La guerra commerciale che rischia di stritolarci (ringraziate il sovranismo)

Se gli stati Ue continuano a remare ognuno per conto proprio, spinte dal nazionalismo di ritorno, le prospettive non sono rosee.

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Il nazio­na­li­smo dei gran­di signo­ri gio­va ai gran­di signo­ri. Il nazio­na­li­smo del­la pove­ra gen­te gio­va anch’esso ai gran­di signo­ri. Il nazio­na­li­smo non diven­ta miglio­re per il fat­to che si celi sot­to i pan­ni del­la pove­ra gen­te, anzi allo­ra diven­ta total­men­te assurdo

(Ber­tolt Brecht)

Si era visto già alla Cop21 di Pari­gi con l’ac­cor­do sul cli­ma fat­to al ribas­so e poi disat­te­so dal­la pri­ma eco­no­mia del mon­do. Quan­do si tira­no indie­tro gli USA anche i prin­ci­pa­li com­pe­ti­tors poli­ti­ci ed eco­no­mi­ci pren­do­no la pal­la al bal­zo per riman­da­re misu­re quan­to­mai neces­sa­rie sui gas ser­ra. Uffi­cial­men­te la scu­sa è quel­la di difen­de­re lo sti­le di vita ame­ri­ca­no, ammes­so che sia giu­sto. L’in­di­ci di Gini ci dimo­stra che gli USA sono un pae­se fra i più dise­gua­li al mon­do. Si trat­ta quin­di di difen­de­re i gran­di signo­ri per dir­la alla Bre­cht. Make Ame­ri­ca great again! Rilan­cia­re il sogno ame­ri­ca­no per gli ame­ri­ca­ni, quan­do, da sem­pre, quel sogno, l’han­no avu­to i migran­ti che vi giun­ge­va­no (Lame­ri­ca!). Oggi è nega­to a chi dav­ve­ro quel sogno ce l’ha; i mes­si­ca­ni, col muro e i rim­pa­tri dei clan­de­sti­ni riti­ran­do la sana­to­ria di Oba­ma. Il para­dos­so del­la cac­cia allo stra­nie­ro in un Pae­se costi­tui­to ed edi­fi­ca­to col con­tri­bu­to di migran­ti da ogni par­te del mon­do è così gran­de da pas­sa­re inosservato.

Lo vedia­mo ades­so coi dazi e la guer­ra com­mer­cia­le in atto fra USA e Cina, con l’Eu­ro­pa che si tro­va stri­to­la­ta in mez­zo (oltre­tut­to in ordi­ne spar­so, disu­ni­ta). Le pri­me eco­no­mie del mon­do affron­ta­no que­sta fase di muta­men­to geo­po­li­ti­co, di dis­sol­vi­men­to dei vec­chi bloc­chi, da due diver­se pro­spet­ti­ve: una difen­de il pro­prio pri­ma­to e l’al­tra recla­ma un ruo­lo da pae­se guida.

Per for­za di cose la guer­ra non può mani­fe­star­si in modo con­ven­zio­na­le (for­tu­na­ta­men­te), ma come scon­tro com­mer­cia­le che va dai prin­ci­pa­li beni (fini­ti) ai pro­dot­ti ali­men­ta­ri. Per quan­to riguar­da le mate­rie pri­me e le risor­se ener­ge­ti­che han­no avu­to modo, negli ulti­mi decen­ni, di ren­der­si meno dipen­den­ti dal­l’e­ste­ro. I cam­bia­men­ti in Cina sono tumul­tuo­si e anche se (da fuo­ri) può sem­bra­re una cre­sci­ta disor­di­na­ta in real­tà poche cose sono lascia­te al caso. Basta leg­ge­re il pro­gram­ma di Xi Jin­ping per i pros­si­mi anni, la Cina pun­ta al turi­smo e si è resa con­to di non poter con­ti­nua­re ad esse­re la ‘fab­bri­ca del mondo’.

I pac­chet­ti di dazi sono sti­ma­ti (in base ai valo­ri di import 2017) sui 50 miliar­di, men­tre ne stan­no stu­dian­do altri per 100 miliar­di. Con futu­ri rilan­ci? La Cina ha repli­ca­to impo­nen­do lo stes­so valo­re di dazi su 106 pro­dot­ti USA, com­pre­si i semi di soia, il tabac­co, il gra­no e il mais. La soia è un pro­dot­to fon­da­men­ta­le per l’a­li­men­ta­zio­ne del­la popo­la­zio­ne cine­se e lo è anco­ra di più per il bestia­me (la metà dei maia­li del mon­do è cine­se), non si trat­ta di una scel­ta pre­sa a cuor leg­ge­ro, ma di una stra­te­gia per col­pi­re Trump. Gli sta­ti che la pro­du­co­no (9 su 10) sono sta­ti quel­li deter­mi­nan­ti nel­la vit­to­ria elet­to­ra­le di Trump, que­sta scel­ta così come quel­la degli altri pro­dot­ti agri­co­li inclu­si nel­la lista sem­bra puni­re i suoi elet­to­ri.

E l’Eu­ro­pa? Per ora gli USA han­no appli­ca­to nuo­ve tarif­fe su accia­io (25%) e allu­mi­nio (10%) a cari­co dell’import dal­la Ue. La rea­zio­ne si è vista al G7 (nul­la di fat­to) e dal­l’an­nun­cio di Junc­ker e del­la Malm­strom (Com­mis­sa­rio Ue al Com­mer­cio) di misu­re com­pen­sa­ti­ve per luglio oltre al ricor­so pres­so la Wto. Le con­tro­mi­su­re di cui si è sen­ti­to par­la­re fino­ra sono poco signi­fi­ca­ti­ve (2,8 miliar­di sui pro­dot­ti a stel­le e stri­sce con­tro l’ex­port sog­get­to ai dazi USA sti­ma­to sui 6,4 miliar­di). Risul­ta chia­ro come l’Eu­ro­pa non sia in gra­do (e non ne abbia la for­za) di fare la voce gros­sa: un gio­co al rial­zo ci vedreb­be come la par­te debo­le, nel­le con­di­zio­ni attua­li, con­tro gli USA, non abbia­mo il col­tel­lo dal­la par­te del manico.

Ma da dove nasco­no i dazi agli allea­ti Nato? Dal con­cet­to stes­so di Ame­ri­ca Fir­st: la sicu­rez­za nazio­na­le. Scu­sa già usa­ta per accia­io e allu­mi­nio che sono fon­da­men­ta­li per l’in­du­stria degli arma­men­ti. La minac­cia del­la sicu­rez­za nazio­na­le che una leg­ge del ’62 con­sen­te di uti­liz­za­re per impor­re dazi sul­la side­rur­gia può (e lo stan­no facen­do) esse­re allar­ga­ta a tan­ti altri set­to­ri con­si­de­ra­ti stra­te­gi­ci. Per esem­pio l’in­du­stria auto­mo­bi­li­sti­ca, impor­ta­re vei­co­li stra­nie­ri (linea pre­mium, trai­no del­la Ger­ma­nia), minac­cia l’e­co­no­mia ame­ri­ca­na. Se minac­cia l’e­co­no­mia è a rischio la sicu­rez­za nazio­na­le! Gli accor­di sul cli­ma? Inu­ti­le dir­lo, un atten­ta­to alla sicu­rez­za nazio­na­le! Così la Ger­ma­nia si fa silen­te per scon­giu­ra­re stret­te ulte­rio­ri e l’Eu­ro­pa rima­ne intrap­po­la­ta in una guer­ra che la espo­ne, come nes­sun altro, all’al­ta­le­na trum­pia­na.

Se gli sta­ti Ue con­ti­nua­no a rema­re ognu­no per con­to pro­prio, spin­te dal nazio­na­li­smo di ritor­no, le pro­spet­ti­ve non sono rosee.

Ste­fa­no Artusi

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