Pensiamo a un cavallo, non a una zebra

A mesi di distan­za dal­la bufe­ra media­ti­ca sul caso Sofia Zago, la bim­ba tra­gi­ca­men­te mor­ta di mala­ria a soli 4 anni due mesi fa a Bre­scia, non vedre­mo tito­li spa­ra­ti e nove a colon­ne, né lan­ci di tele­gior­na­le, né inte­ri epi­so­di di noti pro­gram­mi di intrat­te­ni­men­to di ogni colo­re, come ne abbia­mo visti all’indomani del dolo­ro­so evento.

Non ne vedre­mo, per­ché sta­vol­ta non sarà altret­tan­to faci­le par­la­re di inva­sio­ne, di clan­de­sti­ni che por­ta­no le malat­tie, di inva­sio­ne e di altre fan­do­nie a uso e con­su­mo del mer­ca­to del­la pau­ra h24 che ogni gior­no vie­ne vomi­ta­to sull’opinione pub­bli­ca dal­la lar­ga par­te dei media nazionali.

L’ipo­te­si che a tra­smet­te­re la mala­ria alla pic­co­la Sofia sia sta­ta una zan­za­ra ano­phe­les arri­va­ta chis­sà come da chis­sà dove, appa­re ormai sem­pre meno quo­ta­ta dagli inquirenti.

E que­sto per­ché, mol­to sem­pli­ce­men­te, è impro­ba­bi­le al pun­to da risul­ta­re qua­si impos­si­bi­le, come chia­ro fin da prin­ci­pio a chiun­que abbia una mini­ma fami­lia­ri­tà con il vet­to­re e la pato­lo­gia in questione.

Un’ipotesi che da subi­to è sem­bra­ta a mol­ti uno spec­chio per le allo­do­le, per svia­re l’attenzione da col­pe che la strut­tu­ra sani­ta­ria dove il con­ta­gio è avve­nu­to non vole­va ammettere.

Appa­re sem­pre più pro­ba­bi­le, infat­ti, che la cau­sa sia da attri­bui­re all’uso di un ago mal ste­ri­liz­za­to, più che alla pun­tu­ra di una zan­za­ra. Un erro­re uma­no da par­te del per­so­na­le medi­co dell’ospedale, insom­ma. O un caso di mala­sa­ni­tà, volen­do spa­ra­re ad alzo zero, pro­se­guen­do nell’errore di voler a tut­ti i costi tro­va­re un capro espia­to­rio imme­dia­to e di faci­le comprensione.

Non sap­pia­mo cosa sia avve­nu­to in quei gior­ni di tar­da esta­te. Non spet­ta a noi dire qua­le sia sta­to il mec­ca­ni­smo di contagio.

Nel­le facol­tà di medi­ci­na, però, quan­do si par­la dia­gno­sti­ca, si è soli­ti ripe­te­re “quan­to sen­ti­te gli zoc­co­li, pen­sa­te a un caval­lo, non a una zebra.
In altre paro­le, nel for­mu­la­re un’ipotesi su qua­le potreb­be esse­re la cau­sa che ha por­ta­to a un cer­to effet­to, è sem­pre bene esclu­de­re ciò che è più comu­ne e fre­quen­te, pri­ma di lan­ciar­si in avven­tu­ro­se quan­to affa­sci­nan­ti inda­gi­ni sull’improbabile e sull’esotico.

La cosa miglio­re, di fron­te al caso di Sofia Zago, sareb­be sta­ta un silen­zio rispet­to­so del dolo­re del­la fami­glia e del lavo­ro degli inqui­ren­ti, ma trop­po ghiot­ta era l’occasione in un momen­to in cui non si par­la­va d’altro che di sbar­chi e ius soli e taxi del mare e mini­stri dal pugno di fer­ro con­tro leghi­sti dal pugno di acciaio.
E quin­di, in bar­ba a ogni logi­ca, si è deci­so che era sta­ta una zan­za­ra, arri­va­ta su un bar­co­ne. Anche se nul­la lo dimo­stra­va, e ad oggi nul­la lo dimo­stra, anzi.

Non cono­scia­mo la situa­zio­ne dell’ospedale di Bre­scia, né del­le con­di­zio­ni dei suoi ope­ra­to­ri, né del­la stru­men­ta­zio­ne a loro dispo­si­zio­ne, non voglia­mo per­ciò sosti­tui­re le dia­tri­be sul­le migra­zio­ni con quel­le su un pre­sun­to caso di mala­sa­ni­tà.

Voglia­mo anzi spe­ra­re che si atten­da alme­no l’esito del­le inda­gi­ni, pri­ma di dare un giudizio.

Se, tut­ta­via, una lezio­ne voles­si­mo trar­re da que­sta tra­ge­dia, non sareb­be il caso di dedi­ca­re qual­che minu­to del nostro tem­po anche alle con­di­zio­ni del nostro siste­ma sani­ta­rio e di chi ci lavora?

For­se è anche sul­la qua­li­tà dei ser­vi­zi che i nostri cit­ta­di­ni rice­vo­no, indi­pen­den­te­men­te da ceto e pro­ve­nien­za, dovrem­mo interrogarci.
Una que­stio­ne, indi­pen­den­te­men­te da quan­to suc­ces­so a Bre­scia, mol­to più impor­tan­te e mol­to più “impat­tan­te” sul­la vita del­le ita­lia­ne e degli italiani.

Per­ché la veri­tà è che in mas­si­ma par­te, quan­do cer­chia­mo i respon­sa­bi­li  del­le disgra­zie che ci afflig­go­no, e di ciò di più dif­fu­so che sim­bo­leg­gia­no, è ai nostri con­cit­ta­di­ni che dob­bia­mo pen­sa­re, quan­do non a noi stessi.

Ci aspet­ta­no mesi (anni?) dif­fi­ci­li, in cui più che mai ogni occa­sio­ne uti­le per pre­sen­ta­re all’opinione pub­bli­ca “veri­tà alter­na­ti­ve” tese a spo­sta­re la nostra atten­zio­ne dai pro­ble­mi rea­li che ren­do­no la nostra socie­tà ingiu­sta, e da chi ne è cau­sa, a spau­rac­chi di ogni gene­re, dai siste­mi mone­ta­ri alle migra­zio­ni con tut­to quel­lo che fer­men­te­rà nel­la men­te dei doma­to­ri di rab­bia e pau­ra che cal­ca­no la sce­na del cir­co politico/mediatico del paese.

La pros­si­ma vol­ta che sen­tia­mo rumo­re di zoc­co­li, ricor­dia­mo­ci di pen­sa­re pri­ma di tut­to che potreb­be esse­re un caval­lo, anche quan­do tut­ti urle­ran­no “ZEBRA!”

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