to a mini­miz­za­re la pro­du­zio­ne di rifiu­ti attra­ver­so la rac­col­ta dif­fe­ren­zia­ta, il riu­so, il rici­clo. Eco­no­mia cir­co­la­re è fare in modo che nul­la del­la mate­ria e dell’energia che entra nei pro­ces­si di pro­du­zio­ne e di con­su­mo, ne esca sot­to for­ma di resi­dui, sca­ri­chi, emis­sio­ni: che tut­to riman­ga, per l’appunto, “in circolo”.

Oggi que­sta pro­spet­ti­va è una via obbli­ga­ta se si voglio­no fron­teg­gia­re i gran­di rischi ambien­ta­li pla­ne­ta­ri a comin­cia­re dal più insi­dio­so di tut­ti: i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci, la pos­si­bi­li­tà sem­pre più con­cre­ta che l’aumento del­la tem­pe­ra­tu­ra ter­re­stre cau­sa­to dall’uso di com­bu­sti­bi­li fos­si­li supe­ri il gra­do e mez­zo rispet­to ai livel­li pre-indu­stria­li (oggi sia­mo a +1) inne­scan­do effet­ti disa­stro­si sul pia­no socia­le, eco­no­mi­co, geo­po­li­ti­co. Que­sto peri­co­lo non riguar­da solo le gene­ra­zio­ni futu­re, come tal­vol­ta si dice: riguar­da noi con­tem­po­ra­nei. Basti pen­sa­re alla mol­ti­pli­ca­zio­ne di even­ti meteo­ro­lo­gi­ci estre­mi anche a lati­tu­di­ni tem­pe­ra­te come le nostre, o ai pro­ces­si di deser­ti­fi­ca­zio­ne in mol­ti Pae­si afri­ca­ni che ali­men­ta­no flus­si sem­pre più inten­si di “migra­zio­ni ambien­ta­li”.

Que­sta è la pri­ma ragio­ne per cui un gran­de Pae­se indu­stria­liz­za­to e mani­fat­tu­rie­ro qual è l’Italia dovreb­be, come fino a oggi non ha fat­to, por­re l’economia cir­co­la­re al cen­tro del­le pro­prie poli­ti­che di svi­lup­po. Smet­ten­do­la, per esem­pio, di pro­muo­ve­re scel­te che van­no in dire­zio­ne oppo­sta, e in dire­zio­ne del pas­sa­to, qua­li il soste­gno alle tri­vel­la­zio­ni petro­li­fe­re, i con­ti­nui osta­co­li frap­po­sti alla cre­sci­ta del­le ener­gie puli­te, la spin­ta a pri­vi­le­gia­re l’incenerimento dei rifiu­ti rispet­to al recu­pe­ro di mate­ria e al riciclo.

Que­sta è la pri­ma ragio­ne, ma ce n’è una secon­da altret­tan­to impor­tan­te. L’economia cir­co­la­re e in gene­ra­le la “green eco­no­my” sono la garan­zia più sicu­ra, per l’Italia, di con­ser­va­re un ruo­lo da pro­ta­go­ni­sta nell’economia glo­ba­le. Per­ché l’economia cir­co­la­re richie­de eccel­len­za tec­no­lo­gi­ca, lavo­ro di qua­li­tà, coe­sio­ne socia­le, for­te inve­sti­men­to in edu­ca­zio­ne e in ricer­ca e svi­lup­po: e que­sti sono i “talen­ti”, le spe­cia­li­tà più impor­tan­ti su cui un Pae­se come il nostro deve scom­met­te­re per difen­de­re e allar­ga­re la for­za del “made in Ita­ly” nel mon­do, per accre­sce­re il pro­prio benes­se­re socia­le inter­no, per com­pe­te­re in un mon­do sem­pre più globalizzato.

Infi­ne, l’economia cir­co­la­re è tra i segni più pro­fon­di di un gran­de cam­bia­men­to cul­tu­ra­le in atto, che sta tra­sfor­man­do sti­li di vita e di con­su­mo. I cit­ta­di­ni, nel­le loro diver­se vesti socia­li – con­su­ma­to­ri, pro­dut­to­ri, uten­ti di ser­vi­zi pub­bli­ci, comu­ni­tà, fami­glie, indi­vi­dui… -, attri­bui­sco­no sem­pre meno impor­tan­za al valo­re di scam­bio di beni e ser­vi­zi e sem­pre più impor­tan­za al loro valo­re d’uso. Dan­no cioè impor­tan­za allo “spo­star­si” facil­men­te e como­da­men­te più che al “pos­se­de­re un’automobile”, alla qua­li­tà e alla sicu­rez­za del cibo più che alla quan­ti­tà, ai “beni comu­ni” oltre che a quel­li “pri­va­ti”. Da qui sono nate espe­rien­ze inno­va­ti­ve e di ampio suc­ces­so, come il “car-sha­ring”, e movi­men­ti di lar­ghis­si­mo impat­to socia­le, come le mobi­li­ta­zio­ni per l’acqua “bene comu­ne”. E da qui può veni­re la spin­ta deci­si­va per fare dell’economia cir­co­la­re l’anima di un pro­get­to di futu­ro fon­da­to sul­la soste­ni­bi­li­tà ambien­ta­le e socia­le, indi­spen­sa­bi­le per ren­de­re l’Italia un Pae­se più sicu­ro, più for­te, più giusto.

Rober­to Del­la Seta

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