Gender pay gap : l’UE punta sulla trasparenza per mettere fine alle discriminazioni

Nonostante il diritto alla parità retributiva, sia sancito dalla nostra costituzione (art.37) e dai trattati europei (art.157 TFUE) stenta ancora a trovare attuazione.

di Sil­via Roma­no, Euro­pa Possibile

Con una nuo­va diret­ti­va, l’Europa ci spin­ge in avan­ti ver­so la pari­tà sala­ria­le di gene­re. O alme­no ci pro­va, dato che Fra­tel­li d’Italia ha vota­to con­tro l’adozione del­la diret­ti­va al Par­la­men­to euro­peo e che rischia di esse­re pro­prio il gover­no Melo­ni a rece­pi­re le nuo­ve rego­le a livel­lo nazionale. 

La nuo­va diret­ti­va euro­pea pun­ta sull’obbligo di tra­spa­ren­za del­le remu­ne­ra­zio­ni, per lot­ta­re con­tro le dispa­ri­tà sala­ria­li di gene­re, inclu­den­do nel cam­po di appli­ca­zio­ne la discri­mi­na­zio­ne inter­se­zio­na­le e i dirit­ti del­le per­so­ne non bina­rie. Oltre a con­tra­sta­re il “gen­der pay gap”, le nuo­ve rego­le han­no il poten­zia­le di disin­ne­sca­re una serie dina­mi­che per­ver­se, e pur­trop­po ricor­ren­ti, del mon­do del lavoro. 

Ad esem­pio, nien­te più brut­te sor­pre­se duran­te i col­lo­qui di lavo­ro sen­ten­do­si pro­por­re sala­ri da mise­ria e con­di­zio­ni inac­cet­ta­bi­li : la diret­ti­va impo­ne l’obbligo al dato­re di lavo­ro, di indi­ca­re il livel­lo retri­bu­ti­vo ini­zia­le o la fascia retri­bu­ti­va per la posi­zio­ne o man­sio­ne in que­stio­ne. L’informazione può esse­re for­ni­ta nel­l’av­vi­so di posto vacan­te o in altro modo pri­ma del col­lo­quio di lavo­ro sen­za che il can­di­da­to deb­ba richiederlo.

E anco­ra, sarà vie­ta­to ai dato­ri di lavo­ro chie­de­re ai can­di­da­ti, infor­ma­zio­ni sul­la retri­bu­zio­ne per­ce­pi­ta nel pre­ce­den­te rap­por­to di lavo­ro. L’o­biet­ti­vo è garan­ti­re che il can­di­da­to dispon­ga del­le infor­ma­zio­ni neces­sa­rie per nego­zia­re in modo equi­li­bra­to ed equo la pro­pria retri­bu­zio­ne all’i­ni­zio di un rap­por­to di lavo­ro, evi­tan­do tra l’altro di tra­sci­na­re gli effet­ti di even­tua­li discri­mi­na­zio­ni o pre­giu­di­zi retri­bu­ti­vi, nel pas­sag­gio da un lavo­ro ad un altro. 

I dato­ri di lavo­ro avran­no l’obbligo di ren­de­re acces­si­bi­le ai lavo­ra­to­ri una descri­zio­ne dei cri­te­ri uti­liz­za­ti per defi­ni­re la loro retri­bu­zio­ne e il loro avan­za­men­to di car­rie­ra. I lavo­ra­to­ri il dirit­to di chie­de­re al dato­re di lavo­ro infor­ma­zio­ni sul livel­lo retri­bu­ti­vo indi­vi­dua­le e sui livel­li retri­bu­ti­vi medi, ripar­ti­ti per ses­so e cate­go­rie di lavo­ra­to­ri che svol­go­no lo stes­so lavo­ro o un lavo­ro di pari valo­re. Cio’ per­met­te­rà ai lavo­ra­to­ri di valu­ta­re se sono retri­bui­ti in modo non discri­mi­na­to­rio rispet­to ad altri lavo­ra­to­ri del­la stes­sa orga­niz­za­zio­ne che svol­go­no lo stes­so lavo­ro o un lavo­ro di pari valo­re, e per far vale­re il loro dirit­to alla pari­tà retri­bu­ti­va, se necessario.

Un altra novi­tà impor­tan­te riguar­da il divie­to di inse­ri­re clau­so­le di riser­va­tez­za nei con­trat­ti di lavo­ro. In altri term­ni, non potran­no più esi­ste­re clau­so­le con­trat­tua­li che impe­di­sca­no ai lavo­ra­to­ri di rive­la­re la pro­pria retri­bu­zio­ne o a chie­de­re infor­ma­zio­ni sul­la stes­sa o su altre cate­go­rie di retri­bu­zio­ne dei lavoratori. 

I dato­ri di lavo­ro avran­no l’obbligo di ren­de­re pub­bli­ca­men­te dispo­ni­bi­li e acces­si­bi­li deter­mi­na­te infor­ma­zio­ni qua­li il diva­rio retri­bu­ti­vo tra lavo­ra­to­ri di ses­so fem­mi­ni­le e di ses­so maschi­le nel­la pro­pria orga­niz­za­zio­ne. Se il diva­rio retri­bu­ti­vo è supe­rio­re al 5%, i dato­ri di lavo­ro dovran­no effet­tua­re una valu­ta­zio­ne del­le retri­bu­zio­ni insie­me ai rap­pre­sen­tan­ti dei lavo­ra­to­ri e adot­ta­re misu­re cor­ret­ti­ve. L’o­ne­re del­la pro­va pas­sa quin­di dal lavo­ra­to­re al dato­re di lavo­ro. Nei casi in cui un lavo­ra­to­re riten­ga che il prin­ci­pio del­la pari­tà retri­bu­ti­va non sia sta­to appli­ca­to, la legi­sla­zio­ne nazio­na­le dovrà obbli­ga­re il dato­re di lavo­ro a dimo­stra­re che non c’è sta­ta discriminazione.

In caso di man­ca­to rispet­to del prin­ci­pio di pari­tà retri­bu­ti­va, il legi­sla­to­re nazio­na­le dovrà sta­bi­li­re del­le san­zio­ni. I lavo­ra­to­ri vit­ti­ma di discri­mi­na­zio­ne, avran­no dirit­to a un risar­ci­men­to se le azien­de non rispet­ta­no gli obbli­ghi di pari­tà retributiva.

Gli obbli­ghi del­la diret­ti­va riguar­de­ran­no le azien­de con più di 100 dipen­den­ti, lascian­do fuo­ri tut­ta una serie di pic­co­le e medie real­tà. Va nota­to che la pro­po­sta del­la Com­mis­sio­ne riguar­da­va solo azien­de con più di 250 dipen­den­di ed è gra­zie alle pres­sio­ni del Par­la­men­to euro­peo che è sta­to pos­si­bi­le esten­de­re il cam­po di applicazione. 

Ci sono 3 anni di tem­po per rece­pi­re le nuo­ve nor­me nell’ordinamento nazio­na­le e a livel­lo ita­lia­no sarà neces­sa­rio appor­ta­re una serie di ade­gua­men­ti ad alcu­ne nor­ma­ti­ve ita­lia­ne, tra cui la recen­te leg­ge 162/21. Pec­ca­to che il gover­no che si occu­pe­rà del rece­pi­men­to del­le nuo­ve rego­le in Ita­lia è gui­da­to dal par­ti­to che al Par­la­men­to euro­peo ave­va ha vota­to con­tro la direttiva ! 

Nono­stan­te il dirit­to alla pari­tà retri­bu­ti­va, sia san­ci­to dal­la nostra costi­tu­zio­ne (art.37) e dai trat­ta­ti euro­pei (art.157 TFUE) sten­ta anco­ra a tro­va­re attua­zio­ne. Nell’UE, il diva­rio retri­bu­ti­vo tra i ses­si per­si­ste intor­no al 13%, con varia­zio­ni signi­fi­ca­ti­ve tra gli Sta­ti membri. 

Nono­stan­te il diva­rio sala­ria­le di gene­re in Ita­lia si atte­sti al 4,2% (dati Euro­stat, mar­zo 2022), è ben noto che nel set­to­re pri­va­to il gap sia anco­ra al 17%. Infat­ti met­ten­do da par­te il set­to­re pub­bli­co e pren­den­do in con­si­de­ra­zio­ne i fat­to­ri di svan­tag­gio del­le don­ne nel mer­ca­to del lavo­ro, il nostro pae­se si piaz­za tra i peg­gio­ri pae­si euro­pei. E que­sto diva­rio è dimi­nui­to solo mar­gi­nal­men­te negli ulti­mi die­ci anni. Secon­do gli ulti­mi dati dell’Istituto euro­peo per l’uguaglianza di gene­re (EIGE), l’Italia si col­lo­ca all’ultimo posto tra i 27 pae­si dell’UE, per le disu­gua­glian­ze tra uomi­ni e don­ne nel­la par­te­ci­pa­zio­ne al lavoro.

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