Sembra strano, ma nessuno lo dice con chiarezza. Siamo in guerra. Alleati con gli Stati Uniti, contro l’Isis in Libia, a 300 km dalle nostre coste. Siamo in guerra a seguito di una dichiarazione unilaterale, arrivata direttamente dalla Casa Bianca. Abbiamo dato totale disponibilità della base di Sigonella, tra una settimana partirà l’operazione congiunta Italia/Stati Uniti contro la Libia dell’Isis. Si parla anche di un possibile intervento di terra. E’ molto strano: il Governo Renzi aveva dichiarato di non avere fretta di intervenire, che avrebbe seguito la linea della prudenza. Ma, a seguito delle decisioni americane, non abbiamo evidentemente autonoma capacità decisionale e seguiamo a pancia piatta il nostro “alleato”.
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Quel che succede nei campi di detenzione in Libia è scritto nero su bianco in una sentenza della Corte d’Assise di Milano, datata 10 ottobre 2017, con la quale veniva condannato all’ergastolo un torturatore etiope che operava nel centro di detenzione di Bani Walid, in Libia, gestito direttamente dal condannato.

Diciassette pagine nelle quali si ribadisce che nei centri di detenzione libici le persone vengono trattenute arbitrariamente e violentate, stuprate, vendute, uccise. I colpevoli sarebbero indistintamente «funzionari statali, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e membri di bande criminali».

Quello che ti colpisce sono gli occhi. Che siano impegnati in conferenze per studiare il futuro del mondo, che siano riuniti per aiutare una popolazione in difficoltà o che siano intenti a lanciare un nuovo soggetto politico, quegli occhi non mentono. Gli sguardi dei ragazzi sono gli stessi perché esprimono allegria, fratellanza, spirito di cambiamento: in sostanza voglia di vivere.


