La nuova figura giuridica del “rischio zero” per le banche.

Attraverso l'introduzione del ”pegno non possessorio” il governo mostra per l'ennesima volta le relazioni particolari che intrattiene con il sistema bancario, a discapito di lavoratori e imprese.

Il 29 apri­le 2016 il Con­si­glio dei Mini­stri ha deli­be­ra­to il D.L. n. 59 recan­te «Dispo­si­zio­ni urgen­ti in mate­ria di pro­ce­du­re ese­cu­ti­ve e con­cor­sua­li, non­ché a favo­re degli inve­sti­to­ri in ban­che in liqui­da­zio­ne», pron­ta­men­te pro­mul­ga­to dal Pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca il suc­ces­si­vo 3 mag­gio, con pub­bli­ca­zio­ne nel­la G.U. n. 102 del­lo stes­so gior­no.

Ora il D.L. è sot­to­po­sto all’esame in com­mis­sio­ne al Sena­to per la con­ver­sio­ne in leg­ge, e non ne par­la qua­si nes­su­no, come spes­so acca­de per quel­le pro­du­zio­ni nor­ma­ti­ve di carat­te­re “tec­ni­co” che appa­io­no lon­ta­ne dal­la vita quotidiana.

Appa­io­no, appunto.

Il D.L. n. 59/2016 (di cui non si com­pren­de l’urgenza, ma que­sto ormai è ordi­na­ria ammi­ni­stra­zio­ne per i com­men­ta­to­ri) con­tie­ne, infat­ti, alme­no una pre­vi­sio­ne desti­na­ta a muta­re radi­cal­men­te il nostro uni­ver­so giu­ri­di­co, e for­se è dav­ve­ro il caso di for­ni­re qual­che stru­men­to per capi­re la sua por­ta­ta, a mio avvi­so deva­stan­te da un lato e chia­ri­fi­ca­tri­ce dell’altro sul­la natu­ra di que­sto gover­no, di que­sto pre­si­den­te del con­si­glio e degli inte­res­si che que­sto gover­no e que­sto pre­si­den­te del con­si­glio tute­la­no in modo, appun­to, pri­vi­le­gia­to.

Vie­ne intro­dot­to, all’art. 1, il “pegno non pos­ses­so­rio”, che con­sen­te agli impren­di­to­ri rego­la­ri (cioè iscrit­ti nel regi­stro del­le impre­se), al fine di accre­sce­re le pro­prie pos­si­bi­li­tà di acces­so al cre­di­to, di costi­tui­re pegno su «beni mobi­li desti­na­ti all’esercizio dell’impresa, a esclu­sio­ne dei beni mobi­li registrati».

Vedia­mo di capire.

Il “pegno” è un isti­tui­to mil­le­na­rio del nostro ordi­na­men­to, un dirit­to di garan­zia che si carat­te­riz­za dal­la mate­ria­le con­se­gna del bene al cre­di­to­re.

Pen­sia­mo al ban­co dei pegni, pur­trop­po ritor­na­to in auge in que­sti tem­pi di cri­si, dove si con­se­gna, ponia­mo, l’orologio, si rice­ve una som­ma in pre­sti­to e si recu­pe­ra il bene resti­tuen­do il pre­sti­to con gli interessi.

Se non si paga, il bene diven­ta di pro­prie­tà di chi ha for­ni­to il prestito.

La carat­te­ri­sti­ca fon­da­men­ta­le di que­sto isti­tu­to è la sua natu­ra “rea­le” che signi­fi­ca solo che si per­fe­zio­na con la mate­ria­le con­se­gna del bene.

I ter­zi cre­di­to­ri che agi­ran­no sul patri­mo­nio del debi­to­re non potran­no sod­di­sfar­si sull’orologio, per­ché mate­rial­men­te non lo tro­ve­ran­no, essen­do lo stes­so al sicu­ro nel­le mani di chi ha for­ni­to il pre­sti­to, il qua­le, su quel bene, è privilegiato.

La nuo­va nor­ma eli­mi­na la natu­ra “rea­le” del pegno e con­sen­te all’imprenditore di con­ce­der­lo sui beni mobi­li desti­na­ti all’esercizio dell’impresa, ma sen­za dover­li con­se­gna­re a chi pre­sta il dena­ro, cioè man­te­nen­do­ne il possesso.

Con­ti­nue­rà quin­di ad uti­liz­zar­li, ma se dive­nis­se insol­ven­te, quei beni spet­te­reb­be­ro alla ban­ca che ha con­ces­so il pre­sti­to, come l’orologio.

La for­ma sosti­tu­ti­va di pub­bli­ci­tà, nel sen­so di ren­de­re noto ai ter­zi che han­no rap­por­ti eco­no­mi­ci con l’imprenditore, che nel pegno è chia­ris­si­ma per­ché si pre­ve­de il pos­ses­so in capo al cre­di­to­re, è rap­pre­sen­ta­ta dall’iscrizione in un regi­stro tele­ma­ti­co del con­trat­to e dei beni ogget­to di pegno.

Qual­che altro elemento.

I beni pos­so­no anche esse­re “esi­sten­ti o futu­ri, deter­mi­na­ti o deter­mi­na­bi­li”, il che por­ta a pen­sa­re che la garan­zia non sia limi­ta­ta ai soli mac­chi­na­ri ma anche alla vera e pro­pria pro­du­zio­ne.

Inol­tre, in man­can­za di espres­sa pre­vi­sio­ne con­trat­tua­le in sen­so con­tra­rio, il debi­to­re può tra­sfor­ma­re o ven­de­re o comun­que dispor­re dei beni gra­va­ti da pegno e in tal caso il pegno si tra­sfe­ri­sce, rispet­ti­va­men­te, sul pro­dot­to risul­tan­te dal­la tra­sfor­ma­zio­ne, al cor­ri­spet­ti­vo del­la ces­sio­ne del bene gra­va­to o al bene sosti­tu­ti­vo acqui­sta­to con tale cor­ri­spet­ti­vo, sen­za che ciò com­por­ti costi­tu­zio­ne di una nuo­va garanzia.

In sostan­za è ammes­sa la cosid­det­ta rota­ti­vi­tà dei beni ogget­to di pegno.

Per chia­ri­re con un esem­pio, se il pegno è costi­tui­to su 10.000 pol­li di alle­va­men­to, que­sti pol­li pos­so­no esse­re pri­ma tra­sfor­ma­ti in pro­dot­ti ali­men­ta­ri, e poi per­si­no ven­du­ti e il pegno segui­rà que­sta tra­sfor­ma­zio­ne fino a diven­ta­re un pegno su un cre­di­to, cioè sul­la som­ma di dena­ro otte­nu­ta dal­la vendita.

In caso di insol­ven­za infat­ti il cre­di­to­re potrà ven­de­re i beni, escu­te­re il cre­di­to, oppu­re se pre­vi­sto nel con­trat­to dar­li in loca­zio­ne impu­tan­do i cano­ni al cre­di­to e infi­ne, sem­pre se pre­vi­sto nel con­trat­to, sem­pli­ce­men­te pren­der­se­li e tenerseli.

Arri­via­mo al pun­to dolen­te, per­ché si par­la di impre­sa e il com­ma 8, mol­to laco­ni­ca­men­te, con­sen­te, in caso di fal­li­men­to, tut­te le opzio­ni di cui sopra (com­ma 7) al cre­di­to­re il cui cre­di­to sia ammes­so allo sta­to passivo.

Non stia­mo infat­ti par­lan­do di un pri­va­to che deci­de di dare in garan­zia i pro­pri beni per otte­ne­re dena­ro, ma di un impren­di­to­re che può con­ce­de­re in garan­zia pri­vi­le­gia­ta, di fat­to, tut­ta la sua impre­sa, il suo patri­mo­nio azien­da­le, per­si­no la sua pro­du­zio­ne o addi­rit­tu­ra i suoi cre­di­ti.

Già ver­reb­be da chie­der­si se pos­sia­mo anco­ra chia­mar­lo impren­di­to­re, oppu­re se non sia tale la ban­ca che gli ha pre­sta­to il dena­ro, la qua­le così acqui­si­sce, oltre agli inte­res­si, l’intero patri­mo­nio azien­da­le o l’intera pro­du­zio­ne, a rischio zero.

E se pos­sia­mo chia­mar­la anco­ra impre­sa, sem­pre che la defi­ni­zio­ne di atti­vi­tà impren­di­to­ria­le sia anco­ra quel­la dell’art. 2082 del codi­ce civi­le, cioè quel­la di chi eser­ci­ta pro­fes­sio­nal­men­te un’attività eco­no­mi­ca orga­niz­za­ta al fine del­la pro­du­zio­ne o del­lo scam­bio di beni o di servizi.

L’ipotesi del fal­li­men­to con­fi­gu­ra anche la con­se­guen­za più ini­qua che si pos­sa imma­gi­na­re, e che temo pos­sa esse­re anche la più frequente.

L’impresa non esi­ste sen­za il lavo­ro dipen­den­te e come è noto, il lavo­ra­to­re dipen­den­te, in caso di fal­li­men­to, sem­pre che il cura­to­re fal­li­men­ta­re recu­pe­ri un mini­mo di atti­vo, di soli­to ceden­do l’azienda, cioè i mez­zi di pro­du­zio­ne, l’unica cosa di valo­re, insie­me ai veri e pro­pri pro­dot­ti e ai cre­di­ti, è il pri­mo dei cre­di­to­ri privilegiati.

Ma se tut­ti i beni azien­da­li o la pro­du­zio­ne azien­da­le o per­si­no i cre­di­ti azien­da­li sono costi­tui­ti in pegno, sen­za pos­ses­so, in favo­re dell’istituto ban­ca­rio, che si sod­di­sfa così pri­ma di tut­ti, al lavo­ra­to­re cosa rimane?

Nul­la, se non le ulti­me tre men­si­li­tà e il TFR, paga­ti però dal­la col­let­ti­vi­tà, cioè da tut­ti gli altri lavo­ra­to­ri, attra­ver­so il fon­do di garan­zia dell’INPS.

Anco­ra meno rima­ne alle altre impre­se cre­di­tri­ci, che quin­di han­no lavo­ra­to o for­ni­to beni gra­tis, con ulte­rio­re rischio per i loro dipen­den­ti, dan­do così cor­so ad even­ti a cate­na peri­co­lo­sis­si­mi per i sin­go­li e per l’economia, ma a rischio zero per la banca.

Impre­se che maga­ri non han­no il tem­po di veri­fi­ca­re su un regi­stro tele­ma­ti­co, ogni vol­ta che instau­ra­no un rap­por­to com­mer­cia­le, se il loro inter­lo­cu­to­re è pie­na­men­te pro­prie­ta­rio dei beni con cui eser­ci­ta l’impresa, o se inve­ce il pro­prie­ta­rio effet­ti­vo, per­ché di que­sto si trat­ta, è una banca.

E tut­to que­sto imma­gi­nan­do un impren­di­to­re one­sto, sen­za pen­sa­re all’ipotesi dell’imprenditore diso­ne­sto, che, se le cose ini­zia­no ad anda­re male, “impe­gna” mez­zi di pro­du­zio­ne, pro­dot­ti e cre­di­to, por­ta i dena­ri rice­vu­ti in pre­sti­to in un para­di­so fisca­le e fa fal­li­re l’impresa, a dan­no di tut­ti i suoi cre­di­to­ri e di tut­ti i lavo­ra­to­ri, ma a rischio zero per la banca.

Ecco, que­sto “rischio zero per la ban­ca” è la cifra che carat­te­riz­za il prov­ve­di­men­to e il gover­no che lo ha emesso.

Ora spet­ta al Par­la­men­to inter­ve­ni­re, in que­sto momen­to a quel Sena­to così inu­ti­le e costo­so secon­do lo stes­so premier.

Non pote­va risul­ta­re più evi­den­te, con rife­ri­men­to a que­sto esem­pio, come la sua pre­sun­ta inu­ti­li­tà coin­ci­da con la pos­si­bi­le inter­fe­ren­za con la vera e pro­pria pro­du­zio­ne legi­sla­ti­va di gover­no.

Il Sena­to è un intral­cio, for­se lo stes­so Par­la­men­to è un intral­cio per chi licen­zia testi di que­sto tipo.

Auspi­can­do inve­ce che il par­la­men­to inter­ven­ga in modo deci­so su que­sta nor­ma­ti­va, secon­do le sue pre­ro­ga­ti­ve costi­tu­zio­na­li, che pre­ve­do­no appun­to una chia­ra distin­zio­ne fra fun­zio­ne ese­cu­ti­va e fun­zio­ne legi­sla­ti­va, anche di que­sto dovre­mo tene­re con­to a otto­bre quan­do vote­re­mo sul­la rifor­ma costi­tu­zio­na­le.

E anche per que­sto dire­mo no.

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