Mette il digitale al servizio di libertà ed eguaglianza: Juan Carlos De Martin

26-cartolina-civoti-demartin-vertInter­net può esse­re un otti­mo stru­men­to per rea­liz­za­re un sogno anti­co, ovve­ro, una demo­cra­zia for­te, sostan­zia­le, par­te­ci­pa­ta, deli­be­ra­ti­va, con­ti­nua. Una demo­cra­zia che, pur man­te­nen­do un soli­do impian­to rap­pre­sen­ta­ti­vo, si avval­ga del con­tri­bu­to diret­to di cit­ta­di­ni che non sono più i con­ta­di­ni e ope­rai spes­so anal­fa­be­ti del seco­lo XIX, ma cit­ta­di­ni istrui­ti, por­ta­to­ri di com­pe­ten­ze che potreb­be­ro con­tri­bui­re in manie­ra impor­tan­te al bene comu­ne.” Per Juan Car­los De Mar­tin (tori­ne­se nato in Argen­ti­na e vis­su­to anche negli Sta­ti Uni­ti), pro­fes­so­re al Poli­tec­ni­co di Tori­no che dal 2012 tie­ne un cor­so deno­mi­na­to “Rivo­lu­zio­ne Digi­ta­le”, la que­stio­ne del pro­gres­so lega­to alla que­stio­ne del digi­ta­le è fon­da­men­ta­le per dise­gna­re la map­pa del­l’I­ta­lia che ver­rà: “Per far ciò, tut­ta­via, biso­gna supe­ra­re le for­ti resi­sten­ze di chi, nei par­ti­ti e fuo­ri, tro­va che lo sta­tus quo sia per­fet­ta­men­te in linea coi pro­pri inte­res­si. Pri­ma anco­ra che una que­stio­ne tec­no­lo­gi­ca, quin­di, la que­stio­ne è poli­ti­ca: si trat­ta, infat­ti, di ridi­se­gna­re la map­pa del pote­re, dan­do­ne di più agli iscrit­ti, ai sim­pa­tiz­zan­ti e ai sem­pli­ci cit­ta­di­ni e meno agli insi­ders. Que­sta è la sfi­da da affron­ta­re con intel­li­gen­za e fidu­cia nei cit­ta­di­ni, que­sto l’u­ni­co vero anti­do­to a un futu­ro che, sen­za una deci­sa svol­ta demo­cra­ti­ca, vedo insi­dia­to, da una par­te, da pul­sio­ni neo-auto­ri­ta­ri­ta­rie (qua­si cer­ta­men­te ple­bi­sci­ta­rie) e, dal­l’al­tra, da movi­men­ti più o meno dema­go­gi­ci e irrazionali.”

Un pro­ble­ma poli­ti­co, quin­di. Ma c’è anche un’al­tra que­stio­ne, ed è il tema del­la con­ser­va­zio­ne, e del­l’u­ti­liz­zo dei ter­mi­ni solo per­ché sono di moda sen­za che ci sia un vero e pro­prio pro­get­to per met­ter­si in cam­mi­no ver­so un vero e pro­prio futu­ro digi­ta­le. Anche per­ché rischia­mo di accu­mu­la­re, anche in que­sto caso, un ritar­do impor­tan­te. “A que­sto pun­to, dopo mol­te spe­ran­ze delu­se, temo che ci voglia­no per­so­ne nuo­ve, per­so­ne a cui il digi­ta­le non vada ogni vol­ta spie­ga­to da zero. Pur­trop­po, infat­ti, la clas­se diri­gen­te attua­le ha in media una cono­scen­za estre­ma­men­te super­fi­cia­le del­le que­stio­ni. Il tema è di moda, per cui se ne par­la anche mol­to, ma non per vero inte­res­se o per vera com­pren­sio­ne. Non sor­pren­de, quin­di, che alla fine il risul­ta­to com­ples­si­vo a livel­lo deci­sio­na­le sia delu­den­te. Ciò è gra­ve non solo per noi che ci occu­pia­mo di digi­ta­le – è gra­ve per l’I­ta­lia! Per­ché non c’è dub­bio che il seco­lo XXI sarà il seco­lo del digi­ta­le, così come il XIX è sta­to quel­lo del vapo­re e del­la fer­ro­via, e il XX quel­lo del­l’e­let­tri­ci­tà e del­l’au­to­mo­bi­le. L’I­ta­lia, già mol­to indie­tro, rischia di per­de­re ulte­rio­re ter­re­no. Per evi­ta­re tale rischio dob­bia­mo pia­ni­fi­ca­re ed ese­gui­re una rimon­ta che l’I­ta­lia, se ade­gua­ta­men­te mobi­li­ta­ta, è per­fet­ta­men­te in gra­do di fare.”

Pro­ble­ma tec­no­lo­gi­co, pro­ble­ma poli­ti­co, ma anche pro­ble­ma cul­tu­ra­le. Tra fat­to­ri indi­ca­ti da De Mar­tin come fon­da­men­ta­li per comin­cia­re a riflet­te­re sul­la que­stio­ne. “Il diva­rio digi­ta­le ita­lia­no ha tre radi­ci prin­ci­pa­li: infra­strut­tu­ra­le, eco­no­mi­ca e cul­tu­ra­le. L’in­fra­strut­tu­ra digi­ta­le ita­lia­na è, per mol­ti aspet­ti, una del­le ulti­me in Euro­pa; la lar­ga ban­da non arri­va in mol­te par­ti del pae­se e, dove arri­va, è in media len­ta. Il diva­rio ha poi anche una radi­ce eco­no­mi­ca per­ché mol­ti ita­lia­ni, nel mez­zo del­la più gra­ve cri­si eco­no­mi­ca dagli anni degli ulti­mi set­tan­t’an­ni, sem­pli­ce­men­te non ce la fan­no a com­pra­re com­pu­ter o smart­pho­ne e rela­ti­va con­nes­sio­ne dati a ban­da lar­ga. E infi­ne il diva­rio è cul­tu­ra­le, inte­so sia come gra­vi caren­ze digi­ta­li del­l’i­ta­lia­no medio (inclu­si i più gio­va­ni: smet­tia­mo di con­fon­de­re il saper usa­re un po’ il tablet con l’a­ve­re una cul­tu­ra digi­ta­le), sia inte­so come defi­cit cul­tu­ra­le di fon­do degli ita­lia­ni rispet­to alla media dei pae­si OCSE. Ecco per­ché spes­so dico che la cosa miglio­re che potrem­mo fare per il digi­ta­le sareb­be inve­sti­re mol­to di più in istru­zio­ne a tut­ti i livel­li, dai bam­bi­ni agli adul­ti. Ci vor­reb­be, insom­ma, un vero e pro­prio Pia­no Mar­shall per l’i­stru­zio­ne degli ita­lia­ni.

26-cartolina-civoti-demartinQue­ste nuo­ve sfi­de han­no biso­gno di una pro­po­sta poli­ti­ca. E Juan Car­los De Mar­tin si tro­va così in linea con le posi­zio­ni e le bat­ta­glie di Giu­sep­pe Civa­ti da esser­si iscrit­to al Par­ti­to Demo­cra­ti­co (“cosa ci fate voi lì fuo­ri?”). “Pur appas­sio­na­to da sem­pre alla poli­ti­ca – ovve­ro, ai pro­ble­mi del vive­re insie­me – fino a pochi mesi fa non ave­vo mai pre­so seria­men­te in con­si­de­ra­zio­ne l’i­dea di iscri­ver­mi a un par­ti­to. Par­lan­do del­le isti­tu­zio­ni e non del­le sin­go­le per­so­ne, infat­ti, i par­ti­ti poli­ti­ci mi appa­ri­va­no per­lo­più opa­chi, auto­re­fe­ren­zia­li, pri­vi di visio­ne, per nul­la inclu­si­vi, in sostan­za mol­to più inte­res­sa­ti alla loro auto-per­pe­tua­zio­ne che al bene del pae­se. Eppu­re ero con­vin­to che una demo­cra­zia sana aves­se biso­gno di par­ti­ti; man­ca­va però un’of­fer­ta ade­gua­ta. Poi mi sono imbat­tu­to nel blog di Giu­sep­pe Civa­ti e ho ini­zia­to a seguir­lo. La pri­ma cosa che ha col­pi­to la mia ani­ma illu­mi­ni­sta è che Civa­ti faces­se un uso pub­bli­co del­la ragio­ne, met­ten­do nero su bian­co le pro­prie rifles­sio­ni e i pro­pri impe­gni. In secon­do luo­go mi ha col­pi­to la sua coe­ren­za, par­ti­co­lar­men­te apprez­za­bi­le visto che mol­ti poli­ti­ci fan­no fati­ca a resta­re coe­ren­ti per più di due mesi (a vol­te due gior­ni) di fila. Infi­ne ho apprez­za­to che Civa­ti, set­ti­ma­na dopo set­ti­ma­na, mese dopo mese, pren­des­se mol­to spes­so posi­zio­ni poli­ti­che vici­ne alle mie. Con le pri­ma­rie ho deci­so, come cit­ta­di­no inte­res­sa­to alla cosa pub­bli­ca, di voler fare qual­co­sa di tan­gi­bi­le per aiu­ta­re Civa­ti, pen­san­do natu­ral­men­te alla cate­na Civa­ti → PD → Ita­lia. Tan­to più che nel frat­tem­po si era­no avvi­ci­na­ti a Civa­ti non solo alcu­ni ami­ci, ma anche alcu­ne del­le per­so­ne del Par­ti­to Demo­cra­ti­co che più sti­ma­vo, come, tra gli altri, Wal­ter Toc­ci e Fabri­zio Bar­ca. Ora il mio impe­gno – nel limi­te del­le mie capa­ci­tà e nel rispet­to del mio ruo­lo di per­so­na che cre­de nel­l’u­so pub­bli­co del­la ragio­ne – è sia quel­lo di soste­ne­re le idee di cui Civa­ti si fa pro­mo­to­re e por­ta­vo­ce, sia quel­lo di aiu­tar­lo a rea­liz­za­re un nuo­vo model­lo di par­ti­to. Nel meto­do, un par­ti­to che sia più tra­spa­ren­te, più inclu­si­vo, più in gra­do di dia­lo­ga­re con la socie­tà. Nel­la sostan­za, un par­ti­to che sia capa­ce di arti­co­la­re una visio­ne del futu­ro ambi­zio­sa e coin­vol­gen­te. Una visio­ne radi­ca­ta soprat­tut­to in quel­l’ar­ti­co­lo 3 del­la Costi­tu­zio­ne che, a distan­za di qua­si 65 anni, è sem­pre di straor­di­na­ria attualità.”

#Civo­ti 26: Juan Car­los De Martin

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