Vuole un fisco che sostenga gli onesti: Filippo Taddei

10-cartolina-civoti-taddei-vertL’a­spet­to più dram­ma­ti­co del­la situa­zio­ne del nostro pae­se? Che il lavo­ro non basta più.” Paro­la di Filip­po Tad­dei, bolo­gne­se, clas­se 1976, di pro­fes­sio­ne macroe­co­no­mi­sta. Filip­po inse­gna alla Johns Hop­kins Uni­ver­si­ty — School of Advan­ced Inter­na­tio­nal Stu­dies (SAIS) di Bolo­gna ed è research fel­low del Col­le­gio Car­lo Alber­to. Dice di esse­re “diven­ta­to adul­to a New York”. Sul­la situa­zio­ne del nostro pae­se non usa mez­zi ter­mi­ni: “da noi acca­de che quan­do qual­cu­no comin­cia a lavo­ra­re (se comin­cia a lavo­ra­re) que­sto pae­se non è più dal­la sua par­te. Non lo è come tas­sa­zio­ne, non lo è come ser­vi­zi. Que­sto per­ché l’I­ta­lia ha scel­to di non esse­re dal­la par­te di chi pro­du­ce, ma dal­la par­te di chi pos­sie­de”.

Ma la cri­si inter­na­zio­na­le — gli chie­do — è dav­ve­ro, come dico­no alcu­ni, Ber­lu­sco­ni su tut­ti, la mag­gio­re respon­sa­bi­le del col­las­so del siste­ma Ita­lia? “La cri­si inter­na­zio­na­le è sta­ta per l’economia ita­lia­na solo l’effetto mar­gi­na­le. Dal 2001 al 2007 era­va­mo già l’economia che cre­sciu­ta meno, in ter­mi­ni di red­di­to medio rea­le, tra tut­ti i pae­si dell’OCSE. Non è un iper­bo­le ma un fat­to. Era­va­mo un model­lo di cre­sci­ta eco­no­mi­ca dopo la secon­da guer­ra mon­dia­le, oggi sia­mo l’economia più fer­ma tra tut­te le eco­no­mie svi­lup­pa­te. Pri­ma del­la gran­de reces­sio­ne inter­na­zio­na­le, mal­gra­do un siste­ma fisca­le scon­si­de­ra­to, una pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne inef­fi­cien­te e uno sta­to socia­le ina­de­gua­to a rispon­de­re alle nuo­ve esi­gen­ze del lavo­ro, il nostro siste­ma pro­dut­ti­vo riu­sci­va a man­te­ne­re fati­co­sa­men­te le pro­prie posi­zio­ne nei mer­ca­ti inter­na­zio­na­li. Vive­va­mo di pic­co­li mar­gi­ni, per­ché dove­va­no far fron­te a defi­cien­ze strut­tu­ra­li che ci met­te­va­no in svan­tag­gio con gli altri pae­si. La cri­si ha sola­men­te acce­le­ra­to il pro­ces­so di decli­no. Ha aumen­ta­to il costo del cre­di­to e la pres­sio­ne fisca­le e, con­tem­po­ra­nea­men­te, ha ridot­to i ser­vi­zi. A quel pun­to il nostro dif­fe­ren­zia­le di pro­dut­ti­vi­tà rispet­to ai nostri con­cor­ren­ti non è più basta­to. Aumen­tan­do i costi effet­ti­vi che gra­va­no sul nostro siste­ma pro­dut­ti­vo, si sono di fat­to annul­la­ti i pic­co­li mar­gi­ni fati­co­sa­men­te con­qui­sta­ti. Era­va­mo in equi­li­brio pre­ca­rio e face­va­mo fin­ta di nul­la. Con la gran­de reces­sio­ne, il nostro siste­ma pro­dut­ti­vo, anche la sua par­te sana e miglio­re, non è più riu­sci­ta a con­tro­bi­lan­cia­re le defi­cien­ze strut­tu­ra­li del pae­se. La neces­si­tà di rifor­ma­re que­sto pae­se non è sta­ta for­te come oggi da alme­no 25 anni”.

E allo­ra come si esce da que­sto pan­ta­no? Qual è la dire­zio­ne da intra­pren­de­re? Il pro­ble­ma fon­da­men­ta­le è che in que­sto pae­se il lavo­ro ha smes­so di esse­re cen­tra­le. Non solo per­ché le per­so­ne non lo tro­va­no, ma anche per­ché chi l’ha non rie­sce più a vede­re il pro­prio lavo­ro come lo stru­men­to per emer­ge­re. Lavo­ra­re non per­met­te più di fare quel che per­met­te­va un tem­po. Com­pra­re casa è for­se l’esempio miglio­re: se nel 1980 l’appartamento medio vale­va tra 3 e 4 vol­te il red­di­to medio annuo lor­do di un tren­ten­ne, oggi vale più di 10 di que­ste annua­li­tà. Il red­di­to da lavo­ro ha sem­pli­ce­men­te smes­so di esse­re cen­tra­le. Abbia­mo deci­so di depo­ten­zia­re il ruo­lo del lavo­ro orga­niz­zan­do un mer­ca­to del lavo­ro for­te­men­te dua­le, lascian­do un siste­ma fisca­le pena­liz­zan­te e tra­scu­ran­do di svi­lup­pa­re i ser­vi­zi – dagli asi­li nido alla riqua­li­fi­ca­zio­ne pro­fes­sio­na­le – che favo­ri­sco­no chi lavo­ra. La discus­sio­ne sull’IMU è sta­ta rive­la­tri­ce da que­sto pun­to di vista. In un pae­se in cui il pro­ble­ma è il lavo­ro, ci sia­mo fer­ma­ti per 6 mesi a discu­te­re di IMU sul­la pri­ma casa. Abbia­mo ali­men­ta­to l’angoscia di un pae­se spa­ven­ta­to che ha visto nel­la pri­ma casa il suo solo appi­glio. La repub­bli­ca fon­da­ta sul­la pri­ma casa ha sosti­tui­to quel­la fon­da­ta sul lavo­ro. Que­sto è il model­lo di socie­tà che dob­bia­mo scar­di­na­re. C’è biso­gno piut­to­sto di un pae­se in cui le per­so­ne voglia­no inve­sti­re nel pro­prio lavo­ro inve­ce che in ren­di­te immo­bi­lia­ri. Ogni vol­ta che abbia­mo fat­to que­sto, l’I­ta­lia ha dimo­stra­to una capa­ci­tà di muta­re e inno­va­re sem­pli­ce­men­te uni­ca.”

Mozio­ne Civa­ti: qua­li sono le novi­tà che rilan­ce­reb­be­ro il siste­ma pae­se? Sono sem­pli­ci pro­po­ste per rico­strui­re le basi del­la repub­bli­ca fon­da­ta sul lavo­ro. Paro­le di chia­rez­za sul­la discri­mi­na­zio­ne in atto nel mer­ca­to del lavo­ro e su come ridur­re le impo­ste sul lavo­ro in un siste­ma fisca­le pen­sa­to per la ren­di­ta inve­ce che per il lavo­ro stes­so. Pren­dia­mo il mer­ca­to: dal momen­to che vole­va­mo cam­bia­re il nostro siste­ma pro­dut­ti­vo, abbia­mo chie­sto par­ti­co­la­re fles­si­bi­li­tà ad alcu­ni lavo­ra­to­ri. Non ci sia­mo però pre­oc­cu­pa­ti di offri­re un asse­gno di disoc­cu­pa­zio­ne anche per loro o di pre­di­spor­re un per­cor­so pre­de­fi­ni­to e di dura­ta cer­ta di sta­bi­liz­za­zio­ne lavo­ra­ti­va. La mozio­ne Civa­ti è l’unica che par­la aper­ta­men­te dell’introduzione di un con­trat­to uni­co di inse­ri­men­to lavo­ra­ti­vo e di uni­ver­sa­liz­za­re la tute­la del­la disoc­cu­pa­zio­ne. Abbia­mo let­te­ral­men­te milio­ni di lavo­ra­to­ri che non rice­vo­no alcun soste­gno se per­do­no il lavo­ro. Pos­sia­mo cam­biar­lo se sia­mo ragio­ne­vo­li.”

Cos’al­tro? Beh, se pas­sia­mo alla tas­sa­zio­ne del red­di­to da lavo­ro, le stor­tu­re sono incre­di­bi­li. Pren­dia­mo un lavo­ra­to­re che gua­da­gna 30.000 Euro lor­di all’anno, cir­ca 1,600 Euro net­ti al mese. Nel 1975 l’aliquota mar­gi­na­le su un red­di­to equi­va­len­te era del 25%, oggi que­sta è al 38%. Que­sto signi­fi­ca che se il dato­re di lavo­ro di que­sto con­tri­buen­te voles­se offrir­gli 100 Euro in più, meno di 30 fini­reb­be­ro nel­lo sti­pen­dio al lavo­ra­to­re stes­so. 38 Euro sva­ni­reb­be­ro per l’imposta sul red­di­to del­le per­so­ne fisi­che, cir­ca 2 Euro se ne andreb­be­ro tra addi­zio­na­li regio­na­li e comu­na­li e più di 30 Euro fini­reb­be­ro in con­tri­bu­ti socia­li. Tut­to que­sto, sem­pli­ce­men­te, non ha sen­so. Non pos­sia­mo tene­re in pie­di un siste­ma fisca­le così pena­liz­zan­te per il lavo­ro. Civa­ti non con­sta­ta solo il pro­ble­ma ma offre una solu­zio­ne. Osser­va come una par­te del­la nostra spe­sa pub­bli­ca, quel­la per gli orga­ni ese­cu­ti­vi, legi­sla­ti­vi e affa­ri este­ri — il cuo­re dell’amministrazione sta­ta­le che però non ero­ga ser­vi­zi socia­li — costa in Ita­lia 1% di pil più del­la Gran Bre­ta­gna, 0,7 % più del­la Ger­ma­nia e 0,8 % più del­la Spa­gna. Se spen­des­si­mo come la più vec­chia demo­cra­zia euro­pea, la Gran Bre­ta­gna, potrem­mo taglia­re le impo­ste sul lavo­ro per 1% del PIL. Sareb­be un taglio del 10% dell’IRPEF, un cam­bia­men­to epocale.”

Filip­po ha le idee chia­ris­si­me. Lo scor­so luglio, al Poli­ti­camp di Reg­gio Emi­lia, dis­se che c’e­ra una fra­se di Civa­ti che ama­va par­ti­co­lar­men­te: “Si può dire tut­to, in poli­ti­ca, ma non tut­ti pos­so­no far­lo”. E aggiun­se: “Quan­do riguar­do alla ridu­zio­ne del red­di­to ripo­nia­mo spe­ran­ze in una clas­se diri­gen­te che ha avu­to l’oc­ca­sio­ne di cam­bia­re e non l’ha fat­to, chie­dia­mo­ci per­ché dovreb­be fun­zio­na­re ora?”

10-cartolina-civoti-taddeiE dun­que — gli chie­do — cosa offre Civa­ti di alter­na­ti­vo? “Offre l’opportunità di affer­ma­re un PD incen­tra­to sul­le poli­ti­che da rea­liz­za­re inve­ce che sugli equi­vo­ci. Sono due in par­ti­co­la­re. Il pri­mo equi­vo­co è sul­la natu­ra del gover­no. L’unico moti­vo per accet­ta­re un gover­no soste­nu­to da una mag­gio­ran­za incoe­ren­te, sen­za alcun man­da­to elet­to­ra­le spe­ci­fi­co, con­si­ste nel fat­to che que­sto si assu­ma la respon­sa­bi­li­tà di com­pie­re scel­te impo­po­la­ri per rifor­ma­re il pae­se. Que­sto oggi signi­fi­ca due cose: una rifor­ma fisca­le dal­la par­te del lavo­ro e il cam­bia­men­to del­la leg­ge elet­to­ra­le. Nes­su­na di que­ste due cose sem­bra mini­ma­men­te nel­le dispo­ni­bi­li­tà del Gover­no let­ta. Il secon­do equi­vo­co è la “sta­bi­li­tà”. Quel che ser­ve a que­sto pae­se è la ridu­zio­ne dell’incertezza attra­ver­so scel­te di Gover­no chia­re e dura­tu­re. Pos­sia­mo ave­re il gover­no più sta­bi­le del mon­do sen­za ridur­re in alcun modo l’incertezza. Qua­le sta­bi­li­tà è quel­la di un gover­no che la mat­ti­na deve rispon­de­re all’On. Bru­net­ta, nel pome­rig­gio affron­ta il dibat­ti­to di un PD sen­za stra­te­gia e poi, tro­va un com­pro­mes­so solo dopo che Alfa­no e Ber­lu­sco­ni han­no fini­to di cena­re insie­me. Accet­ta­re la sta­bi­li­tà sen­za rifor­me è rinun­cia­re a cam­bia­re que­sto pae­se. Sosten­go Civa­ti per­ché, come lui, io non mi ras­se­gno.”

Filip­po, 38 anni, è padre di tre figlie. La mia ulti­ma doman­da è come vor­reb­be il loro futu­ro. “Vor­rei potes­se­ro sce­glie­re que­sto pae­se per­ché le inco­rag­gia a dare il pro­prio meglio. Un pae­se che le obbli­ghi a cre­de­re in quel che fan­no per­ché sostie­ne il loro lavo­ro, rima­nen­do pron­to ad aiu­tar­le quan­do inciam­pe­ran­no nel cam­mi­no del­la vita. Sarei feli­ce che un pae­se così fos­se la loro casa”.

#Civo­ti 10: Filip­po Taddei

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