Ricercatori precari: eterni giovani in un Paese che nega il futuro

Se ho 40 anni e due figli e sono ricercatrice precaria da oltre dieci anni, ehm, sono giovane? Ma se si considera solo la mia produzione scientifica da ricercatrice senza alcun legame con la mia vita privata, con quali criteri vengo definita giovane?

Oggi voglia­mo rac­con­tar­vi una sto­ria. E sce­glia­mo noi i pro­ta­go­ni­sti, colo­ro che avran­no dirit­to di paro­la per l’in­te­ra nar­ra­zio­ne, e sce­glia­mo i ricer­ca­to­ri pre­ca­ri del­la vostra Uni­ver­si­tà. Vi chie­dia­mo uno sfor­zo di empa­tia e vede­re lo svi­lup­par­si di que­sta tra­ma attra­ver­so i loro occhi, i loro pen­sie­ri e le loro esperienze.

Bene, pre­sen­ta­ti i per­so­nag­gi prin­ci­pa­li vedia­mo come evol­ve que­sta storia.

Imma­gi­na­te di entra­re, anche solo per una mez­z’o­ra e anche se solo da inter­lo­cu­to­ri tem­po­ra­nei, all’in­ter­no di una ses­sio­ne del CdA di una gran­de Uni­ver­si­tà. Assi­ste­re, anche solo in par­te, al fun­zio­na­men­to di uno degli ingra­nag­gi prin­ci­pa­li del­la gran­de mac­chi­na Uni­ver­si­tà. Ma bada­te bene, non imma­gi­na­te di entra­re in que­sta gran­de stan­za in pom­pa magna, ma come umi­li e dili­gen­ti “lavo­ra­to­ri” del­la ricer­ca (pre­ca­ria) che affol­la­no i dipar­ti­men­ti e i labo­ra­to­ri uni­ver­si­ta­ri. Sie­te voi, con la vostra magliet­ta ros­sa dove com­pa­re la scrit­ta “Ricer­ca pre­ca­ria”, insie­me a vostri col­le­ghi asse­gni­sti, dot­to­ran­di e studenti.

Imma­gi­na­te quin­di di ten­ta­re di rag­grup­pa­re tut­to que­sto varie­ga­to mon­do di ani­me, aven­ti esi­gen­ze diver­se, ma tut­te desti­na­te ad un futu­ro comu­ne di pre­ca­ria­to e imma­gi­na­te di esse­re riu­sci­ti a mobi­li­ta­re que­sta ete­ro­ge­nei­tà (con enor­mi dif­fi­col­tà). Que­sta vostra Uni­ver­si­tà per for­tu­na con­ti­nua ad ave­re sem­pre più stu­den­ti che ogni anno si imma­tri­co­la­no, per­ché que­sta vostra Uni­ver­si­tà pro­du­ce didat­ti­ca e ricer­ca di qualità.

Ma die­tro que­sti due ter­mi­ni, for­se trop­po abu­sa­ti, si nascon­do­no figu­re uni­ver­si­ta­rie di qua­li­tà. Per­so­ne di alta qua­li­tà scien­ti­fi­ca (ovvia­men­te inten­den­do la scien­za insen­so ampio) pro­du­co­no didat­ti­ca e ricer­ca di alta qua­li­tà. E que­sto vale nel pae­se del Ben­go­di che è L’E­ste­ro, que­sta ter­ra magni­fi­ca dove tut­to fun­zio­na, ma fun­zio­na anche qui in Italia.

Tor­nia­mo nel­la nostra Uni­ver­si­tà dove i docen­ti con­ti­nua­no a cala­re, men­tre i pre­ca­ri, i pro­ta­go­ni­sti del­la nostra sto­ria, vici­ni alla sca­den­za e maga­ri sen­za futu­re borse/assegni annua­li con i qua­li con­ti­nua­re il loro lavo­ro lascia­no l’U­ni­ver­si­tà o deci­do­no di pren­de­re un bigliet­to per Bengodi.

Dia­mi­ne, non pos­sia­mo resta­re sen­za docen­ti e sen­za ricer­ca­to­ri, e non pos­sia­mo con­ti­nua­re a for­ma­re stu­den­ti di alta qua­li­tà che diven­te­ran­no a loro vol­ta i pro­ta­go­ni­sti di que­sta tri­ste sto­ria, e con­ti­nua­re così come un per­fi­do e mal­va­gio gior­no del­la Marmotta.

Ma cal­ma, non affret­tia­mo i tem­pi nar­ra­ti­vi. Imma­gi­na­te di esse­re riu­sci­ti a ren­de­re visi­bi­le que­sta situa­zio­ne di emer­gen­za e di esse­re riu­sci­ti, sul­la base di ana­li­si fat­te con i vostri col­le­ghi, a pro­por­re un pia­no di reclu­ta­men­to che sul lun­go perio­do potreb­be rimet­te­re in sesto que­sto siste­ma malan­da­to. E ora, nel gior­no in cui ver­rà deci­sa la sor­te del pros­si­mo e vici­no futu­ro del­la vostra Uni­ver­si­tà, cioè se sarà pos­si­bi­le con­ti­nua­re a garan­ti­re una buo­na didat­ti­ca e una buon livel­lo di ricer­ca, ecco che tut­to cam­bia. Non veni­te con­si­de­ra­ti, né tan­to­me­no le ragio­ni e i moti­vi per que­sta non­cu­ran­za sem­bra­no esse­re soli­di. E voi sie­te lì in pie­di nel salo­ne, pre­pa­ra­ti con nume­ri e gra­fi­ci (come il vostro lavo­ro da ricer­ca­to­re inse­gna) a soste­ne­re la vostra tesi, i mem­bri del CdA sedu­ti attor­no al tavo­lo­ne ret­tan­go­la­re, qual­cu­no si alza per pre­pa­rar­si un caffè

E tor­na­te bam­bi­ni quan­do i vostri geni­to­ri vi pren­de­va­no in brac­cio e guar­dan­do­vi negli occhi vi dicevano:
“Ecco ti spie­go io come fun­zio­na que­sto gio­co”, maga­ri con una bel­la pac­chet­ta sul­la spalla.
Ma voi non sie­te bam­bi­ni, voi sape­te per­fet­ta­men­te come fun­zio­na que­sto gio­co, anzi lo cono­sce­te fin nei suoi ingra­nag­gi più nasco­sti. Que­gli ingra­nag­gi che stu­dia­no fino a tar­da ora nel­le aule stu­dio per­ché han­no un esa­me impor­tan­te, quei pic­co­li ingra­nag­gi che una vol­ta lau­rea­ti non demor­do­no e deci­do­no di fare il Dot­to­ra­to (for­se par­le­re­mo anche di lui nel­le pros­si­me sto­rie) fino ad arri­va­re a noi, ingra­nag­gi a sca­den­za che mec­ca­ni­ca­men­te ci muo­via­mo tra aule, uffi­ci e labo­ra­to­ri. L’e­spe­rien­za diret­ta è la nostra fon­te di cono­scen­za, l’e­spe­rien­za del­l’U­ni­ver­si­tà ades­so. Que­sto atteg­gia­men­to pater­na­li­sta si insi­nua come una lama nei vostri pet­ti, che sie­te anco­ra lì in pie­di, fuo­ri ormai è buio.

E voi con­ti­nua­te nono­stan­te tut­to e riba­di­te i con­cet­ti e le richie­ste che ave­te por­ta­to avan­ti coe­ren­te­men­te dall’inizio.

Ed ecco il col­po di sce­na, il twi­st nel­la tra­ma, il deus ex machi­na. Qual­cu­no dei mem­bri dice: “Io capi­sco che voi gio­va­ni sia­te impa­zien­ti ma.…”. Le paro­le suc­ces­si­ve si per­do­no nel­l’a­ria, per­ché sola­men­te il ter­mi­ne “gio­va­ne” vi rima­ne in testa. Le vostre velo­cis­si­me sinap­si crea­no un flus­so di ricor­di e nozio­ni lega­te a que­sto ter­mi­ne. Gio­va­ne, signi­fi­can­te e signi­fi­ca­to: la per­ce­zio­ne del­l’es­se­re gio­va­ne, in età ana­gra­fi­ca e la con­di­zio­ne di esse­re gio­va­ne, aldi­là del­l’e­tà. E capi­te come que­sto ter­mi­ne qui sia un tre­men­do insul­to, a voi, al vostro lavo­ro e alla paro­la stes­sa. Chi è que­sto fan­to­ma­ti­co gio­va­ne impa­zien­te? For­se, nel­l’im­ma­gi­na­rio comu­ne di chi par­la, dovreb­be esse­re colui/colei che vive sen­za gran­di respon­sa­bi­li­tà (figli, mutuo per esem­pio) e incli­ne alla filo­so­fia “vivo gior­no per gior­no, tan­to sono gio­va­ne”. E ritor­na il pater­na­li­smo, il non esse­re rico­no­sciu­ti adul­ti e con­sa­pe­vo­li di come affron­ta­re il mon­do (in que­sto caso acca­de­mi­co), ma con­si­de­ra­ti gio­va­ni e ine­sper­ti e anco­ra in pre­da ad una sor­ta di inna­ta vita­li­tà e impa­zien­za, tipi­ca del­l’e­tà adolescenziale.

Allo­ra ognu­no dei nostri pro­ta­go­ni­sti pen­sa: “Quan­do il ter­mi­ne gio­va­ne è diven­ta­to tut­to ciò? Quan­do è diven­ta­to un velo, scu­ro e pesan­te, sot­to il qua­le nascon­de­re una pre­sun­ta supe­rio­ri­tà e un deli­be­ra­to ten­ta­ti­vo di non acco­glie­re istan­ze diver­se dal­le pro­prie? E quan­do è diven­ta­to un bie­co pre­te­sto per chia­ma­re in bal­lo lo scon­tro gene­ra­zio­na­le? Se ho 40 anni e due figli e sono ricer­ca­tri­ce pre­ca­ria da oltre die­ci anni, ehm, sono gio­va­ne? Ma se si con­si­de­ra solo la mia pro­du­zio­ne scien­ti­fi­ca da ricer­ca­tri­ce sen­za alcun lega­me con la mia vita pri­va­ta, con qua­li cri­te­ri ven­go defi­ni­ta giovane?”.

La sedu­ta si chiu­de, il futu­ro dei nostri pro­ta­go­ni­sti rima­ne offu­sca­to e il loro mora­le è deci­sa­men­te basso.

Ma non dispe­ra­te let­to­ri, que­sto non è che il pri­mo capi­to­lo di una nar­ra­zio­ne mol­to lun­ga che con­ti­nue­rà in futuro.

Per­ché for­se sia­mo sta­ti tut­ti gio­va­ni un tem­po, ma ora l’e­tà del­la gio­vi­nez­za sem­bra esse­re fini­ta e voglia­mo esse­re guar­da­ti come adulti.

Valen­ti­na Sar­ti Mantovani

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