Dall’abrogazione alla proposta: 2/La conversione ecologica

Ma come… Non avreb­be dovu­to esse­re que­sto il tem­po del­la rottamazione?
E cosa si dovreb­be rot­ta­ma­re prio­ri­ta­ria­men­te, per defi­ni­zio­ne, se non ciò che ha dimo­stra­to una strut­tu­ra­le inca­pa­ci­tà di adem­pie­re effi­ca­ce­men­te ed effi­cien­te­men­te alle pro­prie funzioni?
Il refe­ren­dum ha pro­prio que­sto sco­po per noi: rottamare/abrogare quel­le nor­me scel­le­ra­te che ci chie­do­no di guar­da­re con mal ripo­sta spe­ran­za ad un pas­sa­to fal­li­men­ta­re, per poter comin­cia­re a costrui­re, imme­dia­ta­men­te, un futu­ro diver­so. Auspi­ca­bi­le, cre­di­bi­le e sostenibile.

Non ci basta un #Gree­nAct, quin­di, non più.
Dopo quel­lo che abbia­mo visto con lo sbloc­caI­ta­lia (che pre­ten­de di far pas­sa­re come inno­va­ti­ve ricet­te vec­chie e fal­li­men­ta­ri come l’a­sfal­to, le tri­vel­le e gli ince­ne­ri­to­ri), dopo l’ul­te­rio­re chi­rur­gi­co affos­sa­men­to del­le rin­no­va­bi­li, dopo le lodi per il mefi­sto­fe­li­co TTIP, dopo l’ac­ca­ni­men­to tera­peu­ti­co con l’IL­VA di Taran­to e con la rie­di­zio­ne del ricat­to decen­na­le tra salu­te e lavo­ro (solo per citar­ne alcu­ne)… non può basta­re che si vari un pac­chet­to più meno “ambien­ta­li­sta” per bilan­cia­re un vero e pro­prio siste­ma­ti­co scempio.
Stia­mo giun­gen­do alla con­fe­ren­za di Pari­gi con un assor­dan­te nul­la di fat­to in mano, sen­za che i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci (tra le cau­se prin­ci­pa­li del­le migra­zio­ni di mas­sa pre­sen­ti e futu­re e del­l’a­cuir­si di feno­me­ni di dis­se­sto, ad esem­pio) sia­no sta­ti seria­men­te pre­si in con­si­de­ra­zio­ne da nes­sun addet­to ai lavo­ri di que­sto Governo.

E allo­ra, a distan­za di 35 anni da quan­do Alex Lan­ger ne intuì la neces­si­tà e l’ur­gen­za, tor­nia­mo a pun­ta­re alto e ad esi­ge­re qual­co­sa di pro­fon­da­men­te e radi­cal­men­te diver­so. Quel­lo di cui abbia­mo biso­gno è di una rea­le “con­ver­sio­ne” del­la socie­tà, del­l’e­co­no­mia (com­pres­sa e avvi­li­ta da sche­mi fal­li­men­ta­ri), dei set­to­ri pro­dut­ti­vi, come anche del­la cul­tu­ra, del­le coscienze.

Il cam­po è vastis­si­mo, la sfi­da è enor­me… E allo­ra, sen­za la pre­te­sa di esau­ri­re imme­dia­ta­men­te tut­te le pos­si­bi­li azioni/questioni/problematiche, deci­dia­mo di par­ti­re da alcu­ni pun­ti cru­cia­li e sim­bo­li­ci, per i qua­li i prin­ci­pi si decli­ni­no in stra­te­gie e le stra­te­gie in pro­po­ste di leg­ge, da met­te­re nel­le mani del Par­la­men­to ita­lia­no (men­tre, su altri fron­ti, com­bat­tia­mo per­ché pos­sa real­men­te espri­me­re la sovra­ni­tà popolare).

Il pac­chet­to #con­ver­sio­ne pren­de­rà le mos­se da 4 temi, indi­ca­ti come stra­te­gi­ci anche dal­le più sane e sacro­san­te diret­ti­ve europee:
— stop al con­su­mo di suo­lo e alla cemen­ti­fi­ca­zio­ne sel­vag­gia che ha let­te­ral­men­te divo­ra­to, sac­cheg­gia­to e mes­so in peri­co­lo gran par­te del ter­ri­to­rio ita­lia­no, in bar­ba a un patri­mo­nio pae­sag­gi­sti­co di ine­sti­ma­bi­le valo­re; rige­ne­ra­zio­ne urba­na (anche in chia­ve anti-sismi­ca) e lot­ta al dis­se­sto idrogeologico;
— valo­riz­za­zio­ne del­le espe­rien­ze con­cre­te e ampia­men­te spe­ri­men­ta­te che han­no mostra­to che anda­re ver­so un siste­ma a “rifiu­ti zero” sia pos­si­bi­le e dove­ro­so, anche attra­ver­so il poten­zia­men­to del­la cosid­det­ta “eco­no­mia cir­co­la­re” che trat­ta siste­ma­ti­ca­men­te alla stre­gua di risor­se da valo­riz­za­re e ri-immet­te­re in cir­co­lo anche quel­le che un tem­po veni­va­no pen­sa­te come scar­ti e rifiuti;
— vivi­bi­li­tà e benes­se­re nel­le aree urba­ne e metro­po­li­ta­ne, pun­tan­do for­te­men­te su razio­na­liz­za­zio­ne dei con­su­mi, rispar­mio ener­ge­ti­co ed idri­co spin­to e gestio­ne nuo­va e soste­ni­bi­le del­la mobilità;
— stra­te­gia per una con­ver­sio­ne radi­ca­le e stra­te­gi­ca dei siti indu­stria­li inqui­nan­ti (che han­no deva­sta­to aree del Pae­se e inci­so dram­ma­ti­ca­men­te sul­la vita e sul­la salu­te di milio­ni di cit­ta­di­ni ita­lia­ni) e, ad un tem­po, per la pro­mo­zio­ne ed il soste­gno strut­tu­ra­le alle atti­vi­tà pro­dut­ti­ve e indu­stria­li for­te­men­te inno­va­ti­ve e soste­ni­bi­li, in gra­do di rilan­cia­re eccel­len­ze e com­pe­ten­ze anco­ra pre­sen­ti (mal­gra­do tut­to) nel nostro Paese
— lot­ta ai cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci: chiu­su­ra di ogni for­ma di finan­zia­men­to e soste­gno a impian­ti di gene­ra­zio­ne ener­ge­ti­ca fos­si­le ad alto impat­to ambien­ta­le e intro­du­zio­ne di un siste­ma fisca­le all’in­se­gna di “chi inqui­na paghi” (car­bon Tax), in gra­do di soste­ne­re e pro­muo­ve­re la gene­ra­zio­ne di ener­gia distri­bui­ta e puli­ta, l’ef­fi­cien­za ener­ge­ti­ca, le buo­ne pra­ti­che green. È que­sto il rea­le obiet­ti­vo stra­te­gi­co su cui inve­sti­re per ren­de­re l’I­ta­lia sta­bil­men­te indi­pen­den­te dal­le impor­ta­zio­ni di com­bu­sti­bi­li ed ener­gia (il petro­lio dei nostri mari è pochis­si­mo e di scar­sa qua­li­tà. Anche se cen­tel­li­na­to, sareb­be uti­liz­za­bi­le per pochi anni).

In que­sti gior­ni stia­mo siste­ma­tiz­zan­do, aggior­nan­do ed armo­niz­zan­do il mate­ria­le già dispo­ni­bi­le (e abban­do­na­to a favo­re di prov­ve­di­men­ti par­la­men­ta­ri sem­pre, casual­men­te, “più urgen­ti e indif­fe­ri­bi­li” per il Pae­se) e stia­mo costi­tuen­do grup­pi di lavo­ro mul­ti-disci­pli­na­ri tra esper­ti del set­to­re per per­fe­zio­na­re le pro­po­ste ed arric­chir­le del­le mol­te espe­rien­ze e com­pe­ten­ze vir­tuo­se del Paese.
Il pun­to di par­ten­za è sem­pli­ce: l’i­dea di futu­ro che voglia­mo costrui­re non è solo la più equa e soste­ni­bi­le. E’ anche la più effi­ca­ce e con­ve­nien­te in ter­mi­ni di lavo­ro, di com­pe­ti­ti­vi­tà del­le impre­se e del siste­ma Pae­se, di effi­cien­za, lega­li­tà e lot­ta alla cor­ru­zio­ne, di benes­se­re socia­le. Ce lo dimo­stra­no le miglia­ia le azien­de ita­lia­ne — gran­di, medie, pic­co­le — che su que­sta sfi­da stan­no già costruen­do le loro stra­te­gie, e il fat­to che que­sto pez­zo di eco­no­mia sia anche quel­lo che ha ret­to meglio all’ur­to del­la cri­si. Ce lo dimo­stra­no le buo­ne pra­ti­che di cui è dis­se­mi­na­to il nostro ter­ri­to­rio, par­te­ci­pa­te, sane, col­let­ti­ve. Il pro­ble­ma è una poli­ti­ca che igno­ra com­ple­ta­men­te que­sta pro­spet­ti­va, o che peg­gio, come nel caso del gover­no Ren­zi e dei suoi pre­de­ces­so­ri acco­mu­na­ti da una visio­ne tra­sver­sal­men­te fos­si­le, la sfa­vo­ri­sce. Sen­za un capo­vol­gi­men­to rea­le di que­sta visio­ne, la “green eco­no­my” ita­lia­na reste­rà solo una nic­chia, inve­ce di diven­ta­re la loco­mo­ti­va di una ripre­sa che tut­ti auspi­ca­no ma su cui nes­su­no, real­men­te, investe.
Insom­ma, la sfi­da è aper­ta, come anche il can­tie­re; “il tem­po di per­de­re tem­po”, gio­can­do a scim­miot­ta­re il boom degli anni ’60, è ampia­men­te sca­du­to; un nuo­vo modo di pen­sa­re al futu­ro, al benes­se­re, al lavo­ro, alla con­vi­ven­za socia­le, al rispet­to del pia­ne­ta e del pros­si­mo è, infi­ne, dav­ve­ro, possibile.

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