Giornata internazionale della donna: che cosa significa #8marzo

L’8 marzo per noi non sono fiori, cioccolatini o inviti a cena. L’8 marzo per noi dura tutto l’anno e significa ancora lotta. È il simbolo del nostro Femminismo Intersezionale.

8 mar­zo: che cosa signi­fi­ca que­sta data?

Par­tia­mo dal­la nostra Costi­tu­zio­ne Ita­lia­na. Bel­lis­si­ma, ma che con­tie­ne alcu­ne for­mu­le non più al pas­so con i tem­pi. L’articolo 37 infat­ti recita:

“La don­na lavo­ra­tri­ce ha gli stes­si dirit­ti e, a pari­tà di lavo­ro, le stes­se retri­bu­zio­ni che spet­ta­no al lavo­ra­to­re. Le con­di­zio­ni di lavo­ro devo­no con­sen­ti­re l’a­dem­pi­men­to del­la sua essen­zia­le fun­zio­ne fami­lia­re e assi­cu­ra­re alla madre e al bam­bi­no una spe­cia­le ade­gua­ta protezione”.

Quin­di già nel 1948 si par­la­va di pari­tà di gene­re, ma la don­na è qui anco­ra descrit­ta pre­va­len­te­men­te come figu­ra mater­na, la cui fun­zio­ne pri­ma­ria non è l’autodeterminazione, ma l’accudimento del­la pro­le (il padre, evi­den­te­men­te, non era visto come figu­ra essen­zia­le in tal pro­po­si­to). Sia­mo arri­va­ti al 2022 e l’art. 37 del­la Costi­tu­zio­ne rima­ne inva­ria­to. Ecco per­ché nel 2019 abbia­mo pro­po­sto, nel qua­dro di una più ampia trat­ta­zio­ne sul­la pari­tà retri­bu­ti­va, “la modi­fi­ca dell’articolo 37 del­la Costi­tu­zio­ne nel sen­so del suo aggior­na­men­to, rac­co­glien­do lo spun­to che Lea Melan­dri ave­va espres­so alcu­ni anni fa. […] Pos­sia­mo dare a que­sto arti­co­lo una nuo­va veste e attri­buir­gli sin da ora una valen­za posi­ti­va, di rivo­lu­zio­ne culturale”: 

Tor­nan­do però al ruo­lo del­le don­ne, attual­men­te, alme­no sul­la car­ta, dei prin­ci­pi sono fis­sa­ti: è il back­ground cul­tu­ra­le che ci fre­ga. Pec­ca­to che sia que­sto a rego­la­re e a deci­de­re del­le nostre vite.

Ma fac­cia­mo un bre­ve excur­sus sto­ri­co per capi­re l’8 marzo.

  • 1907: si ini­ziò a par­la­re di Gior­na­ta Inter­na­zio­na­le del­la Don­na al con­gres­so socia­li­sta di Stoc­car­da, in cui par­te­ci­pa­ro­no, tra gli altri, anche Lenin, Cla­ra Zet­kin e Rosa Luxem­burg. In que­sta sede si par­lò anche del­la pos­si­bi­li­tà di esten­de­re il voto alle donne;
  • 1909: nac­que negli Sta­ti Uni­ti il Woman’s Day. Il Par­ti­to Socia­li­sta Ame­ri­ca­no isti­tuì mani­fe­sta­zio­ni a favo­re del voto fem­mi­ni­le, da tene­re l’ultima dome­ni­ca di febbraio;
  • 8 mar­zo 1917: le don­ne di San Pie­tro­bur­go orga­niz­za­ro­no una mani­fe­sta­zio­ne per chie­de­re la fine del­la guer­ra. Que­sto movi­men­to vie­ne con­si­de­ra­to l’inizio del­la Rivo­lu­zio­ne Russa;
  • 1922: in Ita­lia si par­lò per la pri­ma vol­ta di intro­dur­re un gior­no dedi­ca­to alla donna;
  • 1946: ven­ne cele­bra­ta in Ita­lia la pri­ma Gior­na­ta Inter­na­zio­na­le del­la Don­na, ribat­tez­za­ta dal­la cul­tu­ra popo­la­re “Festa del­la Don­na”. La richie­sta di isti­tui­re tale gior­na­ta, sep­pur in ritar­do sul resto del mon­do, ven­ne dall’UDI (Unio­ne Don­ne in Italia);
  • 1975: l’ONU uffi­cia­liz­zò l’8 mar­zo come Gior­na­ta Inter­na­zio­na­le del­la Donna.

Spes­so si sen­te ripe­te­re che la ricor­ren­za cade l’8 mar­zo a cau­sa di un incen­dio in una fab­bri­ca di New York, ma que­sto è un fal­so sto­ri­co. L’incendio è avve­nu­to dav­ve­ro, ma il 25 mar­zo 1911: la fab­bri­ca di cami­cie Trian­gle andò a fuo­co, ucci­den­do 123 don­ne e 23 uomini.

E allo­ra per­ché que­sta ver­sio­ne ha avu­to così tan­ta pre­sa sull’immaginario col­let­ti­vo? Per­ché per mol­ti è più con­for­tan­te vede­re le don­ne come vit­ti­me, che come pro­ta­go­ni­ste che han­no dato il via a una vera e pro­pria rivo­lu­zio­ne. È più faci­le vede­re le don­ne come ange­li fra­gi­li da pro­teg­ge­re e com­me­mo­ra­re, che come moto­re del mon­do, arrab­bia­te e potenti.

Oggi come vie­ne visto l’8 mar­zo in Ita­lia? C’è da pre­ci­sa­re, pri­ma di tut­to, che solo nel­la nostra nazio­ne que­sta ricor­ren­za vie­ne chia­ma­ta “Festa”. Una con­sue­tu­di­ne che ne stra­vol­ge e ane­ste­tiz­za il signi­fi­ca­to men­tre, come abbia­mo visto, gli even­ti che han­no por­ta­to a isti­tui­re que­sta data ci par­la­no di dirit­ti, movi­men­ti con­tro la guer­ra, rivendicazioni.

Inve­ce l’8 mar­zo è diven­ta­to una soli­da con­fer­ma del siste­ma patriar­ca­le (atten­zio­ne, del siste­ma, non dell’uomo), in quan­to cele­bra le don­ne come figu­re ecce­zio­na­li, da omag­gia­re con i fio­ri dal­lo stes­so siste­ma che nega loro la pos­si­bi­li­tà di rag­giun­ge­re la pie­na pari­tà. Come a dire: la don­na è mera­vi­glio­sa, ma solo se sta nel suo ango­li­no ver­rà pre­mia­ta con ric­chi doni e cotil­lons. Maschi­li­smo e ses­si­smo in una for­ma più sot­ti­le di un tem­po ma ugual­men­te tossica.

La sto­ria non era ini­zia­ta così: negli anni Cin­quan­ta distri­bui­re mimo­se era con­si­de­ra­to un gesto che tur­ba­va l’ordine pub­bli­co, pro­prio per il sim­bo­li­smo di lot­ta che ne deri­va­va. Negli anni Set­tan­ta le mani­fe­sta­zio­ni lega­te all’8 mar­zo chie­de­va­no la lega­liz­za­zio­ne dell’aborto e mol­te don­ne ven­ne­ro cari­ca­te e pre­se a man­ga­nel­la­te. Ecco per­ché la paro­la che più rap­pre­sen­ta l’8 mar­zo era e dovreb­be esse­re anco­ra: lotta. 

Oggi rac­co­glia­mo l’eredità di chi è venu­ta pri­ma di noi, ma abbia­mo anco­ra mol­te bat­ta­glie da com­bat­te­re e chi dice che il fem­mi­ni­smo oggi non ha più ragio­ne d’esistere, sba­glia di gros­so. Oggi, sem­pli­ce­men­te, ci sono stru­men­ti diver­si e le for­ze con­tro cui andia­mo sono più sfu­ma­te, meno evi­den­ti ma non meno violente.

Pen­sa­te ad esem­pio quan­te sono le don­ne che rico­pro­no inca­ri­chi di pote­re. Quan­te ret­tri­ci di uni­ver­si­tà, quan­te a capo di un par­ti­to poli­ti­co? Quan­te a capo di un Mini­ste­ro o con­dut­tri­ci di gran­di show tele­vi­si­vi? Pen­san­do solo al recen­te San­re­mo, c’erano diver­se don­ne a fare da corol­la­rio all’adeguata con­du­zio­ne di un uomo. Come a dire: cer­to che voglia­mo le don­ne, ma solo ai lati del per­so­nag­gio principale.

Il Glo­bal Gen­der Gap Report del 2021 par­la chia­ro: se la pari­tà di gene­re è qua­si rag­giun­ta a livel­lo di acces­so all’educazione (sco­re 0.950), è anco­ra in for­te cri­si sui pia­ni di par­te­ci­pa­zio­ne all’economia (sco­re 0.583) e poli­ti­ca (sco­re 0.218). Come non cita­re, poi, i nume­ri ter­ri­bi­li dei fem­mi­ni­ci­di? Un’altra gran­de lot­ta che ci appar­tie­ne è quel­la lega­ta al lin­guag­gio. Il cam­bia­men­to cul­tu­ra­le ini­zia dal­le paro­le che usia­mo. Ser­ve una svol­ta nel modo di por­ci davan­ti alle don­ne, di rac­con­tar­le: se una don­na fa un’importante sco­per­ta scien­ti­fi­ca leg­gia­mo: “Don­na e mam­ma sco­pre…”; se Chia­ra Fer­ra­gni va a New York per lavo­ro, Fedez resta a fare il baby-sit­ter dei suoi figli, o il mam­mo; si par­la di una pos­si­bi­le don­na per il Col­le, “una don­na a caso” (e comun­que, alla fine, c’è anda­to un uomo). La pub­bli­ci­tà ci inon­da di mes­sag­gi sul­la divi­sio­ne di gene­re: la bam­bi­na gio­ca con le bam­bo­le e si veste di rosa, il bam­bi­no gio­ca con le mac­chi­ni­ne e si veste di azzur­ro. Tut­to ciò che esu­la da que­sti stan­dard è visto con timore.

La cul­tu­ra del patriar­ca­to ci spin­ge ad esse­re “per­fet­te”, “bra­vis­si­me”, “mul­ti­ta­sking”. Don­ne in car­rie­ra e madri amo­re­vo­li. Cuo­che per­fet­te ma in per­fet­ta for­ma. Col­te ma con sti­le. Eter­na­men­te sor­ri­den­ti anche se tra­fe­la­te. Un model­lo impos­si­bi­le, peri­co­lo­so, mal­sa­no. Impos­si­bi­le per­ché irrea­liz­za­bi­le o rea­liz­za­bi­le a costo di sacri­fi­ci imma­ni. Peri­co­lo­so per­ché deter­mi­na­ti model­li inar­ri­va­bi­li, spe­cial­men­te per le ragaz­ze e per le don­ne più gio­va­ni, pos­so­no spin­ge­re in un bara­tro sen­za via di usci­ta. Mal­sa­no per­ché solip­si­sta, indi­vi­dua­li­sta e anni­chi­len­te per l’essere uma­no. Ecco, abbia­mo un altro dirit­to da riven­di­ca­re l’8 mar­zo. Il dirit­to a non dover eccel­le­re a ogni costo.

Insom­ma, se pur davan­ti alla leg­ge sia­mo ugua­li, la cul­tu­ra ci con­ti­nua a rele­ga­re in secon­do pia­no, tan­to che l’ONU, nel­la com­pi­la­zio­ne dell’Agen­da 2030, ha inse­ri­to tra gli obiet­ti­vi quel­lo di rag­giun­ge­re l’uguaglianza di gene­re ed eman­ci­pa­re tut­te le don­ne e le ragazze. 

L’8 mar­zo per noi non sono fio­ri, cioc­co­la­ti­ni o invi­ti a cena. L’8 mar­zo per noi dura tut­to l’anno e signi­fi­ca anco­ra lot­ta. È il sim­bo­lo del nostro Fem­mi­ni­smo Inter­se­zio­na­le, il movi­men­to che “non fun­zio­na a com­par­ti­men­ti sta­gni e ha lo sguar­do aper­to su tut­te le cate­go­rie uma­ne oppres­se dal­la socie­tà patriar­ca­le, inclu­si gli uomi­ni che cer­ca­no una libe­ra­zio­ne a prez­zo di gran­di sfor­zi di auto­co­scien­za e lavo­ro su se stes­si, e che fino­ra sono sta­ti pres­so­ché esclu­si dal­la con­ver­sa­zio­ne” (Bla­si, 2018). Come ci ricor­da la segre­ta­ria Bea­tri­ce Bri­gno­ne, “l’uguaglianza di gene­re per noi è sem­pre sta­ta più di una voce inse­ri­ta in un pro­gram­ma, più di un gior­no all’anno con cui lavar­si la coscien­za fino alla ricor­ren­za suc­ces­si­va, più di un agget­ti­vo di moda da aggiun­ge­re in auto­ma­ti­co per caval­ca­re l’onda del momen­to. Per que­sto l’8 mar­zo è sem­pre sta­ta per noi l’occasione per rilan­cia­re: voglia­mo #unpae­se­per­don­ne, voglia­mo un rea­le impe­gno costan­te e quo­ti­dia­no a cam­bia­re la cul­tu­ra patriar­ca­le che ogni anno ci costa così tan­te vite e sofferenze”.

di Valen­ti­na Toto

Ele­na Zavaroni

Pos­si­bi­le Reg­gio Emi­lia — Comi­ta­to Mariel­le Franco

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