1) La politica è una cosa bella. Crediamo che questa campagna lo abbia ricordato a tutte e tutti.
Crea connessioni, comunità, relazioni. Prende le difficoltà delle persone e le fa diventare una cosa un po’ più grande e un po’ più forte. È quello che abbiamo fatto dal primo giorno di questo referendum, è quello che facciamo tutti i giorni con Possibile.
Il raggiungimento del quorum e la vittoria del sì avrebbero migliorato la vita di milioni di persone dal giorno dopo, e condizioni migliori per le persone significano un paese migliore, per tutte e tutti.
Ma anche quando non si raggiunge immediatamente l’obiettivo si costruisce qualcosa, ed è quello che è successo in questa campagna. Per la prima volta di cittadinanza e di lavoro siamo riusciti a parlare in termini positivi, dopo anni in cui accadeva il contrario, e questo è solo l’inizio. Si sono mobilitate decine di milioni di persone, soprattutto nelle grandi città ma non solo: tutto voto libero e di opinione, che merita rispetto da parte di tutti.
2) La campagna referendaria è stata avviata sulla scia del referendum sull’autonomia, da cui il governo avrebbe fatto fatica a scappare. Le disuguaglianze tra nord e sud — in termini economici, sociali, di possibilità di costruzione di una vita migliore — continueranno a essere uno dei cardini della nostra azione politica.
3) Gli sberleffi della destra, prima che sbagliati, sono ridicoli. Solo tre anni fa Salvini ha promosso i referendum giustizia (peraltro senza raccogliere le firme), in cui andarono a votare meno persone di quante hanno votato nella sola giornata di ieri. Nonostante ci fosse un turno di elezioni amministrative insieme, nonostante ci fu quasi il 50% di no. Noi non ci siamo nemmeno sognati di svilire l’istituto referendario per far risaltare la loro sconfitta. Farebbero bene a fare lo stesso.
4) La destra vuole alzare il numero di firme per presentare i referendum. Lo ha detto da subito, appena abbiamo raccolto un numero eccezionale di firme in pochissimi giorni. Era una risposta scomposta allora e lo è anche adesso. Ci sono decine di quesiti sulla piattaforma del Ministero che non hanno raggiunto o non stanno raggiungendo le firme necessarie, quindi non c’è il rischio di una “corsa al referendum”. Per quanto riguarda quelli che sono andati al voto, segnaliamo che quattro quesiti su cinque avevano raggiunto e superato anche il milione di firme, quindi sarebbero già stati depositabili comunque. Anche il referendum cittadinanza era avviato a farlo e, con il ritmo e l’entusiasmo con cui ha raggiunto e superato il limite attuale, non è difficile immaginare che avrebbe attirato anche quello sforzo in più, se fosse stato necessario. Quindi non abbiamo paura, a differenza loro. Ma ne stanno approfittando per fare un’ulteriore stretta ai meccanismi democratici.
Si vuole discutere seriamente dell’istituto del referendum? Rivediamo il quorum. Ad esempio fissando l’asticella al 50% della partecipazione alle ultime elezioni di carattere nazionale. In questo modo sarebbe uno scontro di democrazia sulle idee, e non quella battaglia tra il mare e le urne di cui hanno parlato per settimane.
5) È un problema grande se si inizia a parlare del voto come un “costo”. Lo ha fatto ieri Meloni, peraltro dicendo pubblicamente una cifra completamente sbagliata, e ovviamente gonfiata. Se il messaggio che passa è che se votare è un costo che può essere limitato o proprio evitato, siamo su una china molto pericolosa che va fermata. Non dalla sinistra ma da chi ha a cuore la democrazia. La Presidente del Consiglio dovrebbe ritrattare questa argomentazione pericolosissima.