Tra Brexit, campi profughi e corridoi umanitari: i confini dell’UE nel 2016

Nel 2016, hanno ancora senso i confini? Come possiamo accettare questo rinchiudersi nelle proprie case, dopo che abbiamo sperimentato anni di crescita e prosperità in concomitanza con la caduta delle frontiere, quando siamo stati orgogliosi della nostra appartenenza ad una comunità più ampia e vogliosi di accogliere chi fuggiva da guerre e miseria?

Nel 1991 si dis­sol­ve­va l’Unione Sovie­ti­ca, a due anni dal­la cadu­ta di un muro che è sem­pre sta­to sim­bo­lo di divi­sio­ne. Nel novem­bre del 1989, a Ber­li­no, il muro cade­va a signi­fi­ca­re la riu­ni­fi­ca­zio­ne di una cit­tà e, pochi anni dopo, di una nazio­ne che fu puni­ta alla fine del­la secon­da guer­ra mon­dia­le e che fu spar­ti­ta tra le poten­ze che scon­fis­se­ro il nazismo.

Quell’apertura signi­fi­cò tan­to nel pro­ces­so di inte­gra­zio­ne dell’Europa e la dis­so­lu­zio­ne dell’URSS spin­se il pro­ces­so di demo­cra­tiz­za­zio­ne del con­ti­nen­te. Tan­to che nel 1991 un’icona pop per i bam­bi­ni ita­lia­ni can­ta­va “l’Europa sia­mo noi, milio­ni di per­so­ne”. In que­gli anni, ric­chi di novi­tà, entrò in vigo­re il trat­ta­to di Schen­gen che nel 1996 ha por­ta­to alla cadu­ta del­le pri­me fron­tie­re inter­ne dell’Unione. In que­gli anni le bar­rie­re doga­na­li, all’interno dell’Unione Euro­pea, cade­va­no una dopo l’altra. Nel 1999 nac­que la mone­ta uni­ca e i con­fi­ni inter­ni era­no un ricor­do del pas­sa­to.

Fast for­ward al 2015: il Medi­ter­ra­neo è una tom­ba a cie­lo aper­to da ora­mai qual­che anno, attra­ver­so la rot­ta bal­ca­ni­ca sem­pre più per­so­ne fug­go­no da guer­re e dit­ta­tu­re e in Euro­pa si comin­cia a par­la­re di inter­rom­pe­re la libe­ra cir­co­la­zio­ne del­le per­so­ne. La Gran Bre­ta­gna annun­cia un refe­ren­dum per usci­re dall’Unione Euro­pea e l’Unione sti­pu­la un accor­do miliar­da­rio con la Tur­chia per fer­ma­re il flus­so di migran­ti.

Come se non bastas­se, anche i con­fi­ni inter­ni dell’Unione ven­go­no ripri­sti­na­ti. Si par­la di costrui­re una rete al con­fi­ne tra Ita­lia e Austria lun­go l’autostrada del Bren­ne­ro, l’Ungheria annun­cia la crea­zio­ne di un muro di fron­tie­ra con la Ser­bia e l’Euro­pa si rifà for­tez­za, que­sta vol­ta non solo ver­so l’esterno, ver­so “i bar­ba­ri” che la voglio­no colo­niz­za­re — nel­la vul­ga­ta del­le destre xeno­fo­be — ma anche ver­so l’interno, in una reto­ri­ca che comin­cia a crea­re divi­sio­ni anche tra i pae­si mem­bri.

Con que­sto arti­co­lo ponia­mo alcu­ne doman­de: nel 2016, han­no anco­ra sen­so i con­fi­ni? Come pos­sia­mo accet­ta­re que­sto rin­chiu­der­si nel­le pro­prie case, dopo che abbia­mo spe­ri­men­ta­to anni di cre­sci­ta e pro­spe­ri­tà in con­co­mi­tan­za con la cadu­ta del­le fron­tie­re, quan­do sia­mo sta­ti orgo­glio­si del­la nostra appar­te­nen­za ad una comu­ni­tà più ampia e voglio­si di acco­glie­re chi fug­gi­va da guer­re e miseria?

For­se con que­ste doman­de non strap­pe­rem­mo un ago­gna­to 15 alla pro­va di matu­ri­tà, ma è par­ten­do da que­ste doman­de che ogni gior­no lavo­ria­mo per crea­re degli spa­zi più acco­glien­ti e una poli­ti­ca migra­to­ria che non sia puni­ti­va.

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