Fase 2: la prima preoccupazione deve essere la tutela dei lavoratori

Che la fase 2, che tutti aspettiamo per poter vedere un po' allentate le restrizioni personali, non diventi l'ennesima occasione per scaricare sulla parte più debole del sistema produttivo, ossia i lavoratori, il peso, mai enorme come oggi, di un futuro quanto mai incerto e imprevedibile

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Sono già diver­si gior­ni che non si fa altro che par­la­re di fase 2, ossia la fase che dovreb­be segui­re a quel­la del tota­le loc­k­do­wn. Per la veri­tà, se ne è comin­cia­to a par­la­re con insi­sten­za sin dal gior­no dopo l’ap­pro­va­zio­ne del Dpcm che chiu­de­va le atti­vi­tà non essen­zia­li. E ciò nono­stan­te il decre­to fos­se assai tar­di­vo, essen­do sta­to ema­na­to il 22 mar­zo, quan­do l’e­pi­de­mia era ormai esplo­sa in tut­to il Pae­se, e che pre­ve­des­se ampie maglie di non appli­ca­zio­ne, in quan­to dava la pos­si­bi­li­tà di con­ti­nua­re l’at­ti­vi­tà pro­dut­ti­va anche alle ‘atti­vi­tà fun­zio­na­li’ alle atti­vi­tà essen­zia­li, pre­sen­tan­do sem­pli­ce­men­te un’au­to­cer­ti­fi­ca­zio­ne alla Prefettura.

Come ave­va­mo già avu­to modo di sot­to­li­nea­re, la pre­vi­sta pro­ce­du­ra di silen­zio-assen­so ave­va tut­te le basi per con­sen­ti­re a trop­pe azien­de di con­ti­nua­re a pro­dur­re, nel pie­no rispet­to del­le nor­me. Fon­ti sin­da­ca­li con­fer­ma­no infat­ti che oltre 70.000 impre­se in tut­to il Pae­se han­no pre­sen­ta­to ai Pre­fet­ti auto­cer­ti­fi­ca­zio­ni, che per la mag­gior par­te devo­no anco­ra esse­re esa­mi­na­te. Nel frat­tem­po, come da nor­ma, le azien­de non han­no sospe­so l’at­ti­vi­tà produttiva.

Insom­ma, ora che la frit­ta­ta è fat­ta, e che i con­ta­gi con­ti­nua­no a sali­re nel­l’or­di­ne quo­ti­dia­no del­le miglia­ia, nono­stan­te il Pae­se sia uffi­cial­men­te in loc­k­do­wn da oltre un mese (tut­ta col­pa dei run­ner?), dal­le par­ti di Con­fin­du­stria, sia nazio­na­le che nel­le sue decli­na­zio­ni regio­na­li, non sono con­ten­ti lo stes­so: «occor­re ria­pri­re tut­to il pri­ma possibile!».

Anche il pre­si­den­te del­la Con­fe­ren­za del­le Regio­ni, Ste­fa­no Bonac­ci­ni, sem­bra esse­re d’ac­cor­do con que­sta linea e infat­ti par­la di una pos­si­bi­le spe­ri­men­ta­zio­ne entro il 3 mag­gio di «qual­che aper­tu­ra del­le atti­vi­tà pro­dut­ti­ve lad­do­ve le con­di­zio­ni di sicu­rez­za pre­vi­ste dal pro­to­col­lo fir­ma­to fra sin­da­ca­ti e impren­di­to­ri lo per­met­ta­no». La stes­sa ansia è espres­sa anche dal pre­si­den­te del Vene­to, Luca Zaia: «Il pro­get­to per la chiu­su­ra dell’Italia è avve­nu­to a mac­chia di leo­par­do, mi augu­ro che si apra con lo stes­so prin­ci­pio, a mac­chia di leo­par­do, così noi sare­mo i pri­mi», ha dichia­ra­to. Pro­po­nen­do in aggiun­ta: «Per­ché non apri­re in manie­ra spe­ri­men­ta­le con un pac­chet­to di azien­de vir­tuo­se che mi met­to­no a dispo­si­zio­ne per spe­ri­men­ta­re un avvio con­trol­la­to, misu­ra­to e moni­to­ra­to anche dal pun­to di visto scien­ti­fi­co? Alme­no ci avvi­ci­nia­mo al 3 mag­gio aven­do spe­ri­men­ta­to l’apertura».

Peral­tro, la denun­cia di INAIL Pie­mon­te di qual­che gior­no fa por­ta a sospet­ta­re che il con­ti­nuo e quo­ti­dia­no aumen­to dei con­ta­gi sia da adde­bi­ta­re in gran par­te pro­prio al fat­to che trop­pe atti­vi­tà eco­no­mi­che sono rima­ste aper­te, a dispet­to del tan­to sban­die­ra­to loc­k­do­wn tota­le. Il che, oltre a testi­mo­nia­re, come pre­ve­di­bi­le, che le maglie del Dpcm del 22 mar­zo era­no effet­ti­va­men­te trop­po ampie, signi­fi­che­reb­be pure che le con­di­zio­ni di sicu­rez­za che i dato­ri di lavo­ro devo­no asso­lu­ta­men­te garan­ti­re, secon­do lo stes­so Dpcm, per poter pro­se­gui­re la pro­du­zio­ne, non sono affat­to rispettate.

Per il momen­to, non si par­la inve­ce di ria­pri­re pri­ma del 3 mag­gio in Tosca­na, anche se ovvia­men­te non man­ca­no nep­pu­re qui le pres­sio­ni di Con­fin­du­stria, che nel­le sedi di Pra­to, Pisto­ia e Luc­ca ha pen­sa­to addi­rit­tu­ra che fos­se di buon gusto por­re le ban­die­re a mez­z’a­sta, in segno di lut­to. Per l’e­co­no­mia, eh. Tut­ta­via, non poche per­ples­si­tà ci desta la pro­po­sta del pre­si­den­te Ros­si di isti­tui­re una sor­ta di “paten­te di immu­ni­tà”, per “scon­giu­ra­re il rischio che un lavo­ra­to­re pos­sa esse­re por­ta­to­re di contagio”.

A par­te che dal Mini­ste­ro del­la Salu­te han­no già fat­to sape­re che al momen­to i test dispo­ni­bi­li non han­no un’at­ten­di­bi­li­tà tale da far ipo­tiz­za­re la vali­di­tà di tale ‘paten­te’, in ogni caso si trat­ta di una misu­ra che capo­vol­ge il prin­ci­pio secon­do cui «l’imprenditore è tenu­to ad adot­ta­re le misu­re […] neces­sa­rie a tute­la­re l’integrità fisi­ca e la per­so­na­li­tà mora­le dei pre­sta­to­ri di lavo­ro» (art.2087 codi­ce civi­le) e che vuo­le inve­ce far rica­de­re sul­le spal­le del lavo­ra­to­re la respon­sa­bi­li­tà del pro­prio sta­to di salu­te e, di con­se­guen­za, di chi vi lavo­ra accan­to. È que­sto sal­va­con­dot­to, insom­ma, che deter­mi­ne­reb­be chi può e chi non può lavo­ra­re, chi col­pe­vo­liz­za­re per l’eventuale man­ca­ta o incom­ple­ta ripre­sa dell’attività pro­dut­ti­va, chi addi­ta­re come respon­sa­bi­le dei man­ca­ti gua­da­gni non­ché del­la sicu­rez­za dei luo­ghi di lavo­ro: il tut­to sul­la base del­lo sta­to di salu­te indi­vi­dua­le, para­dos­sal­men­te pena­liz­zan­te per chi, aven­do osser­va­to le restri­zio­ni del gover­no sugli spo­sta­men­ti e non aven­do con­trat­to il virus né, con­se­guen­te­men­te, svi­lup­pa­to gli anti­cor­pi, non potreb­be otte­ne­re que­sta ‘neces­sa­ria’ paten­te, pur essen­do ido­neo al lavoro.

Si ten­ta, in defi­ni­ti­va, di sca­ri­ca­re sui lavo­ra­to­ri la respon­sa­bi­li­tà del­le ria­per­tu­re e di sot­trar­la ai dato­ri di lavo­ro che, al con­tra­rio, mai come ora si devo­no pre­oc­cu­pa­re di garan­ti­re con­di­zio­ni di lavo­ro salu­bri e in pie­na sicu­rez­za a tut­ti i lavo­ra­to­ri. Spet­ta alle impre­se, infat­ti, anche in base al pro­to­col­lo tra Gover­no e par­ti socia­li del 14 mar­zo, l’adozione di misu­re di sicu­rez­za anti­con­ta­gio, qua­li l’adeguata distan­za inter­per­so­na­le tra i lavo­ra­to­ri o la for­ni­tu­ra dei dispo­si­ti­vi di pro­te­zio­ne indi­vi­dua­le (masche­ri­ne, guan­ti, occhia­li, tute, cuf­fie, cami­ci) qua­lo­ra non sia­no pos­si­bi­li altre solu­zio­ni orga­niz­za­ti­ve, l’organizzazione del­le moda­li­tà di ingres­so di lavo­ra­to­ri e for­ni­to­ri ester­ni in modo da evi­ta­re sovraf­fol­la­men­ti, l’informazione a chiun­que entri in azien­da cir­ca le dispo­si­zio­ni del­le Auto­ri­tà e del dato­re di lavo­ro per il con­te­ni­men­to del con­ta­gio, la puli­zia gior­na­lie­ra e la sani­fi­ca­zio­ne perio­di­ca dell’azienda, il con­tin­gen­ta­men­to dell’accesso agli spa­zi comu­ni (men­se, spo­glia­toi, etc.), al fine di man­te­ne­re la distan­za di alme­no un metro tra le per­so­ne, la rimo­du­la­zio­ne dei livel­li pro­dut­ti­vi e la tur­na­zio­ne dei dipen­den­ti per ridur­re al mini­mo i contatti.

Insom­ma, che la fase 2, che tut­ti aspet­tia­mo per poter vede­re un po’ allen­ta­te le restri­zio­ni per­so­na­li, non diven­ti l’en­ne­si­ma occa­sio­ne per sca­ri­ca­re sul­la par­te più debo­le del siste­ma pro­dut­ti­vo, ossia i lavo­ra­to­ri, il peso, mai enor­me come oggi, di un futu­ro quan­to mai incer­to e imprevedibile.

Ema­nue­la Amendola 

Fran­co Bianchi

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