Codice Appalti, tutto cambia perché nulla cambi

Il Governo chiude la strada alla corruzione. Il tono tranchant dell'annuncio è al solito del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La corruzione, ha detto, si batte con «norme più semplici, non più complicate». Ha così dato il via libera la scorsa settimana, durante una conferenza stampa, al nuovo Codice degli Appalti.

Il Gover­no chiu­de la stra­da alla cor­ru­zio­ne. Il tono tran­chant del­l’an­nun­cio è al soli­to del pre­si­den­te del Con­si­glio, Mat­teo Ren­zi. La cor­ru­zio­ne, ha det­to, si bat­te con «nor­me più sem­pli­ci, non più com­pli­ca­te». Ha così dato il via libe­ra la scor­sa set­ti­ma­na, duran­te una con­fe­ren­za stam­pa, al nuo­vo Codi­ce degli Appal­ti.

Di pri­mo acchi­to, potrem­mo dire che sem­pli­fi­ca­zio­ne è sta­ta fat­ta: da 256 arti­co­li si è pas­sa­ti a 220; dal bino­mio decre­to dele­ga­to-rego­la­men­to, si è tran­si­ta­ti ver­so una sola fon­te di ori­gi­ne legi­sla­ti­va. Tut­ta­via, il nuo­vo impian­to nor­ma­ti­vo pre­ve­de che sia l’Au­to­ri­tà Nazio­na­le Anti Cor­ru­zio­ne (ANAC) ad ema­na­re linee gui­da ad hoc, con gra­di diver­si di cogen­za, per spe­ci­fi­ci set­to­ri o interventi.

Il decre­to n. 50/2016 è – di fat­to – l’at­to di rece­pi­men­to di ben tre diver­se diret­ti­ve euro­pee, le n. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, rela­ti­ve all’ag­giu­di­ca­zio­ne dei con­trat­ti di con­ces­sio­ne, sugli appal­ti pub­bli­ci e sul­le pro­ce­du­re d’ap­pal­to degli enti ero­ga­to­ri nei set­to­ri del­l’ac­qua, del­l’e­ner­gia, dei tra­spor­ti e dei ser­vi­zi posta­li. Le nor­me euro­pee sono carat­te­riz­za­te da alcu­ni ele­men­ti cardine:

  • il docu­men­to di gara uni­co europeo;
  • misu­re incen­ti­van­ti l’ac­ces­so al mer­ca­to da par­te del­le pic­co­le e medie impre­se median­te la ridu­zio­ne dei costi ammi­ni­stra­ti­vi di par­te­ci­pa­zio­ne alle gare, la sud­di­vi­sio­ne degli appal­ti in lot­ti, divie­to di intro­du­zio­ne di soglie mini­me di fatturato
  • e, al fine di com­bat­te­re il cosid­det­to dum­ping socia­le e garan­ti­re i dirit­ti dei lavo­ra­to­ri, la pre­vi­sio­ne di nor­me che esclu­da­no le offer­te al ribas­so; nel­la fat­ti­spe­cie, la nor­ma euro­pea, ver­so la qua­le lo Sta­to Ita­lia­no è obbli­ga­to a rav­vi­ci­nar­si, pre­ve­de il cri­te­rio del­l’of­fer­ta più van­tag­gio­sa (MEAT, Most Eco­no­mi­cal­ly Advan­ta­geous Ten­der), com­pren­si­va di misu­re ido­nee a garan­ti­re l’integrazione dei requi­si­ti in mate­ria ambien­ta­le, socia­le e del lavoro.

Pos­sia­mo cer­ta­men­te dire che l’ul­ti­mo di que­sti requi­si­ti è sta­to, per così dire, neu­tra­liz­za­to. Seb­be­ne il cri­te­rio MEAT fos­se già una del­le opzio­ni nel pre­ce­den­te cor­po nor­ma­ti­vo, con la revi­sio­ne sareb­be dovu­to diven­ta­re il cri­te­rio di aggiu­di­ca­zio­ne prin­ci­pa­le degli appal­ti. Ser­gio Riz­zo sul Cor­rie­re del­la Sera la rac­con­ta come una pro­mes­sa del Gover­no, ma il supe­ra­men­to del­le nor­me di aggiu­di­ca­zio­ne dei lavo­ri in mas­si­mo ribas­so era con­se­guen­te al rece­pi­men­to del­le Diret­ti­ve euro­pee. Va da sé, le pro­mes­se pas­sa­no, le Diret­ti­ve inve­ce resta­no e, seb­be­ne la nor­ma euro­pea usi in manie­ra oppor­tu­na il ver­bo volon­ta­rio may rife­ren­do­si alla pos­si­bi­li­tà di impie­ga­re cri­te­ri non quan­ti­ta­ti­vi per l’as­se­gna­zio­ne degli appal­ti, il nostro pae­se inter­pre­ta in manie­ra alquan­to mini­ma­li­sta lo spi­ri­to del­la nor­ma al pun­to che il cri­te­rio del mas­si­mo ribas­so resi­ste nel nostro ordi­na­men­to per alme­no l’81% degli appal­ti.

Il limi­te, nel testo ori­gi­na­rio appro­va­to dal CdM il 3 Apri­le scor­so – e poi con­fer­ma­to lun­go la trat­ta­zio­ne nel­le com­mis­sio­ni in Par­la­men­to – era fis­sa­to a gare con impor­to fino a 150 mila euro. Nel testo pub­bli­ca­to il 19 Apri­le in extre­mis in Gaz­zet­ta Uffi­cia­le (i ter­mi­ni del­la leg­ge dele­ga per il rece­pi­men­to sca­de­va­no il 18 Apri­le), il limi­te è sta­to innal­za­to ad 1 milio­ne.

Uno dei rela­to­ri del gover­no, Ste­fa­no Espo­si­to, così com­men­ta­va in aula al Sena­to, lo scor­so 12 Gen­na­io 2016: «È comun­que posi­ti­vo che ven­ga man­te­nu­to uno dei car­di­ni di que­sto codi­ce: chiu­de­re la dram­ma­ti­ca espe­rien­za, per que­sto Pae­se, degli appal­ti di ser­vi­zio affi­da­ti con il mas­si­mo ribas­so, che ave­va e pur­trop­po ha anco­ra come uni­co effet­to […] quel­lo di sca­ri­ca­re il mas­si­mo ribas­so sul­la pel­le e soprat­tut­to sul­la paga ora­ria di chi lavo­ra». È alquan­to sur­rea­le – ma il ter­mi­ne è asso­lu­ta­men­te doci­le – che sia por­ta­to in discus­sio­ne in aula un decre­to legi­sla­ti­vo e se ne cam­bi all’ul­ti­mo istan­te, pri­ma del­la pub­bli­ca­zio­ne, uno degli aspet­ti più signi­fi­ca­ti­vi. In fin dei con­ti, que­sto epi­so­dio resti­tui­sce la misu­ra per­fet­ta del rispet­to isti­tu­zio­na­le che que­sto gover­no ha per il Par­la­men­to. Era sta­to lo stes­so mini­stro Del­rio a spie­ga­re ai cro­ni­sti che la nuo­va nor­ma avreb­be coniu­ga­to «prez­zo e qua­li­tà». Sareb­be inte­res­san­te sen­ti­re le sue spie­ga­zio­ni al riguardo.

Le com­mis­sio­ni par­la­men­ta­ri ave­va­no altre­sì inse­ri­to una clau­so­la socia­le di rias­sor­bi­men­to occu­pa­zio­na­le nei casi di suc­ces­sio­ne di impre­se nei con­trat­ti di appal­to, per appal­ti ad alta inci­den­za di mano­do­pe­ra, in cui cioè il costo del lavo­ro supe­ra del 50% l’importo com­ples­si­vo. Coin­vol­ti in par­ti­co­la­re i call cen­ter, per i qua­li vi era sta­ta anche una discre­ta mobi­li­ta­zio­ne, con una peti­zio­ne che rac­col­se 15 mila fir­me con­se­gna­te ad Otto­bre 2015 alla Pre­si­den­te del­la Came­ra, Lau­ra Boldrini.

La modi­fi­ca con­si­ste­va nel­l’in­se­ri­men­to del­la fra­se “deb­bo­no inse­ri­re spe­ci­fi­che clau­so­le socia­li” al posto di “pos­so­no pre­ve­de­re” ed era rela­ti­va al con­te­nu­to dei con­trat­ti di appal­to. La sua por­ta­ta avreb­be garan­ti­to la con­ti­nui­tà con­trat­tua­le dei lavo­ra­to­ri fra appal­ta­to­re entran­te ed uscen­te, impe­den­do il gio­go del licen­zia­men­to segui­to dal­l’as­sun­zio­ne da par­te del nuo­vo appal­ta­to­re ma con modi­fi­ca del­le con­di­zio­ni retributive.

È cer­ta­men­te dif­fi­ci­le muo­ver­si in que­sto cam­po sen­za lede­re i prin­ci­pi del­la liber­tà eco­no­mi­ca degli ope­ra­to­ri, bilan­cian­do fra il prin­ci­pio di soli­da­rie­tà e quel­lo del­la libe­ra con­cor­ren­za (l’ob­bli­ga­to­rie­tà di rias­sun­zio­ne può costi­tui­re fat­to­re di dis­sua­sio­ne dal­la par­te­ci­pa­zio­ne alla gara stes­sa), come spes­so sot­to­li­nea­to dal Con­si­glio di Sta­to nel­le sue sen­ten­ze e dal­l’Au­to­ri­tà garan­te del­la con­cor­ren­za e del mer­ca­to nel pare­re con­sul­ti­vo rila­scia­to alla Com­mis­sio­ne Lavo­ro al Sena­to. Ma in que­sto caso si trat­ta­va di impe­di­re l’a­bu­so del dum­ping socia­le effet­tua­to in dina­mi­che spes­so spre­giu­di­ca­te dagli appal­ta­to­ri dei ser­vi­zi di call cen­ter e nei casi di offer­te al mas­si­mo ribas­so. Il Gover­no ha igno­ra­to il voto del Par­la­men­to, i 289 voti favo­re­vo­li del­la Came­ra e i 170 del Sena­to. E, in defi­ni­ti­va, la rifor­ma si è risol­ta in una sem­pli­ce bol­la di sapo­ne: un’al­tra rivo­lu­zio­ne che non era.

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