Per una sana e giusta alimentazione — #WFD2019

E mentre per i paesi in via di sviluppo, dove la povertà la fa da padrona, esistono programmi volti allo sradicamento della fame e al miglioramento della qualità della vita, gli occidentali si gongolano nella loro sempre-meno-scontata-opulenza e - sebbene vedano i pericoli a cui vanno incontro - tirano dritto, non curanti delle distorsioni causate da scelte individuali, che si traducono in stili di vita pericolosi una volta aggregati al livello globale.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ogni 16 Otto­bre, per il pro­prio com­plean­no, L’Organizzazione Mon­dia­le per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) cele­bra il World Food Day, ovve­ro la gior­na­ta mon­dia­le dell’alimentazione. 

O meglio, per una sana alimentazione.

O meglio anco­ra, per una sana e giu­sta alimentazione. 

Giu­sta, come la giustizia. 

Quel­la socia­le, quel­la che si fa cari­co del­le dif­fi­col­tà e com­bat­te le disu­gua­glian­ze, o alme­no ci pro­va, in un mon­do dove il dise­qui­li­brio regna sovra­no, dove pochi han­no trop­po e trop­pi han­no trop­po poco. 

E se i riflet­to­ri, da sem­pre e per ovvie ragio­ni, sono pun­ta­ti sui pae­si in via di svi­lup­po, i cosid­det­ti pae­si svi­lup­pa­ti non sono cer­ta­men­te esen­ti da pro­ble­mi lega­ti alla man­can­za di una sana e giu­sta alimentazione.

E non si trat­ta solo del­le fasce debo­li del­la popo­la­zio­ne, quel­le che han­no limi­ta­te pos­si­bi­li­tà di sod­di­sfa­re i pro­pri “biso­gni pri­ma­ri”: la sicu­rez­za ali­men­ta­re è un pro­ble­ma anche per chi ha trop­po, per chi con­su­ma trop­po, per chi spre­ca trop­po

E men­tre per i pae­si in via di svi­lup­po, dove la pover­tà la fa da padro­na, esi­sto­no pro­gram­mi vol­ti allo sra­di­ca­men­to del­la fame e al miglio­ra­men­to del­la qua­li­tà del­la vita, gli occi­den­ta­li si gon­go­la­no nel­la loro sem­pre-meno-scon­ta­ta-opu­len­za e — seb­be­ne veda­no i peri­co­li a cui van­no incon­tro — tira­no drit­to, non curan­ti del­le distor­sio­ni cau­sa­te da scel­te indi­vi­dua­li, che si tra­du­co­no in sti­li di vita peri­co­lo­si una vol­ta aggre­ga­ti al livel­lo globale.

Per la pre­ci­sio­ne, si sti­ma che ogni anno cir­ca ⅓, un’enormità, del­la pro­du­zio­ne tota­le di cibo desti­na­to al con­su­mo ali­men­ta­re uma­no vada spre­ca­to, e que­sto spre­co rap­pre­sen­ta una man­ca­ta oppor­tu­ni­tà di redi­stri­bu­zio­ne per chi ha fame e, con­tem­po­ra­nea­men­te, gene­ra impat­ti su cli­ma, acqua, ter­ra e bio­di­ver­si­tà

Que­sto deter­mi­na ele­va­te per­di­te di valo­re lun­go tut­ta la filie­ra agro-alimentare.

Grot­te­sco, se si pen­sa che que­ste pro­ble­ma­ti­che ten­de­reb­be­ro a spa­ri­re se solo si riu­scis­se a modi­fi­ca­re alcu­ni limi­ta­ti aspet­ti del­la vita quo­ti­dia­na: si trat­ta di fare la spe­sa gior­no per gior­no, da pro­dut­to­ri loca­li, pre­di­li­gen­do la filie­ra cor­ta e evi­tan­do alle­va­men­ti e col­ti­va­zio­ni di tipo inten­si­vo, maga­ri recan­do­si in quei fan­ta­sti­ci nego­zi dove si può com­pra­re tut­to sfu­so (libe­ri di deci­de­re quan­to com­pra­re, con­tri­buen­do così a ridur­re anche il con­su­mo di plastica).

Sem­bra faci­le, addi­rit­tu­ra bana­le, ma non lo è: scar­di­na­re deter­mi­na­ti model­li socia­li su lar­ga sca­la è una vera e pro­pria rivo­lu­zio­ne, è un lavo­ro di sen­si­bi­liz­za­zio­ne che richie­de tem­po e risor­se.

Nell’attesa di una pre­sa di coscien­za col­let­ti­va, le cose pos­so­no cam­bia­re a par­ti­re da sin­go­li indi­vi­dui e fami­glie, attra­ver­so la ridu­zio­ne degli spre­chi e la redi­stri­bu­zio­ne del­le ecce­den­ze (un esem­pio è la pro­po­sta dei fri­go­ri­fe­ri soli­da­li, di cui abbia­mo par­la­to in passato). 

Il ruo­lo del­la poli­ti­ca è faci­li­ta­re e pren­de­re spun­to da tan­te bel­lis­si­me ini­zia­ti­ve spon­ta­nee che già esi­sto­no, crean­do model­li ripro­du­ci­bi­li per un miglio­ra­men­to dif­fu­so del­la qua­li­tà del­la vita. 

Ma la Poli­ti­ca deve anche ricor­dan­do­si che la fame, la pover­tà e la giu­sti­zia socia­le sono sue pre­ci­se respon­sa­bi­li­tà, che non pos­so­no né devo­no esse­re dele­ga­te alla buo­na volon­tà di sin­go­li indi­vi­dui o, come spes­so acca­de, all’associazionismo.

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