La sfida di Possibile spiegata bene

E’ stato un anno vissuto pericolosamente, il nostro. In cui abbiamo cominciato a scrivere questa storia, una bozza dopo l’altra, tra mille difficoltà. Ma siamo ancora qui per raccontarla, e non in molti ci avrebbero scommesso. E’ ora di farla sentire a tutti.

Poco più di un anno, que­sto è il tem­po tra­scor­so da quel pri­mo gior­no d’estate del 2015 in cui ci sia­mo ritro­va­ti ai Pini Spet­ti­na­ti.

Un anno in cui una doman­da sopra ogni altra è rie­cheg­gia­ta nel­le nostre orec­chie: “a cosa ser­ve un altro partito?!?”.

In quel­la cal­da e asso­la­ta gior­na­ta roma­na ci sia­mo volu­ti dare un com­pi­to ambi­zio­sis­si­mo: rispon­de­re a quel­la doman­da, dimo­stra­re che nel nostro Pae­se un’alternativa è Possibile.

Ambi­zio­sis­si­mo, per­ché in tota­le con­tro­ten­den­za con quan­to offri­va (e offre) il pano­ra­ma poli­ti­co italiano.
Posto che non abbia già scel­to la xeno­fo­bia da oste­ria in cui si è con­fi­na­ta la destra ita­lia­na, chi si affac­cia al discor­so pub­bli­co del­la nostra peni­so­la sem­bra tro­var­si davan­ti solo due opzio­ni, che si scon­tra­no fero­ce­men­te ogni gior­no, e però appa­io­no il rifles­so l’una dell’altra.

Un’Atene e una Spar­ta alquan­to improv­vi­sa­te. La pri­ma pochis­si­mo illu­mi­na­ta, se non dal fuo­co dell’ambizione e del­la fret­ta del suo lea­der, che ricor­da Peri­cle solo nel­la pre­oc­cu­pa­zio­ne per il con­sen­so imme­dia­to, e che alla lega di Delo ha pre­fe­ri­to un’alleanza con i peg­gio­ri satra­pi per­sia­ni. La secon­da tan­to pugna­ce quan­to incer­ta nel­la stra­te­gia, inca­pa­ce di risol­ve­re il con­flit­to tra le cor­ren­ti dei suoi due aspi­ran­ti re, che rele­ga al Tai­ge­to ogni voce dif­for­me, e sem­bra inca­pa­ce di sfrut­ta­re per azio­ni con­cre­te il tan­to con­sen­so raccolto.

Anche a sini­stra non si rac­con­ta una sto­ria miglio­re. Come nel­la miglio­re tra­di­zio­ne mar­xia­na, la tra­ge­dia dei Set­te con­tro Tebe si ripe­te in far­sa, con cam­pio­ni stan­chi che difen­do­no le por­te di una cit­tà fan­ta­sma, in appa­ren­za fra­tel­li, ma con­ten­den­do­si aspra­men­te un tro­no di macerie.

Di fron­te a que­sta tri­ste e impre­ci­sa rap­pre­sen­ta­zio­ne del pas­sa­to, noi 15 mesi fa abbia­mo scel­to di vol­ge­re lo sguar­do al futu­ro, a un nuo­vo mondo.

Un mon­do ispi­ra­to a una cul­tu­ra di gover­no, fon­da­to su un pro­get­to cre­di­bi­le, radi­ca­le sen­za esse­re estre­mi­sta, raf­for­za­to dal con­sen­so infor­ma­to di chi lo abita.

Un pro­get­to appa­ren­te­men­te fuo­ri­mo­da, ma che è in real­tà al di là del­le mode, per­ché le mode cam­bia­no, e alla svelta.

E nel tea­tro tar­do-elle­ni­sti­co mes­so in sce­na dal­le com­pa­gnie di cui sopra, si reci­ta su un cano­vac­cio che fino a poco fa face­va il tut­to esau­ri­to, e ora è tal­men­te liso da esse­re ridot­to a bran­del­li.

Chi ave­va scel­to la fret­ta, ral­len­ta improvvisamente.

Chi si era but­ta­to all’arrembaggio, per ora è scivolato.

Chi ha scel­to l’ambiguità per rac­co­glie­re più con­sen­so, ora non sa che farsene.

Chi ha fat­to pat­ti col dia­vo­lo, sco­pre che Fau­st ha per­so la sua scom­mes­sa con Mefistofele.

C’è quin­di più che mai biso­gno di rac­con­ta­re un’altra storia. 

E’ sta­to un anno vis­su­to peri­co­lo­sa­men­te, il nostro. In cui abbia­mo comin­cia­to a scri­ve­re que­sta sto­ria, una boz­za dopo l’altra, tra mil­le dif­fi­col­tà. Ma sia­mo anco­ra qui per rac­con­tar­la, e non in mol­ti ci avreb­be­ro scommesso.

E’ ora di far­la sen­ti­re a tutti.

Pri­ma di tut­to a noi stes­si, per esse­re final­men­te la comu­ni­tà che abbia­mo sogna­to e per cui abbia­mo lavo­ra­to. Nei mol­ti comi­ta­ti che han­no arric­chi­to i loro ter­ri­to­ri di ini­zia­ti­ve e di pro­po­ste nel deser­to del­la poli­ti­ca, e che ora devo­no fare un sal­to di qua­li­tà. Nel­la piat­ta­for­ma che è appe­na nata e che ora dob­bia­mo far cre­sce­re tut­ti assie­me, per­ché sia dav­ve­ro la nostra casa, il nostro luo­go di con­fron­to ed ela­bo­ra­zio­ne, dai temi più alti che inve­sto­no la nostra socie­tà, ai pro­ble­mi quo­ti­dia­ni che si tro­va­no ad affron­ta­re i nostri ammi­ni­stra­to­ri e cui meglio rispon­de­re­mo met­ten­do in rete le nostre mol­te espe­rien­ze e competenze.

E poi all’esterno, nel­le piaz­ze e nel­le stra­de che fin dal­la nostra nasci­ta abbia­mo scel­to di abi­ta­re, sta­vol­ta per par­la­re ai nostri con­cit­ta­di­ni di una nuo­va e diver­sa poli­ti­ca eco­no­mi­ca, basa­ta sui fat­ti e sull’analisi del­la real­tà, un pro­get­to acqua e sapo­ne da oppor­re al pesan­te maquil­la­ge con il cui il gover­no cer­ca di copri­re i suoi fal­li­men­ti. Un pro­get­to di gover­no pre­ci­so, com­pren­si­bi­le, nel segno dell’uguaglianza, che per noi con­ti­nua ad esse­re il vero moto­re del cam­bia­men­to del­la nostra socie­tà.

Un pro­get­to radi­cal­men­te dal­la par­te dei mol­ti con­tro i pochi, che non ha biso­gno di esse­re estre­mi­sta, per­ché aggre­di­sce le men­zo­gne di chi vuo­le met­te­re gli stes­si inte­res­si gli uni con­tro gli altri.

Un pro­get­to con­di­vi­so, par­te­ci­pa­to e che si rivol­ge a ogni cit­ta­di­no e non alle lob­by e ai gran­di e pic­co­li poten­ta­ti, ma sen­za l’ambiguità di chi per aver i voti di tut­ti non è in gra­do di accon­ten­ta­re nessuno.

Per poter por­ta­re avan­ti que­sto pro­get­to, la pri­ma cam­pa­gna che dob­bia­mo por­ta­re avan­ti è quel­la per il No al refe­ren­dum costituzionale.

Una cam­pa­gna che voglia­mo il più capil­la­re pos­si­bi­le, è che per que­sto inten­dia­mo basa­re sul ribal­ta­men­to dell’azzardo ren­zia­no: sare­mo noi a per­so­na­liz­za­re que­sto refe­ren­dum, ma lo fare­mo tut­ti, di per­so­na e personalmente.

Una cam­pa­gna basa­ta sul vero tema di que­sta rifor­ma, sul­le real issues direb­be qual­cu­no, per far par­la­re le per­so­ne di Costi­tu­zio­ne. E per far­lo non solo nel­la piaz­ze rea­li e vir­tua­li, che già da mesi occu­pia­mo con il nostro Tour RiCo­sti­tuen­te, ma nel­le case, nei con­do­mi­ni, nei bar.

In cui sin dal nostro pri­mo mes­sag­gio (IoVoto.No), abbia­mo invi­ta­to tut­ti a esse­re cia­scu­no il suo comi­ta­to per il NO, un mes­sag­gio che ora voglia­mo decli­na­re nel­le for­me più sva­ria­te e fan­ta­sio­se, fino ad arri­va­re con le nostre idee là dove nes­su­no è mai giun­to prima.

Non le cene da mil­le euro coi gran­di finan­zia­to­ri, ma le cene con ami­ci e cono­scen­ti, per rac­con­ta­re loro cosa pro­po­nia­mo e con­fron­tar­ci con le loro aspirazioni.

Non i ban­chet­ti del­le amba­scia­te stra­nie­re e dei gran­di grup­pi inter­na­zio­na­li, ma i ban­co­ni dei bar, dove con­di­vi­de­re la nostra idea di socie­tà davan­ti a una bir­ra o un bic­chie­re di vino.

Un arco rico­sti­tuen­te che vada da Ber­nie a Ben­ni, insom­ma.

Per­ché un altro par­ti­to? Per fare tut­to que­sto, e per far­lo ora.

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