Assisi, marcia per la pace. Mai come oggi un’aspirazione che è rivoluzione, perché pace significa giustizia.

Il momen­to che vive il nostro pae­se, che ci pre­oc­cu­pa pro­fon­da­men­te e ci cari­ca di respon­sa­bi­li­tà come cit­ta­di­ne e cit­ta­di­ni che han­no a cuo­re la Repub­bli­ca, ren­de anco­ra più impor­tan­te la mar­cia del­la pace tra Peru­gia e Assi­si, per il suo signi­fi­ca­to mate­ria­le e sim­bo­li­co. Per que­sto ade­ria­mo con pia­ce­re e con orgo­glio all’ap­pel­lo di Lucio Cavaz­zo­ni e Giu­sep­pe Civa­ti che pote­te leg­ge­re qui sot­to. Per que­sto sare­mo alla mar­cia dome­ni­ca 7, dopo aver dedi­ca­to saba­to 6 ad Aman­do­la e ai luo­ghi del ter­re­mo­to, a un pro­get­to che dia nuo­va spe­ran­za a quel­le zone. Per­ché in que­sta epo­ca di tran­si­zio­ne anche que­stio­ni appa­ren­te­men­te lon­ta­ne si ten­go­no insie­me e si risol­vo­no insie­me, così come popo­li appa­ren­te­men­te lon­ta­ni pos­so­no rag­giun­ge­re i loro tra­guar­di solo con la paci­fi­ca coo­pe­ra­zio­ne ver­so un futu­ro miglio­re per tut­te e tutti.
Bea­tri­ce Brignone

Assi­si, mar­cia per la pace. Mai come oggi un’aspirazione che è rivo­lu­zio­ne, per­ché pace signi­fi­ca giustizia.

A 100 anni dal­la fine del­la più gran­de e scan­da­lo­sa eca­tom­be fra­tri­ci­da tra pove­ri con­ta­di­ni euro­pei, la pri­ma guer­ra mon­dia­le e ad oltre 70 dal­la secon­da in cui tut­to il pia­ne­ta fu coin­vol­to, si con­ta­no 51 con­flit­ti arma­ti in cor­so che coin­vol­go­no milio­ni e milio­ni di per­so­ne iner­mi e ridot­te in con­di­zio­ni disperate.

È la gen­te nor­ma­le, la popo­la­zio­ne che vive nel­le cit­tà e nel­le cam­pa­gne la pri­ma vera e gran­de vit­ti­ma del­le guer­re e dei con­flit­ti, di inte­res­si eco­no­mi­ci e geo­po­li­ti­ci e rap­por­ti di for­za fra le gran­di nazio­ni. Que­ste ulti­me omo­lo­ga­bi­li sem­pre più a pic­co­li o gran­di moder­ni impe­ri per come le scel­te ven­go­no assun­te e impo­ste dai loro capi.
È la ter­ra e sono le cit­tà, è la casa e la vita che sono sot­trat­te dal­la guer­ra a inte­re aree del pia­ne­ta, pro­vo­can­do migra­zio­ne e facen­do del futu­ro un deser­to. Non ci col­pi­sce per­ché acca­de lon­ta­no dai nostri occhi e dal­le nostre orec­chie, ma è qui, qui vici­no. E giun­ge fino a noi.

Dire basta a chi fomen­ta la guer­ra, ai gover­ni che la col­ti­va­no e non la con­tra­sta­no, a tut­ti colo­ro — e la poli­ti­ca per pri­ma — che la igno­ra­no è un pri­mo atto di respon­sa­bi­li­tà che ci impe­gna: per­ché non c’è pace sen­za giu­sti­zia, sen­za una visio­ne che pon­ga equi­li­brio ed equi­tà come obiet­ti­vi da rag­giun­ge­re. Come il rispet­to per il con­ti­nuo muo­ver­si di cit­ta­di­ni pel­le­gri­ni, che devo­no incam­mi­nar­si ver­so un avve­ni­re più uma­no per sal­va­re la pro­pria vita e quel­la del­le gene­ra­zio­ni future.
Sen­tia­mo l’urgenza di affer­ma­re che una dire­zio­ne ver­so la coo­pe­ra­zio­ne tra popo­li anche mol­to lon­ta­ni non si costrui­sce con le armi e le guer­re ma con lo svi­lup­po di un’economia civi­le e soste­ni­bi­le: que­sta è l’Europa che noi voglia­mo, non quel­la chiu­sa e sepa­ra­ta nel­le sue vec­chie fron­tie­re ma aper­ta e for­te nel­la volon­tà e capa­ci­tà di con­tri­bui­re al bene comu­ne, pla­ne­ta­rio.

Lucio Cavaz­zo­ni
Giu­sep­pe Civati

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