Lontani dagli egoismi territoriali per ricostruire una comunità planetaria

«Quando mi dicono che dobbiamo “aiutarli a casa loro” resto sempre interdetto e mi chiedo in quale casa e chi dovrebbe aiutarli». Lucio Cavazzoni, già presidente di Alce nero, a margine del Politicamp di Reggio Emilia torna sui contenuti del suo intervento.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]«Quando mi dico­no che dob­bia­mo “aiu­tar­li a casa loro” resto sem­pre inter­det­to e mi chie­do in qua­le casa e chi dovreb­be aiu­tar­li». Lucio Cavaz­zo­ni, già pre­si­den­te di Alce nero, a mar­gi­ne del Poli­ti­camp di Reg­gio Emi­lia tor­na sui con­te­nu­ti del suo intervento.

Aiu­tia­mo­li a casa loro?

«La ter­ra è casa per i pic­co­li agri­col­to­ri, tan­to in Ita­lia quan­to nel resto del mon­do, la ter­ra è casa, ed è per que­sto moti­vo che non pen­se­reb­be­ro mai e poi mai di avve­le­nar­la, mini­miz­zar­la, distrug­ger­la. Eppu­re la ter­ra sta scom­pa­ren­do, come casa e come oppor­tu­ni­tà di sosten­ta­men­to e sviluppo».

C’è qual­cu­no che sta distrug­gen­do la loro casa?

«Cer­to. C’è il cam­bia­men­to cli­ma­ti­co che cau­sa sic­ci­tà deva­stan­ti, che gene­ra con­flit­ti e guer­re dato che scat­ta una cor­sa alle risor­se: in più di metà del­la Siria non pio­ve da tre anni. E c’è un’altra cor­sa alle risor­se, il “land grab­bing”, cioè l’accaparramento di ter­re da par­te di gran­di impre­se mul­ti­na­zio­na­li che appli­ca­no all’agricoltura i pro­ces­si dell’industria: com­pra­no ter­re, espel­lo­no i con­ta­di­ni e col­ti­va­no que­ste ter­re per pro­dur­re can­na da zuc­che­ro, mais e soia. Non dispo­nia­mo di dati sicu­ri, ma le sti­me par­la­no di una quo­ta com­pre­sa tra cen­to­ven­ti e due­cen­to milio­ni di etta­ri di ter­ra sot­trat­ti in Afri­ca; per fare un para­go­ne, l’Italia dispo­ne di dodi­ci milio­ni di etta­ri col­ti­va­bi­li: stia­mo distrug­gen­do i fon­da­men­ta­li per poter soprav­vi­ve­re».

Come mai pro­prio can­na da zuc­che­ro, mais e soia?

«La can­na da zuc­che­ro vie­ne uti­liz­za­ta per pro­dur­re “bio­fuel”, che ci spac­cia­no come fon­te di ener­gia puli­ta, dimen­ti­can­do­si i dan­ni subi­ti dai con­ta­di­ni “a casa loro”. Il mais e la soia ser­vo­no, oltre che per pro­dur­re bio­fuel, per l’ali­men­ta­zio­ne ani­ma­le: secon­do alcu­ne sti­me, vivia­mo in un pia­ne­ta in cui oltre la metà del­la pro­du­zio­ne di que­ste tre mate­rie pri­me ser­ve ad ali­men­ta­re mac­chi­ne, auto­mo­bi­li, bovi­ni, sui­ni: c’è qual­co­sa che non tor­na».

Gli alle­va­men­ti, però, lì fac­cia­mo a casa nostra.

«Esat­ta­men­te, per­ché gli alle­va­men­ti devo­no esse­re pre­si­dia­ti: è il man­gi­me che pro­vie­ne da Afri­ca, Asia e Sud Ame­ri­ca»

E così ci si ritro­va sen­za ter­ra, quin­di sen­za casa, e l’unica opzio­ne resta la migrazione.

«In buo­na par­te del mon­do è sal­ta­ta com­ple­ta­men­te la distin­zio­ne, del tut­to teo­ri­ca, tra la migra­zio­ne per moti­va­zio­ni cli­ma­ti­che e ambien­ta­li o poli­ti­che. In Afri­ca le cau­se poli­ti­che sono l’estrazione e la rapi­na del­le mate­rie pri­me: nes­su­no dice che le estra­zio­ni più inva­si­ve van­no di pari pas­so con lo sgom­be­ro di per­so­ne che vivo­no nel rag­gio di cen­ti­na­ia di chi­lo­me­tri. Nel­le mon­ta­gne peru­via­ne, il per­co­la­to che pro­vie­ne dal­le minie­re ha cau­sa­to lo sfol­la­men­to di per­so­ne che vive­va­no nel­le val­li per cen­ti­na­ia di chi­lo­me­tri. Ci sono deva­sta­zio­ni su lar­ga sca­la che non pos­so­no esse­re igno­ra­te».

Se ci sono deva­sta­zio­ni, qual­cu­no dovreb­be impe­gnar­si per ricostruire.

«Di sicu­ro non pos­so­no esse­re i gover­ni occi­den­ta­li degli sta­ti nazio­na­li così come li cono­scia­mo ora. Quan­do gli euro­pei se ne sono anda­ti dall’Africa, non così tan­to tem­po fa, han­no lascia­to sul cam­po mor­te, vio­len­za e atro­ci­tà. Ci sono inte­re gene­ra­zio­ni che, anche per respon­sa­bi­li­tà nostra, sono cre­sciu­te in cam­pi pro­fu­ghi: che futu­ro pos­so­no imma­gi­na­re quel­le per­so­ne? E chi ha, ora, la neces­sa­ria cre­di­bi­li­tà per inter­ve­ni­re in quei paesi?».

La coo­pe­ra­zio­ne è per­ciò una fin­zio­ne, un modo come un altro per ave­re la coscien­za pulita?

«Asso­lu­ta­men­te no: la coo­pe­ra­zio­ne è uno stru­men­to fon­da­men­ta­le e sarà deci­si­va per il futu­ro di quel­le comu­ni­tà – e anche del­la nostra comu­ni­tà – se non sarà gui­da­ta dagli sta­ti, ma se sarà una coo­pe­ra­zio­ne popo­la­re: l’obiettivo deve esse­re mol­to più alto di quel­lo attua­le e la nostra azio­ne deve esse­re in gra­do di coin­vol­ge­re sog­get­ti e comu­ni­tà con lo sco­po di resti­tui­re a quel­le comu­ni­tà la cui casa è sta­ta deva­sta­ta la capa­ci­tà di riac­qui­si­re un ruo­lo socia­le, cul­tu­ra­le, sto­ri­co nel loro ter­ri­to­rio. Le coo­pe­ra­ti­ve lati­noa­me­ri­ca­ne non sono coo­pe­ra­ti­ve di ven­di­ta, ma si occu­pa­no di svi­lup­po ter­ri­to­ria­le, di ele­va­re la qua­li­tà del luo­go in cui inci­do­no, che sia­no cit­tà o cam­pa­gne: dob­bia­mo spe­ri­men­ta­re cose in que­sto senso».

Qual è il loro segreto?

«La gran­de for­za di que­sti pro­dut­to­ri è che pro­du­co­no cibo per “qual­cu­no”, per le pro­prie comu­ni­tà, non per l’invisibile “mer­ca­to”. Al con­tra­rio, se man­gias­si­mo solo cibo indu­stria­le diven­te­rem­mo un pez­zo dell’industria e nul­la di più, scor­dan­do­ci com­ple­ta­men­te del­la cura del­la ter­ra e del­la casa».

È una rifles­sio­ne che vale anche per “casa nostra”?

«Mi è capi­ta­to di attra­ver­sa­re la Puglia e di vede­re, lun­go le stra­de, camion che ven­do­no la frut­ta met­te­re le cilie­gie a 1,60 euro al chi­lo­gram­mo: capi­te che se il prez­zo è que­sto vuol dire che stia­mo par­lan­do di un’economia che per for­za bypas­sa tut­ta la filie­ra sin­da­ca­le. Spa­gna, Por­to­gal­lo, Gre­cia sono nel­la mede­si­ma con­di­zio­ne: la com­pe­ti­zio­ne al ribas­so vie­ne fat­ta a qua­lun­que costo. Non voglio chia­mar­lo schia­vi­smo, ma il lavo­ro a que­ste con­di­zio­ni non si chia­ma lavo­ro, ma sfrut­ta­men­to: c’è una mano­va­lan­za bian­ca e nera, in coda, pron­ta per far­si sfrut­ta­re e que­sto non a cau­sa dell’immigrazione, ma per­ché sono sal­ta­te e sono sta­te fat­te sal­ta­re tut­te le garan­zie lavo­ra­ti­ve. Ai mar­gi­ni del­le cam­pa­gne del sud Ita­lia, sul­le stra­de, in assen­za di mar­ke­ting, que­sto sfrut­ta­men­to risul­ta tra­slu­ci­do in tut­ta la sua crudezza».

Dal tuo rac­con­to sem­bra di tor­na­re a un mon­do del lavo­ro che pen­sa­va­mo di aver com­ple­ta­men­te supe­ra­to, per­lo­me­no qui da noi.

«La gran­de sfi­da è rico­strui­re un lavo­ro che abbia sen­so e che dia sen­so e pro­spet­ti­va alla vita di cia­scu­no di noi. C’è un’enorme quan­ti­tà di lavo­ro nero, irre­fre­na­bi­le per via del­la com­pe­ti­ti­vi­tà al ribas­so, e un’enorme quan­ti­tà di lavo­ro con­dan­na­to in un lim­bo che si col­lo­ca tra lo schia­vi­smo e l’insignificanza. Un ragaz­zo inter­ve­nu­to al Poli­ti­camp, un fat­to­ri­no, ha rac­con­ta­to che una mat­ti­na ti alzi e “cre­di di esse­re sta­to licen­zia­to”. “Cre­di”, capi­te? Non lo sai nem­me­no! Ma que­sto è lavo­ro? Il lavo­ro è sta­to uno stru­men­to per modi­fi­ca­re lo sta­to del­le cose pre­sen­ti, per la cre­sci­ta per­so­na­le, è lo stru­men­to per cam­bia­re il mon­do, non solo l’assoggettamento a una strut­tu­ra ver­ti­ca­le: dob­bia­mo riaf­fer­ma­re que­sta idea di lavoro».

Sen­tia­mo par­la­re sem­pre più di sovra­ni­smo, di dazi, di con­fi­ni mili­ta­riz­za­ti, di un’Unione euro­pea da smantellare.

«Ecco: non pen­sia­mo di far­ce­la a pro­te­zio­ne solo nostra. Non ce la fac­cia­mo: il mostro è pla­ne­ta­rio e quin­di ser­ve una pro­te­zio­ne pla­ne­ta­ria. In assen­za di que­sta, è neces­sa­rio por­re il tema in ter­mi­ni euro­pei. L’Unione euro­pea si tro­va in uno sta­to di con­fu­sio­ne enor­me in que­sto momen­to: noi abbia­mo il com­pi­to di costrui­re reti tra­sver­sa­li a quel­le isti­tu­zio­na­li e gover­na­ti­ve, per­ché c’è dav­ve­ro mise­re­vo­lez­za e non pos­sia­mo accon­ten­tar­ci di que­sto».

Come vedi il futu­ro più prossimo?

«Ho il timo­re che rischia­mo di avviar­ci ver­so una gran­de invo­lu­zio­ne. Dob­bia­mo esse­re con­sa­pe­vo­li che se sal­ta l’Europa si fan­no guer­re, le abbia­mo sem­pre fat­te. Per que­sto dob­bia­mo rifiu­ta­re qual­sia­si egoi­smo ter­ri­to­ria­le. Pos­sia­mo far­ce­la, tut­ti insie­me, se ci met­tia­mo a rico­strui­re pia­ni oriz­zon­ta­li con la gen­te, met­ten­do in rela­zio­ne comu­ni­tà, inte­res­si e bat­ta­glie».[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

Il quarto Congresso di Possibile, dedicato a Marco Tiberi

Si è aper­to il quar­to Con­gres­so di Pos­si­bi­le, e voglia­mo dedi­car­lo a un ami­co che non c’è più e sul­la cui voce e sul­la cui intel­li­gen­za abbia­mo fat­to così tan­to affi­da­men­to le scor­se vol­te. Mar­co Tibe­ri ci avreb­be mes­so a posto con poche paro­le, andan­do al cuo­re del­le cose, anche quel­le che anco­ra non ave­va­mo pensato.

Discarica di Borgo Montello: le future generazioni meritano un radicale cambio di rotta

Non è più pos­si­bi­le accet­ta­re una mala gestio­ne così gra­ve del­la disca­ri­ca e soprat­tut­to imma­gi­na­re poten­zia­men­ti e modi­fi­che sen­za che sia­no mes­se nero su bian­co anche da un pun­to di vista giu­ri­di­co le respon­sa­bi­li­tà pena­li dei dan­ni ambien­ta­li e alla salu­te che que­sto ter­ri­to­rio sta subendo.