Lavoratori Italpizza, a processo nell’indifferenza

Il numero così elevato di imputati farà di questo procedimento penale il più grande processo a lavoratori della storia di Modena e provincia. E non si può rimanere indifferenti dinanzi a questo. Non si può indietreggiare o circondarsi di ridondanza e di aggettivi. Se davvero è rimasta una coscienza di sinistra in questo paese, allora dovrebbe essere là, al fianco di queste persone, messe alla sbarra per essersi ribellate allo sfruttamento.

Per nar­ra­re la vicen­da del­le lavo­ra­tri­ci e dei lavo­ra­to­ri del­la Ital­piz­za, azien­da ali­men­ta­re nei pres­si di Mode­na, occor­re tor­na­re al dicem­bre 2018.

L’I­spet­to­ra­to del Lavo­ro ave­va rile­va­to vio­la­zio­ni e irre­go­la­ri­tà con­tri­bu­ti­ve da par­te del­le coo­pe­ra­ti­ve “Evo­lo­gi­ca Soc. Coop.” e “Logi­ca Men­te Soc. Coop.” ope­ran­ti nel­lo sta­bi­li­men­to del­la socie­tà lea­der nel­la pro­du­zio­ne di piz­ze sur­ge­la­te. Tut­to il com­par­to pro­dut­ti­vo del­le piz­ze sur­ge­la­te era in appal­to a sei­cen­to lavo­ra­to­ri di que­ste due coo­pe­ra­ti­ve.

Era un model­lo, l’Italpizza. O alme­no così veni­va ser­vi­ta ai dibat­ti­ti sul dirit­to del lavo­ro. Il model­lo con­si­ste­va nel pren­de­re una gran­de azien­da, svuo­tar­la let­te­ral­men­te dei pro­pri addet­ti alla pro­du­zio­ne e tene­re solo la par­te ammi­ni­stra­ti­va, sen­za delo­ca­liz­za­zio­ni vere e pro­prie. Si dice­va che non era­no coo­pe­ra­ti­ve cat­ti­ve, quel­le. Ma è basta­to sca­va­re un po’ e le irre­go­la­ri­tà sono venu­te a galla.

I sin­da­ca­ti, in par­ti­co­la­re FLAI/CGIL, era­no sta­ti poco alla vol­ta mes­si fuo­ri dal­la por­ta. Le coo­pe­ra­ti­ve, disap­pli­can­do i con­trat­ti col­let­ti­vi, con­ti­nua­va­no a fare varia­zio­ni sull’orario di lavo­ro, arri­van­do a sta­bi­li­re tur­na­zio­ni di cin­que gior­ni lavo­ra­ti­vi e un solo gior­no di ripo­so. Veni­va denun­cia­ta la “fles­si­bi­li­tà estre­ma” a cui i lavo­ra­to­ri era­no sot­to­po­sti. Una pras­si in gra­do di gene­ra­re sui lavo­ra­to­ri mede­si­mi una pres­sio­ne altis­si­ma che infat­ti è esplo­sa mol­to in fretta.

Sono comin­cia­te le pro­te­ste e gli scio­pe­ri. Die­ci lun­ghi mesi di pic­chet­ti e mani­fe­sta­zio­ni. Le don­ne e gli uomi­ni sta­va­no là, al can­cel­lo di ingres­so e di usci­ta dei mez­zi, sor­ve­glia­ti dai blin­da­ti del­la poli­zia. Ten­ta­va­no il bloc­co stra­da­le, per infa­sti­di­re alme­no un po’ il busin­ness che matu­ra ogni anno fat­tu­ra­ti supe­rio­ri a 120 milio­ni di euro. Dovrà pur con­ta­re qual­co­sa la loro vita, la loro esi­sten­za? O si trat­ta solo di pedi­ne da spo­sta­re da un tur­no all’altro, sen­za alcu­na rego­la­ri­tà o rispetto?

Que­sta è anche una sto­ria di lavo­ro fem­mi­ni­le e di resi­sten­za all’abuso. Per­ché le lavo­ra­tri­ci di Ital­piz­za sono soprat­tut­to stra­nie­re. Sono madri o ragaz­ze, non han­no alcu­na pro­spet­ti­va, in que­sto siste­ma. Sono schiac­cia­te dal peso dei tur­ni. Sono sem­pli­ci nume­ri da spo­sta­re da un pun­to all’altro del siste­ma di pro­du­zio­ne, dal­la cuci­na alla far­ci­tu­ra, alla lavo­ra­zio­ne del for­mag­gio. E a loro – come a tut­ti gli altri sei­cen­to – era appli­ca­to il con­trat­to mul­ti­ser­vi­zi e non quel­lo del com­par­to ali­men­ta­re. Si chia­ma down­gra­ding con­trat­tua­le ed è una pra­ti­ca fra le più meschi­ne mes­se in atto nel mer­ca­to del lavo­ro nostra­no. Altro che model­lo. Signi­fi­ca esse­re paga­ti meno, ave­re meno dirit­ti, minor tute­la dal­la malat­tia, meno gior­ni di ferie, meno tut­to.

Lo scor­so anno, a luglio, lo scio­pe­ro indet­to da CGIL, CISL e UIL ave­va per­mes­so di apri­re un tavo­lo di trat­ta­ti­va e di sta­bi­li­re un accor­do per la rias­sun­zio­ne di tut­ti i 600 dipen­den­ti in appal­to da par­te di Ital­piz­za, però solo a par­ti­re dal 2022. Que­sto ter­mi­ne di tem­po così lar­go ave­va desta­to mol­te per­ples­si­tà e critiche.

Tut­ta­via sono rima­sti i guai giu­di­zia­ri. La pro­te­sta dei lavo­ra­to­ri era sta­ta mol­to dura. Fra mag­gio e giu­gno 2019 si era­no veri­fi­ca­ti scon­tri con la poli­zia, con poli­ziot­ti feri­ti, man­ga­nel­la­te e arre­sti. In tut­to le per­so­ne sot­to­po­ste a inda­gi­ne era­no 67: qual­che gior­no fa sono sta­te tut­te rin­via­te a giu­di­zio per mani­fe­sta­zio­ne non auto­riz­za­ta, resi­sten­za, lesio­ni, inva­sio­ni di edi­fi­cio, minac­ce, vio­len­za pri­va­ta.

Il nume­ro così ele­va­to di impu­ta­ti farà di que­sto pro­ce­di­men­to pena­le il più gran­de pro­ces­so a lavo­ra­to­ri del­la sto­ria di Mode­na e pro­vin­cia. E non si può rima­ne­re indif­fe­ren­ti dinan­zi a que­sto. Non si può indie­treg­gia­re o cir­con­dar­si di ridon­dan­za e di agget­ti­vi. Se dav­ve­ro è rima­sta una coscien­za di sini­stra in que­sto pae­se, allo­ra dovreb­be esse­re là, al fian­co di que­ste per­so­ne, mes­se alla sbar­ra per esser­si ribel­la­te allo sfruttamento.

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