Insegnare e imparare: una “strana pazienza”

Pubblichiamo la lettera di un ragazzo, Nicola. Ci scrive della sua idea di scuola e di società, delle sue aspirazioni. Una lettera bella e preziosa

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Pub­bli­chia­mo la let­te­ra di un ragaz­zo, Nico­la. Ci scri­ve del­la sua idea di scuo­la e di socie­tà, del­le sue aspi­ra­zio­ni. Una let­te­ra bel­la e pre­zio­sa, che ci per­met­te di con­ti­nua­re a par­la­re di scuo­la, di sogni e di visio­ni per il futu­ro. La pub­bli­chia­mo con una nostra rispo­sta, e cer­che­re­mo di rispon­de­re a chiun­que ci vor­rà rac­con­ta­re del­la sua espe­rien­za, di quel­lo che vede e vor­reb­be per la scuo­la, per sé, per i gio­va­ni, per i pro­pri figli. Ascol­te­re­mo, pro­ve­re­mo a capi­re e a infor­ma­re, a rac­co­glie­re idee.

 

Inse­gna­re e impa­ra­re: una “stra­na pazienza”

Mi chia­mo Nico­la, ho qua­si ven­t’an­ni e ven­go dal­le bel­lis­si­me e lace­ra­tis­si­me Mar­che. Sono appe­na usci­to dal­la scuo­la per stu­dia­re let­te­re clas­si­che, ma non vedo l’o­ra di ritor­nar­ci da inse­gnan­te, nono­stan­te non sia faci­le sen­tir­si ripe­te­re come una fila­stroc­ca assil­lan­te che sarà impossibile. 

Il mio ulti­mo salu­to al liceo l’ho dato scri­ven­do una tesi­na sul­la moder­nis­si­ma e pur­trop­po qua­si sco­no­sciu­ta peda­go­gia di Paso­li­ni, e l’ul­ti­ma paro­la del mio testo era l’ag­get­ti­vo “pos­si­bi­le”, accom­pa­gna­to al sostan­ti­vo “scuo­la”. Ho scrit­to quel lavo­ro che è par­te di me pen­san­do anche a voi, che indi­ret­ta­men­te mi ave­te aiu­ta­to a spe­ra­re in un sogno edu­ca­ti­vo possibile. 

Il con­for­to che mi ser­ve per affron­ta­re gli esa­mi lo tro­vo rileg­gen­do don Mila­ni, la for­za per con­ti­nua­re a cre­de­re in una scuo­la pos­si­bi­le cer­co di tro­var­la den­tro di me. Gli inse­gnan­ti appas­sio­na­ti cam­bia­no il mon­do, e ne ho cono­sciu­ti alcu­ni che han­no cam­bia­to me. 

Ma fin­ché gli inse­gnan­ti saran­no con­si­de­ra­ti alla stre­gua di impie­ga­ti aset­ti­ci e insen­si­bi­li, ese­cu­to­ri imper­so­na­li di pro­gram­mi sod­di­sfat­ti-o-rim­bor­sa­ti che spre­mo­no lo stu­den­te per far­gli acqui­si­re pre­sun­te abi­li­tà spen­di­bi­li, let­te­ral­men­te a fini di lucro, nel lavo­ro e nul­la più, o, anco­ra peg­gio, fin­ché saran­no esclu­si da qual­sia­si discor­so poli­ti­co coe­ren­te e sostan­zio­so, come mi è sem­bra­to recen­te­men­te, non avre­mo mai gio­va­ni adul­ti pen­san­ti e cri­ti­ci, cri­ti­ci nel suo signi­fi­ca­to essen­zia­le: dota­ti di capa­ci­tà di discer­ni­men­to. Per distin­gue­re la buo­na paro­la dal cat­ti­vo discor­so, la sostan­za dal­la forma. 

E oggi mi sem­bra dav­ve­ro urgen­te sogna­re insie­me una rete di scuo­le pos­si­bi­li, in cui i ragaz­zi sia­no aiu­ta­ti a cre­de­re che i loro sogni non sono solo pos­si­bi­li, ma desi­de­ra­bi­li e con­di­vi­si­bi­li, per­ché cre­do che nes­su­no voglia una socie­tà di indi­vi­dui ato­mi­ci, fru­stra­ti e auto­re­fe­ren­zia­li. Dob­bia­mo inse­gna­re a cre­de­re nel­le uto­pie: la real­tà che voglia­mo costrui­re insie­me può nasce­re solo da sogni irrealizzabili. 

 

Caro Nico­la,

è pro­prio il discor­so sui sogni e le uto­pie che va, con corag­gio, col­ti­va­to. Don Mila­ni, Dol­ci, lo stes­so Paso­li­ni — cui tu ti rife­ri­sci con la pas­sio­ne di chi ha stu­dia­to e nel­lo stu­dio ha tro­va­to un’i­dea e un sen­ti­men­to — e mol­ti altri anco­ra han­no col­ti­va­to pro­prio que­sto spi­ri­to che tu evo­chi, “astrat­to” o “sognan­te” solo in appa­ren­za. Non dob­bia­mo mai dimen­ti­ca­re. E non è, natu­ral­men­te, sol­tan­to un discor­so di memo­ria sto­ri­ca o tra­di­zio­ne cul­tu­ra­le, o peg­gio “eru­di­zio­ne”, di “cul­tu­ra” con la “C” maiu­sco­la. Tut­t’al­tro. Era for­se Bufa­li­no che dice­va: “la mafia sarà vin­ta solo un da un eser­ci­to di mae­stri elementari”. 

Per un inse­gnan­te è com­mo­ven­te ascol­ta­re paro­le come le tue: il “mestie­re” del­l’in­se­gnan­te è un mestie­re umi­le e fati­co­so, ed è raro tro­va­re di que­sti tem­pi un ragaz­zo, un gio­va­ne, che ha fra le pro­prie aspi­ra­zio­ni quel­la di insegnare.

La pro­fes­sio­ne inse­gnan­te non è una mis­sio­ne o una “voca­zio­ne”, è un lavo­ro, natu­ral­men­te: ma un lavo­ro mol­to par­ti­co­la­re. Que­sto lavo­ro non rie­sce a soste­ner­si, e per­si­no ad esse­re “effi­ca­ce” o “effi­cien­te”, sen­za il rife­ri­men­to ad una stra­da “di sen­so”: nono­stan­te le dif­fi­col­tà, la stan­chez­za, talo­ra il sen­ti­men­to di impo­ten­za, ed il con­fron­to costan­te con le gran­di e pic­co­le que­stio­ni orga­niz­za­ti­ve, buro­cra­ti­co-for­ma­li, con gli “adem­pi­men­ti” pol­ve­ro­si, e il rispet­to del­le isti­tu­zio­ni e dei con­te­sti, nor­ma­ti­vi e socio-edu­ca­ti­vi, dove si è chia­ma­ti ad ope­ra­re. Per pro­ve ed erro­ri, spes­so sba­glian­do, cer­can­do ogni gior­no un equi­li­brio e la pro­pria liber­tà. Inse­gna­re è bel­lo, impor­tan­te, una gran­de possibilità.

Inse­gna­re e impa­ra­re sono una stra­na pazien­za che si alter­na ad impe­to (un po’ di reto­ri­ca non gua­sta mai), sono curio­si­tà, la for­za di affron­ta­re fal­li­men­ti e disil­lu­sio­ni; sono l’impegno del­la quo­ti­dia­ni­tà e del­la cosid­det­ta “nor­ma­li­tà”. Non è mai pura ese­cu­zio­ne di un “com­pi­to”, di una “pro­ce­du­ra” o una di una “tec­ni­ca”, e non è cer­to buro­cra­zia o ana­li­si sta­ti­sti­ca. Inse­gna­re, così come impa­ra­re, è stu­dio, cioè pas­sio­ne, rela­zio­ne vita­le con per­so­ne, situa­zio­ni, “con­cet­ti”. Non può mai esse­re ridot­to ad un “uti­le” imme­dia­to, per­ché si rivol­ge a qual­co­sa che è sem­pre diver­so e in gran par­te sco­no­sciu­to. Una sto­ria che ser­ve è una sto­ria ser­va, dice­va Marc Bloch, in una feli­ce battuta

E se tut­to que­sto è anche in mini­ma par­te vero, allo­ra il discor­so sul­la scuo­la e nel­la scuo­la si lega inti­ma­men­te con quel­lo del sogno e del­le uto­pie: non nega né esclu­de il prin­ci­pio di real­tà, la “nor­ma”, la rifles­sio­ne sui “siste­mi”, sui “dati”, sui “pro­ces­si”, ma “fun­zio­na” solo e sol­tan­to se è in gra­do anco­ra di tene­re insie­me tut­ti i pez­zi del discor­so, com­pre­sa quel­l’al­tra real­tà che è l’in­di­vi­duo con­cre­to che cre­sce, con i suoi pos­si­bi­li sogni e le sue spe­ran­ze. Una socie­tà che non si occu­pa di tut­ti bam­bi­ni e le bam­bi­ne e dei “suoi” gio­va­ni non sarà mai vera­men­te demo­cra­ti­ca e giu­sta, e non avrà futuro. 

Daf­ne Murè – Pos­si­bi­le Scuo­la Rieti

(in col­la­bo­ra­zio­ne con Eula­lia Gril­lo)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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