Lo scorso 23 luglio il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha pubblicato un documento dal nome altisonante: “Una revisione critica degli impatti delle emissioni di gas serra sul clima degli Stati Uniti”. “Revisione” è la parola chiave: l’intento del documento è quello di riscrivere un secolo di storia della scienza climatica, dando linfa e regalando titoli ai “mercanti di dubbi” che sulla lotta reazionaria contro la transizione hanno costruito carriere. Ci riesce? Si e no.
Scientificamente, il documento fa acqua da tutte le parti: gli autori hanno tutti documentati rapporti con il governo U.S.A. o con aziende del settore energetico; e sono solo 5, contro i 500 del precedente rapporto del Dipartimento dell’Energia sul cambiamento climatico, e gli oltre 700 da 90 paesi diversi dell’ultimo rapporto IPCC; ma soprattutto il documento non dimostra in alcun modo quello che si prefigge di chiarire, ovvero che l’emissione di gas serra abbia un impatto limitato sul clima americano. Fra questioni di lana caprina (l’acidificazione dei mari rinominata “neutralizzazione”, senza però in alcun modo screditarne le basi scientifiche), citazioni di vecchi argomenti negazionisti riportati come dati di fatto (ricordate il tweet di Borghi sulle temperature riportate più alte della realtà perché le misurazioni le fanno sul retro dei condizionatori? ecco, c’è anche quello, e non hanno nemmeno citato il nostro povero ex onorevole!), e pure e semplici mistificazioni in contrasto con i dati scientifici (l’innalzamento del livello dei mari viene considerato “dubbio”, mentre i dati che lo riportano sono inequivocabili), gli errori scientifici commessi nella scrittura di questo documento sono troppi per essere ricordati tutti qui, e fanno sì che il report non cambierà di una virgola la scienza climatica nelle sue basi tecniche ed accademiche.
Tuttavia l’obiettivo del documento è centrato perfettamente: ha generato esattamente i titoli e i dibattiti che voleva generare. Come scrivevano già nel 2010 Naomi Oreskes e Erik Conway, i “mercanti di dubbi” non hanno bisogno di trovare una spiegazione per tutti i dati, e neanche di essere accurati nella loro selezione. Al contrario, a loro basta trovare un dato altisonante, che apparentemente possa far crollare tutto il castello di carte, anche se in realtà il castello è solidissimo, la carta non si muove, e il dato in tutta sincerità è pure un po’ inventato. L’obiettivo del documento è, come ci cantano Fabri Fibra, Colapesce e Dimartino, di essere “la risposta ad ogni tua domanda”. Quanto sarebbe bello poter dire “no, ma in fondo il cambiamento climatico non esiste, se esiste non è colpa nostra, e comunque non sarebbe nulla di male”? Una risposta fenomenale ad un milione di problemi, peccato solo che sia falsa.
Come già aveva fatto con le dichiarazioni di Trump e con l’uscita dagli Accordi di Parigi, il governo U.S.A. con questo documento ribadisce di essere parte integrante della propaganda di quei mercanti di dubbi, e di mettere i propri interessi economici a breve termine al di sopra del futuro degli stessi Stati Uniti, figuriamoci del nostro. Ma se loro mettono un’altra freccia nell’arco di chi non vuole — per convenienza – vedere la realtà, a noi non resta che ribadirla ancora più forte, e ribadire che noi faremo resistenza: una società più giusta può esistere solo in un pianeta più sano, un pianeta più sano può vivere solo con una società più giusta.