Dopo aver dichiarato a più riprese il dovere all’accoglienza facendosi portavoce di un messaggio di pace e ospitalità, lo stesso messaggio sancito nel Vangelo con una dirompenza che metterebbe in imbarazzo il più radicale dei “no border” («Ero straniero e mi avete accolto», recita il testo sacro), anche papa Francesco cede alla più scivolosa delle distinzioni, quale base sulla quale costruire il diritto/dovere all’accoglienza.
«Si deve distinguere — ha dichiarato Bergoglio — tra migrante e rifugiato. Il migrante deve essere trattato con certe regole, migrare è un diritto ma un diritto molto regolato. Invece un rifugiato viene da una situazione di guerra, fame, angoscia terribile». Andando al sodo, è la sempre più diffusa distinzione tra rifugiati e migranti economici, che pur avendo una propria ragione, si rivela ogni giorno di più inadeguata al contesto internazionale nel quale viviamo.
Si rivela inadeguata anche nelle parole del papa, purtroppo, nelle quali risiede una contraddizione piuttosto evidente: anche il diritto all’asilo è un diritto regolamentato, in particolare dalla Convenzione di Ginevra, che definisce “rifugiato” colui che è «perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche». Chi scappa dalla fame o da una non ben definita “terribile angoscia” non ricade in queste definizione, ricadendo automaticamente nella categoria onnicomprensiva (e non giuridica) di “migrante economico”.
Ecco perché la distinzione è assolutamente scivolosa. Ed ecco perché il concetto di “rifugiato” merita una ridefinizione più ampia, che tenga conto delle ragioni che stanno alla base della scelta migratoria e che la qualificano come “forzata”. Scappo perché non ho alternative, perché sono perseguitato, oppure perché l’innalzamento dei mari sta erodendo la terra in cui vivo, o perché una forte siccità sta compromettendo la possibilità di coltivarla, questa terra. Non è una libera scelta, ma una scelta dettata dalla necessità di sopravvivenza operata da persone in estrema difficoltà che abbiamo il dovere morale (e speriamo anche giuridico, prima o poi) di accogliere.
Purtroppo dichiarazioni approssimative non aiutano di certo a perseguire l’obiettivo di un ampliamento del diritto d’asilo, anzi. Non è un caso che a poche pagine di distanza Aldo Cazzullo, a commento dell’intervista a papa Bergoglio, parli di «un flusso imponente». A Cazzullo ricordiamo che l’anno scorso hanno fatto domanda d’asilo in Europa 1,3 milioni di cittadini stranieri, pari allo 0.2% della popolazione europea. Sempre Cazzullo, parlando di rifugiati e migranti, all’improvviso e fuori contesto ricorda «il terremoto infinito e diffuso del Centro Italia», che assorbe «risorse ed energie della Protezione Civile». In queste circostanze sarebbe «quasi miracolosa» l’opera di accoglienza compiuta dall’Italia. C’è davvero davvero bisogno di mettere in contrapposizione rifugiati e terremotati? Possibile che la contrapposizione sia sempre tra ultimi e penultimi e tra penultimi e ultimi (a seconda dei punti di vista), e che nessuno mai parli — per fare un esempio — del paese fondato sulle rendite che è l’Italia? Cazzullo conclude dicendo che «sui media tende a prevalere una versione irenica e spensierata dell’immigrazione». Che giornali legge Cazzullo? Così, per sapere.
L’accoglienza non è solo una questione morale e che riguarda ciascuno di noi. L’accoglienza è anche (e soprattutto) una questione di diritti, sanciti dalla normativa internazionale e nazionale. Pensate che la nostra Costituzione, all’articolo 10 (appena prima di ripudiare la guerra), recita che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica». Leggete bene: la discriminante sono le libertà garantite dalla nostra Costituzione, non da quella del Paese di cui la persona è cittadino. Pensate alla portata enorme di questo diritto, quasi più dirompente del Vangelo stesso.