Il tempo è adesso

Pensiamo che le ingenti risorse che devono essere messe a disposizione sia utile usarle per rimettere in piedi il sistema economico che abbiamo costruito in questi trent’anni, oppure intendiamo usarle per costruire un modello sostenibile e al passo con le sfide dei prossimi anni?

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La situa­zio­ne dram­ma­ti­ca di que­sti mesi, con l’esplosione di una pan­de­mia, ha mes­so a nudo tut­te le debo­lez­ze di un siste­ma eco­no­mi­co e socia­le che mai si era scon­tra­to con un even­to di que­sta por­ta­ta. Fin da subi­to è emer­so con scon­cer­tan­te chia­rez­za che nes­su­no ave­va gli stru­men­ti per leg­ge­re e capi­re in che modo tut­to que­sto avreb­be con­di­zio­na­to il pre­sen­te e il futu­ro dei Pae­si coin­vol­ti e di con­se­guen­za per offri­re una pro­spet­ti­va mini­ma­men­te cre­di­bi­le di tem­pi e modi per supe­ra­re que­sta emergenza.

In una situa­zio­ne in cui la for­bi­ce del­le dise­gua­glian­ze è cre­sciu­ta a dismi­su­ra negli ulti­mi anni, que­sta cri­si sani­ta­ria rischia di tra­sfor­mar­si per i set­to­ri del­la socie­tà più fra­gi­li in una cri­si eco­no­mi­ca e socia­le con con­se­guen­ze dif­fi­cil­men­te imma­gi­na­bi­li.

I dati del­la Sar­de­gna impon­go­no a tut­ti una seria rifles­sio­ne per capi­re in che modo imma­gi­nia­mo di ripar­ti­re dopo aver risol­to i nostri pro­ble­mi di salu­te pub­bli­ca. È basta­to un mese per met­te­re let­te­ral­men­te in ginoc­chio un tes­su­to eco­no­mi­co fra­gi­le e sgre­to­la­to, fat­to spes­so di azien­de di  pic­co­le e medie dimen­sio­ni, con pro­ble­mi cro­ni­ci di liqui­di­tà e di acces­so al cre­di­to.

Abbia­mo al momen­to, secon­do i dati for­ni­ti da Con­fin­du­stria, il 60% del­le azien­de chiu­se, il 70% che ha già fat­to ricor­so alla cas­sa inte­gra­zio­ne o a for­me di ammor­tiz­za­to­ri socia­li e cir­ca l’80% che dichia­ra gra­vi pro­ble­mi di liqui­di­tà (tra­dot­to: non sono in gra­do di paga­re gli sti­pen­di). Se a que­sto aggiun­gia­mo le segna­la­zio­ni che arri­va­no dagli uffi­ci che nei comu­ni si occu­pa­no di ser­vi­zi socia­li e che ci indi­ca­no un nume­ro enor­me di richie­ste da par­te di “nuo­va uten­za”, cioè di per­so­ne che mai fino ad oggi ave­va­no avu­to biso­gno di un aiu­to, pos­sia­mo com­pren­de­re la dimen­sio­ne del­la bom­ba socia­le che rischia di esplodere.

Davan­ti a tut­to que­sto ser­ve pro­ce­de­re tenen­do ben pre­sen­te che occor­re dare alle per­so­ne una pro­spet­ti­va: non basta l’allarmismo e sono dan­no­se le comu­ni­ca­zio­ni disor­di­na­te e con­trad­dit­to­rie di que­sti gior­ni. È giu­sto por­si il gran­de tema di come finan­zie­re­mo la ripar­ten­za, ma è anco­ra più urgen­te capi­re se pen­sia­mo che si pos­sa ripar­ti­re con lo stes­so model­lo di svi­lup­po che abbia­mo cono­sciu­to fino a oggi

Riu­sci­re­mo per una vol­ta a inve­sti­re sul futu­ro o con­ti­nue­re­mo sem­pli­ce­men­te come se nul­la fos­se accaduto? 

Pen­sia­mo che le ingen­ti risor­se che devo­no esse­re mes­se a dispo­si­zio­ne sia uti­le usar­le per rimet­te­re in pie­di il siste­ma eco­no­mi­co che abbia­mo costrui­to in que­sti trent’anni, oppu­re inten­dia­mo usar­le per costrui­re un model­lo soste­ni­bi­le e al pas­so con le sfi­de dei pros­si­mi anni?  

Può sem­bra­re assur­do por­si que­ste doman­de duran­te l’emergenza, ma inve­ce è pro­prio ora il tem­po di por­se­le. Abbia­mo visto in que­sti gior­ni cosa signi­fi­ca digi­tal divi­de, cosa vuol dire non esse­re in con­di­zio­ne di lavo­ra­re da remo­to o di far segui­re a pro­prio figlio una lezio­ne. Abbia­mo sco­per­to cosa vuol dire dover vive­re in case di 45 metri qua­dri in sei per­so­ne e non poter usci­re, abbia­mo capi­to che esi­sto­no in que­sto Pae­se miglia­ia di lavo­ra­to­ri indi­spen­sa­bi­li costret­ti a lavo­ra­re rischian­do sul­la pro­pria pel­le e spes­so sot­to­pa­ga­ti sen­za i qua­li que­sto Pae­se non si regge.

Abbia­mo final­men­te pre­so atto che sen­za 400mila migran­ti che fan­no i brac­cian­ti agri­co­li uno dei nostri com­par­ti eco­no­mi­ci prin­ci­pa­li non è in gra­do di operare. 

Per­si­no il Finan­cial Times è arri­va­to a dire che «ser­vo­no del­le rifor­me radi­ca­li che rimet­ta­no in discus­sio­ne l’o­rien­ta­men­to pre­va­len­te degli ulti­mi quat­tro decen­ni. I gover­ni devo­no accet­ta­re di ave­re un ruo­lo più atti­vo nel­l’e­co­no­mia. Devo­no vede­re i ser­vi­zi pub­bli­ci come un inve­sti­men­to più che come un costo e cer­ca­re moda­li­tà per garan­ti­re più sicu­rez­za al mer­ca­to del lavo­ro. Del­le poli­ti­che di redi­stri­bu­zio­ne del red­di­to devo­no esse­re inse­ri­te in agen­da. I pri­vi­le­gi dei più anzia­ni e dei più abbien­ti devo­no esse­re rimes­si in discus­sio­ne. Poli­ti­che fino­ra con­si­de­ra­te eccen­tri­che, come il sala­rio mini­mo e le tas­se sul patri­mo­nio, devo­no esse­re inse­ri­te nell’agenda». Se lo scri­ve anche il Finan­cial Times appa­re evi­den­te come le prio­ri­tà sia­no radi­cal­men­te cambiate.

Ser­ve dun­que, in par­ti­co­la­re per le regio­ni meno for­tu­na­te, un pia­no imme­dia­to che indi­chi come si vuo­le ripar­ti­re quan­do l’emergenza ter­mi­na, con qua­li tem­pi si inten­de far­lo e con qua­le impo­sta­zio­ne. Non è più pos­si­bi­le ed è mol­to rischio­so pro­ce­de­re con pro­cla­mi, incer­tez­ze e fomen­tan­do la rab­bia e la pau­ra di per­so­ne che dall’oggi al doma­ni han­no visto spa­ri­re il loro red­di­to e il loro lavo­ro.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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