Per due gradi in più: un reportage dalla Val Codera

In questi ultimi dieci anni, forse anche meno, la temperatura media sulle nostre Alpi è aumentata di due gradi centigradi; un piccolo aumento, quasi impercettibile per il corpo umano. Sembra incredibile che quei due piccoli gradi possano essere (cor)responsabili dei fenomeni meteorologigici e del dissesto idrogeologico che verifichiamo un po' dappertutto ma soprattutto nelle valli e in montagna.

In que­sti ulti­mi die­ci anni, for­se anche meno, la tem­pe­ra­tu­ra media sul­le nostre Alpi è aumen­ta­ta di due gra­di cen­ti­gra­di; un pic­co­lo aumen­to, qua­si imper­cet­ti­bi­le per il cor­po uma­no. Sem­bra incre­di­bi­le che quei due pic­co­li gra­di pos­sa­no esse­re (cor)responsabili dei feno­me­ni meteo­ro­lo­gi­gi­ci e del dis­se­sto idro­geo­lo­gi­co che veri­fi­chia­mo un po’ dap­per­tut­to ma soprat­tut­to nel­le val­li e in montagna.

Non ricor­do chi dice­va che una far­fal­la che bat­te le ali in Amaz­zo­nia può esse­re cau­sa di una  trom­ba d’a­ria nel mare Adria­ti­co… mi è sem­pre sem­bra­to un paro­dos­so, anche se soste­nu­to da pas­sag­gi logi­ca­men­te e scien­ti­fi­ca­men­te cor­ret­ti. Eppu­re scien­zia­ti seri e auto­re­vo­li ci han­no con­vin­ti che l’in­qui­na­men­to, l’ef­fet­to ser­ra, l’ec­ces­so di CO2 sul­l’A­maz­zo­nia, sugli USA, in Cina e in India, sono (cor)responsabili di trom­be d’a­ria e pic­co­li tifo­ni improv­vi­si (li abbia­mo chia­ma­ti in modo pit­to­re­sco “bom­be d’ac­qua” per l’ef­fet­to deva­stan­te) che avven­go­no qui da noi, per due gra­di di aumen­to di tem­pe­ra­tu­ra, in meno di una deci­na d’an­ni! E non è sta­to il sole che si è sur­ri­scal­da­to, ma noi uma­ni con le nostre atti­vi­tà dis­sen­na­te, noi “sapiens sapiens”!

Il “pedag­gio” più costo­so di que­sti feno­me­ni è paga­to dai ter­ri­to­ri più vul­ne­ra­bi­li; e noi “sapiens sapiens”, abbia­mo reso vul­ne­ra­bi­le buo­na par­te del ter­ri­to­rio che abi­tia­mo, in par­ti­co­la­re le aree mon­tuo­se, dove non è faci­le modi­fi­ca­re lo sta­to natu­ra­le dei suo­li. Per esem­pio in Val Codera.

Que­sta val­le, late­ra­le del­la val Chia­ven­na nel comu­ne di Nova­te Mez­zo­la, è nota per esse­re sta­bil­men­te abi­ta­ta pur non esi­sten­do una stra­da car­roz­za­bi­le che con­sen­ta di rag­giun­ge­re i prin­ci­pa­li vil­lag­gi, inse­dia­ti qui, pare, fin da epo­ca pre­ro­ma­na; pri­ma che ci fos­se una tele­fe­ri­ca (anni’70) e un ser­vi­zio di eli­cot­te­ri, sia gli abi­tan­ti per­ma­nen­ti che gli “sta­gio­na­li” dove­va­no acce­de­re ai sei bor­ghi da un solo sen­tie­ro il cui pri­mo trat­to è reso pesan­te da cir­ca 4000 gradini.(I turi­sti inve­ce con­si­de­ra­no la sali­ta una sor­ta di sfi­da fisica…).

Val­le sel­vag­gia, qua­si intat­ta natu­ra­li­sti­ca­men­te, ric­chis­si­ma di acqua; fino a 15 anni fa alla base del­le cime più alte c’e­ra­no anco­ra dei nevai e pic­co­li ghiac­ciai; oggi, tran­ne che in qual­che sol­co ripa­ra­to a nord, anche i nevai sono spa­ri­ti; piog­gia e neve scor­ro­no in super­fi­cie, pene­tra­no, spez­za­no e smi­nuz­za­no il gra­ni­to e pro­vo­ca­no fra­ne di ogni dimensione.

Già nel 1978 una gigan­te­sca eson­da­zio­ne del tor­ren­te prin­ci­pa­le, il Code­ra appun­to, ha let­te­ral­men­te cam­bia­to il pae­sag­gio non lon­ta­no dal rifu­gio Bra­sca del CAI, col­lo­ca­to in uno dei più bel­li anfi­tea­tri del­le Alpi; ci vol­le l’in­ter­ven­to di mez­zi del­l’e­ser­ci­to per ripri­sti­na­re l’al­veo del fiu­me, diven­ta­to una este­sa pie­tra­ia;  negli anni suc­ces­si­vi però, gra­zie al divie­to di pre­le­va­re anche un gra­nel­lo di sab­bia, l’al­veo del tor­ren­te ha con­ti­nua­to ad ele­var­si per i mate­ria­li por­ta­ti dal­la cor­ren­te, pro­vo­can­do altre inon­da­zio­ni e dan­ni ai boschi e ai pasco­li, anche con piog­ge ordinarie.

Nel 2011 nel­la par­te bas­sa del­la Val­le, dove le nume­ro­se cave di gra­ni­to man mano era­no sta­te abban­do­na­te, una pare­te è fra­na­ta por­tan­do a val­le il sen­tie­ro, for­tu­na­ta­men­te deser­to; ci vol­le­ro sei mesi per ripri­sti­na­te l’ac­ces­so al pae­se abi­ta­to di Code­ra.

In que­sti ulti­mi quattro/cinque anni da quan­do sono ini­zia­te a veri­fi­car­si le “bom­be d’ac­qua” con cre­scen­te vio­len­za e fre­quen­za, la fra­gi­li­tà del­la val­le si è rive­la­ta nel­la sua dram­ma­ti­ci­tà; un’o­ra, non di più, di piog­gia vio­len­tis­si­ma e subi­to le casca­te si gon­fia­no, il get­to d’ac­qua si fa gri­gio, e diven­ta fra­na tan­ti sono i sas­si che la cor­ren­te tra­sci­na; avval­la­men­ti si riem­pio­no per le cola­te di sas­si, dai pen­dii nasco­no casca­tel­le anche vio­len­te, trat­ti di abe­ta­ia spa­ri­sco­no con tron­chi sra­di­ca­ti; nel set­tem­bre 2017 una trom­ba d’a­ria improv­vi­sa ha abbat­tu­to più di 300 abe­ti e lari­ci, nul­la rispet­to al disa­stro del­la val di Fiem­me, nes­sun dan­no alle per­so­ne ma il sen­tie­ro prin­ci­pa­le fu inva­so e impra­ti­ca­bi­le per qua­si due anni e ci fu legna da arde­re “gra­tis” per tutti.

Il famo­so sen­tie­ro Trac­cio­li­no che accom­pa­gna la con­dot­ta d’ac­qua che da Code­ra ali­men­ta la cen­tra­le idroe­let­tri­ca di Cam­po Mez­zo­la, è sta­to inter­rot­to più vol­te e anche ora è impra­ti­ca­bi­le per tut­ti suoi 10 km per due fra­ne, una del­le qua­li mol­to dif­fi­ci­le da risolvere.

Se fino­ra il tri­bu­to al cam­bia­men­to cli­ma­ti­co del­la Val­le è sta­to solo mate­ria­le ed ambien­ta­le, sen­za vit­ti­me, nel­lo scor­so ago­sto si è rischia­ta la tra­ge­dia; l’ul­ti­ma bom­ba è esplo­sa improv­vi­sa in una gior­na­ta di sole, negli alpeg­gi cam­mi­na­va­no due grup­pi di scout, alcu­ni val­li­gia­ni e due scout in escur­sio­ne ver­so il bivac­co Val­li. Solo l’e­spe­rien­za e il corag­gio di non fer­mar­si al pri­mo ripa­ro dal­la tor­men­ta ha impe­di­to che que­sti due venis­se­ro tra­vol­ti dal­la fra­na por­ta­ta dal­l’ac­qua che si è inca­na­la­ta con vio­len­za inau­di­ta sul sentiero.

Tor­na­to il sole, ormai al sicu­ro, han­no potu­to fil­ma­re il deflus­so anco­ra vio­len­to del­le ton­nel­la­te di sas­si tra­sci­na­ti dall’ acqua e le varia­zio­ni del pae­sag­gio circostante.

Ci dob­bia­mo ras­se­gna­re e abi­tua­re a que­sti avve­ni­men­ti? Mate­rial­men­te sia­mo impo­ten­ti ma dob­bia­mo riflet­te­re sul­le nostre respon­sa­bi­li­tà; anzi sul­la nostra irre­spon­sa­bi­li­tà; sia­mo bra­vis­si­mi a riflet­te­re, ana­liz­za­re, dia­gno­sti­ca­re; e poi?

Intan­to la natu­ra dram­ma­ti­ca­men­te ci pre­sen­ta il con­to.

Arch. Car­lo Valentini

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